Resterà per sempre il primo italiano ad aver vinto un titolo slam, a Parigi, nel 1959. Successo che doppiò l’anno dopo. Ed il capitano della squadra che nel 1976 tornò dal Cile con la Coppa Davis, anche quella una prima volta. Nicola Pietrangeli se n’é andato a 92 anni e con lui si chiude una […]
Di Marco Nocita
La notizia è arrivata in un pomeriggio tranquillo e ha acceso un intero Paese: Jannik Sinner non giocherà la fase finale della Coppa Davis 2025 a Bologna. In pochi minuti, bar, chat, social e tavolate si sono trasformati in tribunali popolari. Perché, in Italia, non c’è nulla di più serio di un caffè, una bandiera e un’opinione.
C’è chi lo accusa di egoismo, chi di mancanza di spirito patriottico, chi addirittura di “tradimento”. Eppure, in mezzo a tutto questo rumore, rischiamo di dimenticare una cosa semplice: Sinner è, prima di tutto, un tennista.
Il tennis è uno sport individuale. L’idea di “nazione” è una sovrastruttura che, per una settimana l’anno, tenta di infilarsi in un circuito fatto di classifiche, calendari, punti da difendere e carriere costruite centimetro dopo centimetro. In questo calendario serrato, ogni scelta pesa. E quella di Sinner è stata una scelta personale, professionale, calcolata per arrivare pronto alla stagione australiana, dove difenderà punti e ambizioni.
Chi gioca a tennis lo sa. Anche a livelli molto più bassi, le dinamiche non sono poi così diverse. Nelle serie regionali o nei tornei FITP, capita di dover scegliere tra la squadra e un torneo individuale più importante per la propria classifica. Non è cattiveria. È tennis.
E allora, se un giocatore di terza categoria può rinunciare a una domenica di coppa comitato per prepararsi a un torneo che per lui conta di più, perché non dovrebbe farlo chi gioca per vincere Slam?
La differenza tra il circolo di provincia e l’ATP è nella velocità — non nella logica. Il professionismo corre a 220 km/h, ma la dinamica resta identica: ogni tennista, a ogni livello, prende decisioni pensando al proprio percorso.
Ecco perché ridurre la scelta di Sinner a un tradimento della “nazione” è un’illusione romantica. La nazione, nel tennis, è spesso una bandiera sventolata da chi guarda. La squadra, invece, è qualcosa che si vive in campo. E su quel campo Sinner ha già dato e continuerà a dare moltissimo.
Forse, più che puntare il dito, dovremmo solo riconoscere il valore di un atleta che ci ha fatto, ci fa e ci farà emozionare. E accettare che, in fondo, non è un peccatore. È semplicemente un tennista. Il migliore che l’Italia abbia mai avuto.