Us Open: Berdych mostra la ruggine a Hewitt

TENNIS – US OPEN – DI SALVATORE DE SIMONE – Thomas Berdych batte agevolmente Lleyton Hewitt in tre set con il punteggio di 63 64 63. Il ceco ha avuto problemi solo nel secondo set a domare l’australiano, che 10 anni fa giocò la sua ultima finale newyorkese.

Dieci anni fa Lleyton Hewitt arrivò in finale allo Us Open e fu battuto piuttosto nettamente da Roger Federer. Lo svizzero con quella sontuosa prestazione fece capire definitivamente di possedere una marcia in più (ma anche più di una) rispetto agli altri e a uno Hewitt letteralmente frastornato non restava altro che ammettere umilmente di non poter aver possibilità nei tornei importanti contro un tennista di così alta levatura. Ma all’epoca l’australiano, con Roddick, era pur sempre il giocatore più forte dopo lo svizzero e molti pensarono che comunque qualche altro Slam, dopo i trionfi a New York nel 2001 e a Wimbledon l’anno dopo, sarebbe riuscito a metterlo in bacheca.

Ma l’arrivo di altri fuoriclasse, Rafael Nadal e Djokovic su tutti, e i tanti infortuni hanno impedito a Hewitt di poter essere davvero protagonista nei major, tanto che il risultato più notevole raggiunto dall’aussie è rimasto la finale all’Australian Open persa contro Safin, qualche mese dopo la batosta subita a New York contro Federer.

Lo stesso Federer che, sempre dieci anni fa, qualche settimana prima del trionfo allo Us Open era stato sorprendentemente eliminato alle Olimpiadi di Atene da un giovane di belle speranze: Thomas Berdych, avversario di “Rusty” Hewitt nel match di primo turno appena concluso. La vittoria in Grecia contro Roger sembrava l’inizio di una luminosa carriera per il ceco, dotato di un servizio e un diritto devastanti, capace di muoversi velocemente sul campo nonostante l’altezza e di giocare anche abbastanza bene al volo le poche volte che si avventura rete. Ma, in questo decennio trascorso dalle Olimpiadi ateniesi, il grande bagaglio tecnico a disposizione di Berdych non è stato molto supportato dalla forza mentale necessaria per potere ottenere risultati importanti nei tornei più prestigiosi; il massimo exploit del ceco a livello Slam è stato infatti la finale di Wimbledon del 2010 persa contro Nadal, l’unica finora disputata.

Per il resto si è limitato nei major a essere una pericolosa mina vagante, soprattutto sul cemento, capace ogni tanto di qualche impresa contro i più forti in una giornata in cui fosse particolarmente ispirato. A onor del vero anche fuori dagli Slam il ceco non ha inciso più di tanto: nove tornei, tra questi il  Parigi-Bercy del 2005. Un po’ poco per un tennista che avrebbe potuto, e dovuto, vincere molto di più.

In ogni caso, nonostante una stagione piuttosto opaca, il ceco arrivava da favorito nel suo match d’esordio a New York, dato che comunque parliamo di un giocatore di talento stabilmente posizionato nella top ten. Ma il buon momento che attraversa Hewitt, il quale qualche settimana fa ha vinto il suo trentesimo titolo Atp a Newport, poteva far pensare che gli spettatori, se non proprio a una sorpresa, avrebbero assistito a una bella battaglia.

Ma non è andata così. Il match non ha avuto molta storia: Berdych ha tenuto il pallino del gioco fin dall’inizio e ha avuto momenti di difficoltà solo nel secondo set, quando ha dovuto recuperare un break di svantaggio e annullare qualche palla break di troppo. Ma nell’insieme Hewitt non è riuscito con i suoi recuperi e i contrattacchi da fondocampo a tenere a freno la potenza e la precisione di un Berdych decisamente in giornata.

Il ceco si trova a suo agio sul cemento di New York (due anni fa riuscì a eliminare Federer, il quale era appena reduce dal trionfo di Wimbledon) e il tabellone non è difficilissimo per lui, almeno fino ai quarti, dove dovrebbe trovarsi di fronte David Ferrer. Vedremo se saprà sfruttare appieno il suo talento in modo da non essere una belva che non riesce a tirare fuori gli artigli nelle sfide decisive, come troppo spesso si è rivelato in passato.

Hewitt è stato un po’ sfortunato nel sorteggio. Peccato, anche perché è sempre bello vedere un tennista che non demorde mai, con i suoi auto incitamenti, le urla per qualche palla break sprecata, la rabbiosa sconsolatezza quando un nastro devia una palla, che se non il match avrebbe almeno potuto cambiare un parziale. L’australiano è un trentatreenne che ancora ama il suo gioco, nonostante l’età che avanza e forse il rimpianto di una carriera che avrebbe potuto essere ancora più prestigiosa se non ci fossero stati dei fuoriclasse assoluti come Federer, Nadal e Djokovic. Ma ha sempre la voglia di lottare, quella forza che gli permette di recuperare un break del terzo set in una partita ormai segnata per tentare di rimanere ancora per qualche minuto sul rettangolo di gioco. Una lezione di professionalità che qualche giovincello dovrebbe mandare a memoria. Rimani per un po’ ancora con noi, Rusty.

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