Il tennis che logora e l’abbandono: Li Na, Bartoli, i casi Azarenka e Nadal

 

TENNIS – QUIET PLEASE! – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Tanti infortuni, troppe pause, immenso logorio fisico: il tennis moderno costringe ad assenze e ritiri molto più che in passato. Oggi una carriera come quella di Jimmy Connors non sarebbe possibile. Ma è valsa davvero la pena l’evoluzione del gioco?

 

 Si fa presto a dire sport moderno.

Gli sportivi sono in qualche modo degli eletti, non c’è dubbio. La maggior parte delle volte, quelli che ce la fanno e sono dei professionisti più o meno affermati, svolgono la professione che è la loro passione: di quanti altri esseri umani lo si può dire? Davvero di pochi. Girano il mondo, certo stan lontani da casa, ma questo avviene solo fino ad un certo punto: quando sei troppo vecchio, ti ritiri dignitosamente e continui a fare altro, in maniera molto più tranquilla, godendoti molto di più la vita, senza la frenesia ma anche, certo, senza l’adrenalina alla quale sei abituato e della quale poi, spesso e  volentieri, senti la mancanza. 

 

Lo sport moderno, quello individuale su tutti e il tennis in particolar modo, il suo ritmo forsennato, l’atletismo sempre più esasperato, ha “costretto” o ha portato molti atleti a rallentare, prendersi pause, finirla prima (per poi spesso tornare, ultima Jennifer Capriati il prossimo anno).

 

Ultimo caso quello di Li Na, la cinese che ha vinto e aperto più di tutti il continente asiatico e la Cina in particolar modo al tennis: la tennista di Wuhan ha detto addio allo sport che ama. Perché? Sicuramente l’appagamento ha facilitato le cose ma il fisico, le sue ginocchia non hanno retto più. Era diventato molto difficile e soffrire ancora, a 32 anni, malgrado ancora almeno due anni possibili ad alti livelli voleva dire mettere in preventivo altre sofferenze.

 

Un anno fa fu Marion Bartoli, una che al lavoro è sempre stata abituata ed educata da un padre fin troppo esigente: lei nemmeno trentenne, una volta vinto Wimbledon ha deciso di smettere. Troppi dolori, troppi sacrifici e allora meglio dire addio al momento giusto, da trionfatrice.

 

Il 2014 di Vika Azarenka, che per fortuna è ancora una professionista convinta di voler continuare, parla chiaro: dopo due/tre anni ad altissimo livello il corpo ha chiesto un conto salato da pagare. Quando non è il piede è il ginocchio, quando non sono i  crampi è la schiena. Lo stress a cui si è sottoposti, in un tennis non esattamente facile da gestire fisicamente, che richiede spinta e movimento, è qualcosa al quale l’organismo umano non è in grado di dare risposte costanti. C’è bisogno di riposo. Così dopo l’ennesimo ritiro da un torneo, Vika ha detto basta e si è tirata fuori dal resto della stagione. Meglio recuperare per bene.

 

Rafa Nadal in questo senso è stato d’esempio prima di altri: i sette mesi causa ginocchio del 2012 e questi ultimi tre (che potrebbero diventare di più) di questa stagione mostrano come quel tipo di tennis non sia sostenibile a lungo termine.

 

Perfino i ritiri di Roddick, Safin, Nalbandian, sebbene per motivi diversi, hanno in comune il logorio che una vita di certo privilegiata comunque presenta.

 

E allora ci si chiede quanto valga la pena l’evoluzione di uno sport che ha sicuramente degli aspetti positivi in termini di ritmi di gioco più piacevoli da guardare ma che risente anche a causa di questo di mancanza di diversificazione, prima che dell’usura dei propri protagonisti. Si accorceranno le carriere? Chi non ha la “fortuna” di godere di un tennis più facile e di armi  diverse da gestire sarà costretto a dire addio prima o prendersi tante (troppe) pause?

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