Resterà per sempre il primo italiano ad aver vinto un titolo slam, a Parigi, nel 1959. Successo che doppiò l’anno dopo. Ed il capitano della squadra che nel 1976 tornò dal Cile con la Coppa Davis, anche quella una prima volta. Nicola Pietrangeli se n’é andato a 92 anni e con lui si chiude una […]
02 Dic 2025 12:45 - Senza categoria
Pietrangeli, l’uomo tennista che rimase sempre un pò bambino
di Daniele Azzolini
Nicola Pietrangeli fu insieme tennista, uomo e bambino, in un curioso ma elegantissimo assemblaggio che impediva di separare l’una parte dall’altra. Lo fu per anni, ma non per sempre. Il 4 luglio scorso venne a mancare per un male incurabile Giorgio, 59 anni, il secondo dei tre figli avuti da Susanna Artero. Lì scomparve anche quel modo di Nick di essere bimbo di fronte alla vita, ai suoi incanti, alle inevitabili sofferenze. Avrebbero potuto definirla la sua parte più instabile e meno matura, invece rappresentava il suo “io” più solido, quello in cui trovava riparo il resto di sé e insieme una ragione per andare oltre, e dare colore alla sua vita. «Tocca ai padri andarsene prima dei loro figli», disse in un’intervista accorata, forse già cominciando a preparare la sua uscita di scena, che è giunta ieri, a 92 anni compiuti.
Vivere, senza malinconia. Ridere, delle follie del mondo. Perché la vita è bella, e la voglio vivere sempre più… Nicola Pietrangeli era un lasciapassare senza scadenza, un abbonamento per visitare il mondo. Conosciuto, sempre atteso, desiderato. “Er Francia”, lo chiamavano al Parioli. Non parlava italiano, masticava appena qualche parola. Si esprimeva in francese. Veniva da Tunisi, dove il nonno e il padre avevano costruito un piccolo impero. Ma con l’insediamento del nuovo governo filo francese cambiò tutto nel giro di poche settimane. La famiglia subì la confisca di tutti i beni personali e aziendali e fu trattenuta in un campo di prigionia prima della partenza per l’Italia. Avrebbero potuto salvare tutto se nonno Michele avesse ceduto l’azienda alla mamma di Nicola, Anna de Yourgaince, figlia di un alto militare russo, passaporto francese ricevuto come esule bolscevica. Ma il nonno non cedette, e i Pietrangeli si ritrovarono diseredati. Giunsero a Roma nel primo dopo Guerra, ma Giulio, il padre di Nicola, era uomo dalle molte risorse. Lavorò anche come becchino, poi trovò un impiego all’ambasciata francese e presto riprese a fare l’imprenditore. Primo importatore ufficiale per l’Italia delle chemises a nido d’ape. Monsieur Lacoste, lo chiamavano al Parioli, dove c’era un soprannome per tutti. Costavano tremila lire con lo sconto: una fortuna! La benzina era a 20 lire al litro.
Nicola sarebbe diventato tennista e con il tempo avrebbe rilevato l’azienda del padre. Monsieur Giulio aveva già dispiegato la propria strategia, senza però tener conto del parere di Nick. Il quale, con la racchetta ci sapeva fare davvero, colpiva con gesti naturali, era veloce e trovava sempre la giusta posizione delle gambe nelle ribattute, ma quando deviava dal circolo, per indossare gli scarpini da calciatore sul campo delle Rondinelle, che sorgeva poco oltre il Parioli, a via Tiziano, passava da “grande speranza del tennis” a “sicuro campione del calcio”. Difensore dai piedi buonissimi, duro e creativo. L’amata Lazio lo prese a bordo, nelle giovanili. Il padre Giulio soffriva in silenzio.
Alla fine, la volontà paterna ebbe la meglio. Tennista per sempre, «ma a modo mio» volle precisare Nicola. Non aveva bisogno di allenarsi né di studiare la tecnica. Ken Rosewall, ammirato del suo talento, inventò per lui questa breve parabola: «Se tutti i migliori tennisti si fossero ritrovati per tre mesi confinati su un’isola deserta, senza racchette né possibilità alcuna di allenarsi, e subito dopo li avessero obbligati a giocare tre tornei di fila, così, a freddo, quei tre tornei li avrebbe vinti Pietrangeli. A mani basse». I colpi di Nicola sgorgavano spontanei e le intuizioni erano il suo divertimento, facevano parte della ferma volontà di essere felice. Il sentimento che ha fatto da architrave alla sua vita.
