dal nostro inviato a Cagliari, GIANLUCA ATLANTE –
Ricordi di cronista giovane, senza telefonino, con pochi soldi in tasca, ma con la possibilità di presenziare, da spettatore non pagante, ad un match di Coppa Davis. Con un piccolo registratore, di quelli a cassetta per intenderci, come testimone, semmai ce ne fosse stato bisogno (e, fortuntamente, è stato così), di quella che sarebbe stata la quattro giorni sarda (strada facendo, vi spiegherò anche il perché) guadagnata, con successo, grazie agli amici dell’Agenzia Area. Era il 1 febbraio del 1990 quando, con Michela Rossi, se la memoria non fa cilecca e Gianni Clerici, presi un taxi a “babbo morto” dall’Hotel Mediterraneo, per raggiungere la sede del sorteggio. Perchè allora, lo stesso, era un qualcosa che solleticava il palato fine di tutti, quanto e più i match stessi. Era un giovedì, la vigilia del match. Con Adriano Panatta e i suoi validi discepoli: Paolo Canè, Omar Camporese, Diego Nargiso, oltre a Claudio Pistolesi e Stefano Pescosolido. Dall’altra parte, Mats Wilander, Jonas Svensson, Anders Jarryd e Jan Gunnarson. E quel sorteggio, pronti via, mise subito di fronte Paolo Canè, fisico asciutto e chioma folta a Jonas Svensson. Paolino la peste partì male, molto male.
Perse i primi due set, racimolando soltanto cinque giochi (6/3 6/2 per lo scandinavo), vinse il terzo per 6/3, il quarto con lo stesso punteggio, sino a dilagare nel quinto, nel quale lasciò la miseria di un gioco al collega svedese. Il tutto, tra il tripudio del popolo tennistico sardo, ignaro forse di quello che sarebbe accaduto più tardi e nei giorni a venire, ma spetattore, in questo caso pagante, di uno spettacolo, forse, inatteso. Anche perché, nel secondo singolare, un giovanissimo Omar Camporese, ventidue anni in quel tempo, dopo aver perso i primi due set, entrambi per 6/4, contro Mats Wilander, numero dieci della classifica mondiale (65 la posizione occupata, invece, dal bolognese), provò la rimonta, vincendo il terzo per 7/5 e dominando il tie break del quarto (7/1). Al quinto, però, la sua rincorsa venne soffocata sul nascere al decimo gioco. Il tutto in un venerdì da leoni, un tantino freddino per la Cagliari isolana, ma pur sempre bello e avvincente. La tavola, però, era ancora povera di pietanze. E così, dopo l’antipasto del giorno prima, arrivò un primo piatto da lecccarsi i baffi il giorno dopo, un sabato di inizio febbraio datato 3. A servirlo, su di un piatto d’argentino, lo stesso Paolo Canè e Diego Nargiso, doppista tra i più forti in circolazione: tre set a zero (7/5 6/1 7/5 il punteggio finale) a Gunnarsson e Jarryd e via a dormire sonni di gloria tra le braccia di Morfeo. E il giorno dopo? Ecco, appunto. Il giorno dopo il 22enne Camporese illuse tutti quanti portando a casa (7/2) il tie break iniziale contro Jonas B. Svensson, prima di lasciare campo e gloria allo scandinavo, che nei tre succesivi set, lasciò la miseria di cinque giochi (6/1 6/3 6/1) al bolognese. Il tutto mentre, tra un’interruzione e l’altra, la notte stava per avvolgere Cagliari, il Tennis Club gremito all’inverosimile, Paolo Canè e Mats Wilander. Anche perché “Paolino la Peste” da Bologna, pensò bene di vincere il primo set per 6/4, perdere i successivi due con il punteggio di 6/3 6/4, prima di succhiare la ruota al suo avversario, con il 7/5 del quarto: tutti a nanna, appuntamento a lunedì 5 febbraio, di buon mattino, per evitare contraccolpi con l’imminente “Muratti Time” di Milano, per il quinto set.
E lì, Adriano Panatta, quasi mummificato nella sua sediolina, guidò, come il migliore dei telecomandi, alla vittoria Paolino. Il 7/5 finale, in una Cagliari deserta, ma non certo dalle parti del Parco dei Monti Urpinu, dove la passione ribollente del pubblico sardo, spinse il bolognese a rincorrere l’impossibile, a tuffarsi come un Albertosi d’annata (lì, lo hanno conosciuto bene), per domare l’eroe di Vaxjo, semifinalista dieci giorni prima agli Australian Open, sconfitto dal connazionale Edberg. Quel set, quell’unico set, Canè lo vinse con il punteggio di 7/5. Ed oggi, nel ricordarlo, pensiamo a quella Cagliari tennistica che, senza nulla togliere alle nostre donne, sembra davvero una lontana parente di quella che ci apprestiamo a vivere. Altre storie. Da raccontare, ma altre storie…
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