di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
TENNIS – DI RICCARDO NUZIALE – Vent’anni fa moriva Lew Hoad, vent’anni fa vinceva il suo secondo Wimbledon Pete Sampras. Vent’anni fa Lew Hoad derideva Thomas Muster. Due giorni fa Nick Kyrgios batteva Rafael Nadal, riportando per un pomeriggio sul tetto del mondo quell’Australia che anni fa dominava il tennis tra una birra e un titolo dello Slam. Quell’Australia che aveva il suo dio più fulgente in Lew Hoad. Colui che, se fosse esistita una Coppa Davis dell’Universo, sarebbe stato scelto a rappresentare la Terra.
Aprile 1994, Lew Hoad si sta lentamente arrendendo alla leucemia. Ma questo non gli impedisce di darsi a quella convivialità che l’ha sempre contraddistinto: non è affatto raro trovarlo ancora al bar del Campo de Tenis, il club da lui fondato nel 1964 a Mijas, in Costa del Sol, a intrattenere i tesserati tra una chiacchierata e l’altra.
Discussione di un giorno è il nome del vincitore dei prossimi Championships. Uno degli habitué del club, Hans ‘il cinese’, dice la sua: il vincitore sarà Thomas Muster, che in quel periodo bazzica attorno alla decima posizione mondiale ma che a Wimbledon non ha mai vinto una partita in tre partecipazioni. Hoad fulmina l’amico con uno sguardo di compassione e stupore: “Ma è capace di giocare solo sulla terra.”
Il ‘cinese’ insiste, ricordando ad Hoad il suo stesso insegnamento, vale a dire che un giocatore dovrebbe essere in grado di giocare su qualsiasi superficie. La risposta del fu Golden Boy, a quel punto, indossa il cappuccio del boia: “Esatto Hans, e lui non può. Thomas Muster ha le stesse possibilità di vincere Wimbledon del cane di mia figlia.” “Vogliamo scommettere, Lew? Quanto?” “Qualsiasi fottuta cifra.” A cifra pattuita, una pausa. Poi Hoad condanna l’amico lasciando sfilare la lama della ghigliottina: “Vuoi darmi i soldi ora?”
L’entità della cifra ci è ignota, ma ci è ben noto il cammino di Muster in quel Wimbledon: sconfitto al primo turno dal qualificato tedesco Mronz in cinque set. Quella fu l’ultima partita in carriera dell’austriaco all’All England Club.
Il nome del campione di quell’edizione è il più ovvio. 3 luglio, superando Goran Ivanisevic in tre set, Pete Sampras bissa il titolo di Wimbledon dell’anno precedente. Ma la festa subisce una dura ferita quando a Church Road si sparge una terribile voce: Lew Hoad è morto. Sampras è forse il giocatore della sua generazione più innamorato e in debito con gli grandi dèi della tradizione aussie, complici le serate passate da ragazzino a vedere proiettati, sul muro della sala da pranzo di casa propria, filmati di Hoad, Laver, Rosewall con l’analisi di Pete Fischer e Del Little, le prime figure importanti della sua crescita tennistica. In molti vedono il passaggio di consegne ad opera del destino: una leggenda muore, una leggenda definitivamente nasce. Il destino non si sbaglierà.
Nel 1959 Hoad, la moglie Jenny e Pancho Gonzales stanno percorrendo il tragitto Los Angeles-El Paso, quand’ecco un fatto misterioso: l’automobile si spegne e i tre si trovano avvolti da una tenue luce gialla. I protagonisti giureranno di aver visto un ufo sopra di loro e che l’auto è ripartita solo dopo l’allontanamento del disco volante. Anni dopo Gonzales, che ha visto in quell’episodio il credo delle antiche civiltà messicane di essere in contatto con divinità provenienti dallo spazio, sosterrà che in caso di esistenza di una Coppa Davis dell’Universo, con la Terra chiamata a scegliere un giocatore per rappresentarla, la scelta non potrebbe che cadere su Lew Hoad.
Bud Collins, nell’epitaffio scritto per Hoad in quello storico 3 luglio, parlerà la stessa lingua mistica di Gonzales: “La sua era la mentalità spensierata degli scesi in terra Australiani nei loro giorni galattici. Erano capaci di bere birra con tutti e il giorno dopo battere il mondo. Il loro accumulo di birra e trofei era prodigioso. Erano i Cartaginesi del tennis, conquistatori scomparsi, e il loro amato Annibale è morto.”
1 luglio 2014, quasi vent’anni dopo e chissà se i Cartaginesi sono tornati a cavallo del destino. Rafael Nadal non è certo uno capace di giocare solo sulla terra. Non è Thomas Muster, Wimbledon l’ha vinto e può rivincerlo. Ma è colui che ha portato il Verbo terraiolo lassù dove nessuno è mai arrivato e sui prati non morde più come un tempo. A sbarrargli la strada c’è ora colui che aspira a diventare nuovo condottiero della flotta cartaustraliana: Nick Kyrgios. Che di terraiolo non ha nulla, che rievoca anzi il suo illustre antenato biondo, la cui sconvolgente potenza è negli annali.
Kyrgios proclama la rivoluzione, stritola il n.1 del mondo sul campo più importante del tennis. A 20 anni (meno due giorni) dalla morte di Annibale, Cartagine firma una nuova indipendenza: di nuovo si vede il marchio del passaggio di consegne, di nuovo con nome greco.
Se la Cartagine Aussie tornerà ad essere realtà protagonista del tennis, esaltata dal nuovo condottiero (che quel 3 luglio 1994 non era ancora nato), lo potremo sapere solo fra qualche anno. Nell’attesa, stappate una birra: gli oracoli in Australia rispondono così.
Un ricordo di Lew Hoad sarà anche al centro del prossimo numero di Matchpoint, sia con un articolo sul grande australiano, sia all’interno della nuova rubrica “TAG”, firmata da Riccardo Nuziale