Wawrinka, dopo il Roland Garros c'è il rischio di un nuovo calo mentale?

TENNIS – Di Davide Bencini

Che Wawrinka non fosse uno da striscia vincente si sapeva. Picchi sovrumani di tennis perfetto che però non riescono a durare per più di un torneo. Una mina vagante che quando ormai entra nella propria modalità “abbatto qualsiasi cosa a suon di vincenti” può ormai guastare le feste a tutti, ma proprio tutti.

Lo aveva capito Nadal a Melbourne un anno fa, aveva ingoiato il boccone amaro Federer a Montecarlo sempre nel 2014 (in uno dei pochi tornei che gli mancano, a mo’ di “Tu quoque Stan…”), ed è successo di nuovo a Parigi, dove Stan si è ritrasformato ancora nell’uomo con una missione in testa.

Eppure, dopo il trionfo al Roland Garros, è arrivato ancora inesorabile l’abbiocco da abbuffata. Come se “The Stanimal” sia dotato di un pulsante-turbo acceso con energia limitata, dopo il quale torna il Wawrinka versione 1.0, che si culla in sbornie di successo e al quale ci vogliono tre flebo di vita da medioman e una piantina del proprio cervello per ricordarsi come si gioca a tennis. Come se questi successi arrivino a mo’ di onda travolgente a qualcuno che, sebbene si stia abituando a gustarli, non ci sarà mai abituato veramente. Un campione al quale le vittorie danno alla testa quasi come al Safin che ha appena raggiunto come numero di slam vinti, il quale le sbornie a dirla tutta se faceva durare anche di più, contandole in anni e non solo in mesi…

Stavolta a dire il vero aveva persino messo le mani avanti, dicendo di sentirsi “svuotato”, soprattutto mentalmente, dopo il successo inatteso ma altrettanto perentorio ottenuto a Parigi su un Djokovic anch’egli in lacrime mentre probabilmente pensava “ma proprio oggi?” con l’aria di chi è stato appena ammesso in club del quale non voleva far parte. E magari, viste le avvisaglie, la sconfitta al secondo turno del Queen’s contro Anderson con un doppio tie-break, nonostante la convincente vittoria all’esordio contro l’insidia Kyrgios, non stupisce poi troppo.

Stanchezza anche fisica, certo: battere in fila il numero 2 e il numero 1 (e che numero 2 e 1!) in uno slam stanca, prosciuga le forze. Eppure più che quella sembra che Stan abbia bisogno di tempo per ricaricare le batterie della testa, sebbene prometta di volersi continuare ad allenare duramente per Wimbledon. Del resto, dopo la cavalcata vincente e anche allora sorprendente agli Australian Open del 2014 si prese una “vacanza” di due mesi prima di tornare a stupire il mondo con la conquista di Montecarlo, al quale seguirono altre sconfitte inattese e cali (prima di un buon quarto a Londra), risultati di altrettante sbronze di “oh mio dio! Ma ho vinto io, davvero???” e giorni passati davanti allo specchio con un teschio in mano a proporsi quesiti interminabili su chi fosse la presenza indistruttibile che si impossessava di lui in campo.

Un calo adesso è quasi pronosticabile, anche se francamente ormai, vedendo la cura Norman, sembra difficile non vederlo nella mischia in ogni slam. Magari più a New York che a Londra, dove la non troppo digesta erba arriva troppo a ridosso della botta di vita di Parigi.

Che dire? Stan sta “ringraziando” il suo animale interiore e una volta arrivato alla gloria deve appagarlo di coccole e riposo, come a tenerlo buono per la prossima scalata, che ci vogliamo fare. Forse è quello che un po’ lo rende speciale e diverso dai vari Robot-Nole, Cyborg-Nadal e King-Roger sempre sul pezzo. E c’è da crederci che potrà ancora succedere, dato che ormai è più che dimostrato che “The Man” può tornare da un momento all’altro e quando meno ce lo si attende, a rompere le uova nel paniere di un favorito, regalando al tennis un altro po’ di quelle sane sorprese che negli ultimi anni spesso sono mancate e che grazie a lui hanno dato più sapore al tennis.

 

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