Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
25 Giu 2014 12:16 - Wimbledon
Ken Rosewall a Wimbledon, quando la storia si materializza
di Gianluca Atlante
TENNIS – WIMBLEDON
dal nostro inviato Gianluca Atlante
Un incontro londinese con il mitico Ken Rosewall, capace di andare in finale a Wimbledon a venti come a quarant’anni…
Londra – La storia abita da queste parti e si materializza quando, a Wimbledon Park, nella graziosa “The Tennis Gallery”, non sono nemmeno le 10 del mattino. Un taxi ci porta lì e dal Gate 14 all’All England Club, grazie ad un black cab, il passo è decisamente breve. Scendiamo e scorgiamo l’immagine di un distinto signore in giacca e cravatta di Wimbledon. Per un attimo la mente di chi, purtroppo, non ha vissuto quell’epoca in prima persona, ma ha studiato e si è rigorosamente documentato, si ferma. Riflettendo su cosa quest’uomo, nel mondo del tennis, sia riuscito a fare. Andando, per esempio, in finale a Wimbledon nel 1954, sconfitto da Drobny e, vent’anni dopo, a quarant’anni, nel 1974. superato da un giovanissimo Jimmy Connors.Vincendo, per esempio, nel 1956 l’Open degli Stati Uniti, battendo in finale Lew Hoad e ripetendosi, quattordici anni dopo nel ’70, contro Tony Roche. Imprese che hanno fatto epoca e storia, ripensando soprattutto ai 45 tornei dello Slam che, quest’uomo, non ha potuto giocare per il suo passaggio al professionismo. Ecco perchè, quando davanti a noi, si è materializzato Ken Rosewall, i racconti di bambino con la racchettina in mano, sono riaffiorati prepotentemente. Il tutto davanti al suo libro, “Muscles”, The story of Ken Rosewall, Australia’s little master of the courts. Un saluto con tanto di inchino, oseremo dire doveroso nonostante acciacchi vari, la dedica sull’opera appena “sfornata” e via di corsa a parlare di quella che è stata, soprattutto da queste parti dove non ha mai vinto (quattro finali: ’54 contro Drobny, ’56 contro Hoad, ’70 contro Newcombe e ’74 contro Connors), la sua vita tennistica. Parlando della partita più importante giocata all’England Club (“quella con Connors in finale nel ’74. Avevo quarant’anni, ero già vecchio…”) o, magari, del più grande di sempre (“Pancho Gonzalez, che quando eravamo professionisti avrò incontrato 70 volte, vincendo soltanto in otto, nove occasioni”). Poi il resto, che leggerete, se avrete pazienza di farlo, sulla nostra rivista…