Sinner e la Nazione immaginaria

Di Marco Nocita

La notizia è arrivata in un pomeriggio tranquillo e ha acceso un intero Paese: Jannik Sinner non giocherà la fase finale della Coppa Davis 2025 a Bologna. In pochi minuti, bar, chat, social e tavolate si sono trasformati in tribunali popolari. Perché, in Italia, non c’è nulla di più serio di un caffè, una bandiera e un’opinione.

C’è chi lo accusa di egoismo, chi di mancanza di spirito patriottico, chi addirittura di “tradimento”. Eppure, in mezzo a tutto questo rumore, rischiamo di dimenticare una cosa semplice: Sinner è, prima di tutto, un tennista.

Il tennis è uno sport individuale. L’idea di “nazione” è una sovrastruttura che, per una settimana l’anno, tenta di infilarsi in un circuito fatto di classifiche, calendari, punti da difendere e carriere costruite centimetro dopo centimetro. In questo calendario serrato, ogni scelta pesa. E quella di Sinner è stata una scelta personale, professionale, calcolata per arrivare pronto alla stagione australiana, dove difenderà punti e ambizioni.

Chi gioca a tennis lo sa. Anche a livelli molto più bassi, le dinamiche non sono poi così diverse. Nelle serie regionali o nei tornei FITP, capita di dover scegliere tra la squadra e un torneo individuale più importante per la propria classifica. Non è cattiveria. È tennis.

E allora, se un giocatore di terza categoria può rinunciare a una domenica di coppa comitato per prepararsi a un torneo che per lui conta di più, perché non dovrebbe farlo chi gioca per vincere Slam?

La differenza tra il circolo di provincia e l’ATP è nella velocità — non nella logica. Il professionismo corre a 220 km/h, ma la dinamica resta identica: ogni tennista, a ogni livello, prende decisioni pensando al proprio percorso.

Ecco perché ridurre la scelta di Sinner a un tradimento della “nazione” è un’illusione romantica. La nazione, nel tennis, è spesso una bandiera sventolata da chi guarda. La squadra, invece, è qualcosa che si vive in campo. E su quel campo Sinner ha già dato e continuerà a dare moltissimo.

Forse, più che puntare il dito, dovremmo solo riconoscere il valore di un atleta che ci ha fatto, ci fa e ci farà emozionare. E accettare che, in fondo, non è un peccatore. È semplicemente un tennista. Il migliore che l’Italia abbia mai avuto.

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