Grande affabulatore, Nicola. Un’arte appresa nel circolo, insieme alla lingua italiana. Un modo di raccontare che si riempie di battute e rinnova di continuo le storie già sentite altre volte. Anche negli ultimi tempi ascoltarlo era un piacere. Fu durante un volo di rientro da Parigi, cinque anni fa, che Nicola mi volle seduto accanto. E mi raccontò di una vicenda a dir poco incredibile, che lo vide protagonista a Los Angeles in un gala organizzato dalla Pasta De Cecco, con la partecipazione di Chris Evert e Nancy Sinatra. Lui era fra gli invitati, ma nessuno lo conosceva, finché si sparse la voce che fosse il patron, il signor De Cecco in persona, e lui zitto, per non deludere nessuno. Trascorse l’intera serata a parlare di pasta e fece un figurone, con la Evert – che invece lo conosceva benissimo – rossa di vergogna. Ci sono le foto a testimoniare dell’evento, lui e Frank Sinatra assieme, The Voice e mr. De Cecco nella didascalia.
Ma l’apprendistato non mancò, nemmeno per lui che aveva in dote l’arte di rendere facili le cose. Anzi, fu lungo, e persino faticoso. Nel 1952, diciottenne, giocò i primi Internazionali, due anni dopo prese forma il doppio con Sirola, durerà 10 anni. La prima vittoria nei Major arrivò al Roland Garros, nel misto: era il 1958 e Nicola faceva coppia con Shirley Bloomer, inglese di gambe robuste.
E siamo al 1959. Pietrangeli è a un passo dai 26 e sa che prima o poi toccherà a lui vincere. Del resto, la fuga dei giocatori più forti verso il professionismo sta cambiando i connotati al circuito. Testa di serie numero tre, Nick entra in gioco al 2° turno contro il messicano Llamas, poi batte lo spagnolo Couder e negli ottavi Torben Ulrich, musicista e pittore di grandi doti, tipo eccentrico e padre di Lars Ulrich, batterista dei Metallica. Nei quarti, contro Knight, altra passeggiata ma la semifinale si annuncia per cuori forti, anche se Neale Fraser, australiano, non è nato per la terra rossa. Tre set e via… Pietrangeli giunge in finale con un solo set perduto. È il 31 maggio 1959, e un italiano ha la possibilità di vincere il primo Grand Slam della nostra storia. Ian Clyde Vermaak, 26 anni, sudafricano, è la quarta testa di serie. Per grazia ricevuta, dato che di risultati – fuori dal suo Paese, il Sud Africa – ne vanta davvero pochi. Nick lo conosce bene ed evita di sottovalutarlo, anche se l’avvio fu tutto per il sudafricano. Pietrangeli fece sfoggio di calma e sapienza tattica, s’impossessò del palleggio, rallentò e cercò angoli lontani. Pareggiato il conto, il match si avviò alla sua fine più ovvia e il quarto set si trasformò addirittura in passerella. Il tempo di alzare la Coppa e subito il doppio. Vittoria su Emerson e Fraser. Il trionfo di Nick era completo.
La seconda parte della carriera di Nicola comincia qui e fu più che luminosa. Ancora un titolo a Parigi nel 1960 (contro Ayala), le finali perse con Santana nel 1961 e nel 1964, il secondo successo negli Internazionali del 1961 a Torino, per il centenario dell’unità d’Italia, su un Laver dominato in 4 set, ma ormai prossimo (nel 1962) a conquistare il primo dei due Grand Slam. Furono 44 complessivamente le vittorie. Poi il resto… L’invenzione del calcetto. E tanta Davis, due volte da finalista, due da capitano. Le polemiche per il viaggio in Cile e la vittoria. Il matrimonio con la modella Susanna Artero, e l’amore per Licia Colò. Una lunga storia, nella quale Nicola seppe trovare il suo inconfondibile modo di stare al mondo. Con la sua indiscutibile eleganza e uno sguardo da bambino.