Resterà per sempre il primo italiano ad aver vinto un titolo slam, a Parigi, nel 1959. Successo che doppiò l’anno dopo. Ed il capitano della squadra che nel 1976 tornò dal Cile con la Coppa Davis, anche quella una prima volta. Nicola Pietrangeli se n’é andato a 92 anni e con lui si chiude una […]
La finale femminile del torneo di singolare dello US Open vedrà di fronte Aryna Sabalenka e Amanda Anisimova, opposte l’una contro l’altra per la terza volta consecutiva a livello Slam nel 2025 con una vittoria a testa fin qui. La statunitense, però, è avanti 6-3 nei confronti diretti assoluti contro la rivale ed è addiriittura a tre vittorie su quattro partite giocate nei Major.
Che Anisimova sia per Sabalenka una giocatrice scomoda lo si capiva fin dal primo confronto diretto, in un terzo turno dell’Australian Open 2018. Quel giorno, Amanda si prese gioco della forza che Aryna mise in campo levandole tempo sulla palla quasi da subito e dominando gli scambi al punto che a metà del secondo parziale l’attuale numero 1 del mondo aveva la faccia di chi non sapeva proprio cosa fare. Tanto è passato da allora e oggi Sabalenka è un’altra giocatrice, ma ha sempre qualche difficoltà di troppo a gestire giocatrici di questa tipologia quando riescono a esprimersi bene in campo.
Soprattutto, però, Sabalenka sarà oggi nella scomoda posizione di chi spalle al muro non potrà sbagliare perché è la terza finale Slam della stagione per lei e arriva da due brutte sconfitte, l’ultima ai limiti della tragedia sportiva a Parigi contro Coco Gauff. Se da un lato ha pressoché le mani sulla giocatrice migliore della stagione, dall’altro sente di aver raccolto molto meno di quanto seminato e i titoli fin qui sono solo tre (Brisbane, Miami e Madrid), con finali pesanti perse e sconfitte brucianti ogni volta che non arrivava all’ultimo atto. Questa è un po’ la situazione di chi è leader della classifica, ma se da un lato sembra gonfiarsi il petto dicendo che le piace la pressione che questo ruolo comporta, dall’altro poi c’è il campo in cui troppo spesso si fa prendere da nervi e tensione nei momenti più importanti, generalmente le fasi finali dei tornei. È assolutamente in grado di vincere o fare partite di assoluto valore (quando perse a Madrid nel 2024, per esempio, mancò tre match point ma non ci fu alcun vero rimpianto) ma tante volte sembra la prima a incartarsi. Un anno fa, contro Jessica Pegula, vinse un durissimo primo set dal punto di vista mentale e pur salendo 3-0 e servizio nel secondo subì un contraccolpo da cinque game consecutivi per la statunitense prima di riassestarsi e metterne a sua volta altri quattro.
Anisimova, che viene dal 0-6 0-6 di Wimbledon, ha una chance enorme per rifarsi immediatamente. Dal suo punto di vista avrebbe solo da guadagnare, ma per quanto anche lei si dica eccitata (la nostra traduzione di “excited”) ha tanto da lavorare su se stessa per essere in campo con valore. A Wimbledon fu presa malissimo da tensione e stanchezza mentale, ammise di non essersi allenata alla vigilia per cercare di riposare dopo le grandi fatiche di una semifinale lunga e assai dispendiosa sotto tanti aspetti e, nell’ultimo atto, subì il brutale trattamento di Iga Swiatek che come tante volte ha fatto non ha avuto alcuna pietà di un’avversaria in ambasce. E così subì una sconfitta che passerà agli annali. Ora il cammino non è stato troppo dissimile, perché sì ha preso la sua rivincita sulla polacca, ma in semifinale è rimasta in campo tre ore per vincere una lotta punto a punto contro Naomi Osaka, chiusa soltanto quando a New York era l’una del mattino del venerdì, alla vigilia della finale. Per i tempi che ha questo sport, vuol dire essere nel letto non prima delle quattro tra defaticamento, fisioterapia, impegni con i media e tutto quanto c’è di contorno.
C’è ancora tutto perfettamente in bilico su ogni scenario, nella speranza che le due riescano a mostrare il loro miglior gioco.