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12 Set 2025 12:52 - Extra
Alcaraz ha raggiunto il suo massimo? No, il meglio deve ancora arrivare
di Davide Bencini
22 anni e 4 mesi.
Questa l’età a cui Alcaraz si è prepotentemente ripreso il posto da numero 1 del mondo. E l’accento su “prepotentemente” va più volte rimarcato proprio per il fatto che la vittoria di New York ha dimostrato nella maniera più perentoria possibile quanto il murciano abbia voluto questa affermazione. Di fronte a tanti scettici che dopo la sconfitta in finale a Wimbledon contro un Sinner che molti già definivano in “vantaggio psicologico” su Carlitos, questi senza battere ciglio ha inanellato una serie di tornei e soprattutto di prestazioni che hanno abbattuto e ammutolito ogni dubbio. E soprattutto, a chi sosteneva già dopo Londra che Sinner avesse trovato la chiave per battere Alcaraz, lui non solo ha dimostrato che se vuole diventa a piacere San Pietro, ma rischia di aver terrorizzato l’ambiente anche per gli anni a venire, quasi a voler far intendere “guardate che se mi ci metto son guai per tutti”.
La vittoria a New York è stato un capolavoro di testa e costanza. Solo un cieco sarebbe capace di negare che la vittoria in finale a Flushing Meadows è stata prima di tutto tattica. Certo, a Sinner non entrava una prima di servizio nemmeno se gli toglievano la rete, ma ciò non toglie che lo spagnolo per tutta la partita, in ogni scambio superiore a 4 colpi, non ha dato a Sinner una palla uguale a quella precedenti (e qui la mente di Ferrero ha fatto un piccolo miracolo), alternando back, accelerazioni, top spin, palle alzate e colpi piatti. Il tutto “ciliegiando” il repertorio persino con un paio di finte palle corte in chop alla Federer di annata.
In passato si è detto di Alcaraz che quando in una partita alza il livello laddove gli umani non possono arrivare non ce n’è, ma che quel livello sia frutto di situazioni anche particolari, da “acqua alla gola”, o che venga fuori quando ci sia da dare la “spallata” al match: di modo che lo spagnolo, nelle altre parti della partita risultasse quasi addormentato, a svolgere un compitino che poi però a Wimbledon non gli era bastato. L’impressione invece è che in finale a New York si sia visto un Alcaraz diverso, che magari non si è mai elevato al di sopra dei comuni mortali ma che è riuscito a tenere un livello altissimo per tutta la partita – parlare di tre set su quattro è oltremodo riduttivo, dato che l’unica distrazione è stato il break perso nel secondo set che è poi costato il parziale (infatti le palle break a fine match per sinner saranno 1/1). È stato un Carlitos centratissimo, quasi come se lui e Ferrero fossero finalmente riusciti a domare quei colpi di testa che portavano la sua genialità ad andare fuori giri, finendo per ingarbugliarlo in meandri di tennis confusionario e partite complicatesi d’improvviso. Lo stesso Ferrero spesso ha paventato dubbi sulla tenuta soprattutto mentale del suo tennista, rimproverandogli a volte il fatto di “distrarsi” troppo da quello che dovrebbe essere il suo lavoro.
Ma ciò che ne è venuto fuori è un Alcaraz spaventoso, specialmente in ottica futura.
Ogni tifoso di Sinner ha chiaramente tutto il diritto di pensare che l’italiano non si siederà a piangere sui suoi problemi ma lavorerà duramente per migliorarsi (lo ha già detto). Ma i dubbi che mette una prestazione come quella di Alcaraz saranno tanti e il pensiero che “se questo gioca così e lo fa in modo costante agli altri restano le briciole” è passato in testa un po’ a tutti.
E non bisogna dimenticare che stiamo parlando di un fenomeno di 22 anni. Cioè due in meno di Sinner. Si parla spesso dei miglioramenti fatti negli anni da Djokovic e di come Sinner in un certo senso gli somigli, ma quello che si dimentica è che Nole (per quanto fenomeno forse inarrivabile) ha cominciato a diventare ingiocabile con un Federer che aveva già 30 anni e con un Nadal che aveva già passato il suo apice (malgrado i risultati raggiunti in seguito). Sinner avrà sempre a che fare con un fenomeno di due anni più giovane di lui, che, se affinerà ancora i colpi e la mentalità mostruosa che ha già, sarà molto ma molto difficile da affrontare.
La sensazione a New York è palesemente stata che Sinner, per avere delle possibilità, avrebbe dovuto giocare al suo massimo, e che forse neanche quello sarebbe bastato.
Il grosso quesito che forse molti si stanno ponendo è “quanto davvero può migliorare Alcaraz?”; un Alcaraz che moltissimi ritenevano già completo e poco migliorabile e che invece ha fatto vedere quanto, mettendo a posto un po’ di cose qua e là, possa diventare un giocatore inimmaginabile. In pochi mesi abbiamo visto un servizio migliore, un rovescio diventato fluido e solido (prima di tutto in lungo linea) e soprattutto, come già detto, un focus su ogni punto dal punto di vista delle scelte che prima pareva sconosciuto. Inoltre questo spagnolo atipico per la nazione dalla quale arriva gioca ogni singolo colpo con una velocità di esecuzione e una naturalezza e un timing nelle gambe che nemmeno Federer alla sua età aveva. Aggiungendoci peraltro una dose di fegato e killer instinct che lo svizzero, ammettiamolo, troppe volte in carriera smarriva. Ha un atletismo e un’esplosività che si riversano perfettamente come coordinazione nei colpi che gioca e nessun colpo del repertorio sembra mai sforzato o più macchinoso di altri.
Diventerà una macchina perfetta? Forse no, ma la sensazione è che se si metterà in testa di fare il tennista tutto l’anno, potrà fare quello che vuole e gli altri resteranno a sbucciar cipolle. Magari avrà sempre i suoi alti e bassi, ma anche Federer, Nole e Nadal li avevano e a un certo punto hanno preferito puntare sugli slam magari anche per “sfogare” altrove quei bassi.
L’impressione è che se Alcaraz riuscirà davvero a mostrare costanza di rendimento e giocare con questa concentrazione continuando ad affinare la sua tecnica, quel numero uno resterà prenotato a lungo e nel giro di 2-3 anni avremo davanti qualcosa di mai visto prima. E italiani o meno, se sarà così, non si potrà che ammirare…