Resterà per sempre il primo italiano ad aver vinto un titolo slam, a Parigi, nel 1959. Successo che doppiò l’anno dopo. Ed il capitano della squadra che nel 1976 tornò dal Cile con la Coppa Davis, anche quella una prima volta. Nicola Pietrangeli se n’é andato a 92 anni e con lui si chiude una […]
Iga Swiatek ha firmato il suo capolavoro più bello e al tempo stesso il più inaspettato, con un peso specifico enorme sul resto della sua carriera. Lei che ha giurato amore eterno a Parigi fin da quando aveva 15 anni e arrivava al Roland Garros per la prima volta, sognando di vincere su quei campi dove dettava legge il tennista a cui si sentiva più vicina, Rafael Nadal, ha scoperto una gioia nuova e inattesa sull’erba di Wimbledon.
Il calendario aveva sempre costretto, per così dire, Iga ad arrivare a Londra con un importante bagaglio di improvvisazione per affrontare lo Slam su erba, dopo aver dato anche l’anima per circa due mesi sulla terra battuta. Ne ha parlato più volte lei per prima: non avrebbe mai sacrificato un torneo sul rosso, e così il tempo a disposizione per cercare una soluzione al verde era spesso inesistente. Quanto fatto in questo 2025 che fino a tre settimane fa vedeva nubi scure sopra la sua testa malgrado risultati che finirebbero per essere accettabili per tante, però, ha ribaltato il mondo.
A inizio maggio noi di oktennis raccontavamo tutto un susseguirsi di vicende per cui Swiatek stesse faticando a ritrovare se stessa e le sconfitte tra Madrid e Roma sembravano un doppio gancio da cui potevano passare mesi per riprendersi. Le qualità generali di Swiatek non erano in discussione, ma si vedeva una giocatrice che sembrava star male anche solo all’idea di non riuscire più a controllare o incanalare nella giusta maniera alcune reazioni in campo. Il problema vero, per capirci, non era la pallata finita vicina a un raccattapalle a Indian Wells o lo sfogo al cambio campo a Madrid ma come gli episodi sembrassero più frequenti. Non aveva dimenticato come giocare, ma non riusciva più a giocare come voleva, presa dalla fretta e da una mente che non riusciva più a chiudersi nella solita bolla.
A posteriori, però, il primo vero passo in avanti è forse giunto dalla sconfitta contro Danielle Collins al Foro Italico quando lei per prima ha trovato la forza di cambiare passo. È arrivata al Roland Garros quasi due settimane prima dell’inizio del torneo e ha lavorato a lungo in campo con Wim Fissette, sommerso pure lui da pesanti critiche come forti erano quelle verso la psicologa Daria Abramowicz. Eppure, quando tutti pensavano Iga fosse sul punto di crollare definitivamente, è riuscita a risollevarsi arrivando a un set da una quarta finale consecutiva. Il 6-0 subito contro Aryna Sabalenka era pesante, ma è riuscita a dar seguito alle belle prestazioni e col suo coach hanno fatto una settimana ulteriore di lavoro a Maiorca, all’accademia di Rafael Nadal, dove si son concentrati tanto sui movimenti in campo e sul servizio. Guarda caso, le novità più evidenti fin dalla settimana di Bad Homburg.
Swiatek ha messo in fila sette partite in un crescendo continuo e un atteggiamento inappuntabile, trasportando sulla superficie “nemica” quello che è stato il rendimento tra cemento e terra battuta arrivando a 22 titoli tra cui quattro Slam, 10 WTA 1000 e un trionfo alle WTA Finals a soli 23 anni. Più il torneo proseguiva, più sembrava a suo agio dentro e fuori dal campo in una maniera come non si vedeva da almeno un anno. E il primo segnale di quanto stessero cambiando i soliti spartiti è giunto dalle avversarie che volta per volta ripetevano in conferenza stampa quanto fosse difficile giocare contro di lei. Clara Tauson aveva battuto Elena Rybakina, una delle principali favorite almeno alla semifinale, al terzo turno e nel match successivo sembrava smarrita ammettendo non ci fosse nulla che potesse fare per entrare nel match. In un Wimbledon femminile divenuto ancora una volta una roulette, Iga aveva l’atteggiamento di chi fosse sempre più convinta di avere una chance importante e in finale, contro Amanda Anisimova, aveva una borsa piena di motivazioni: c’era il digiuno di titoli da interrompere, uno Slam unico per la sua storia, la voglia di risentirsi grande, il desiderio di svoltare la stagione in un’occasione che (chissà) forse resterà l’unica nella carriera.
Si è mangiata il campo, non togliendo mai il piede dall’acceleratore. Rispondeva aggressiva, serviva a punte di 195 chilometri orari con velocità medie in tutto il torneo superiori a ogni altra, faceva girare il dritto mettendo pezze significative a quello che normalmente è il suo punto debole principale sulla superficie. Ci sono anche demeriti dell’avversaria, perché il risultato ha rispolverato dati storici, ma su questo Swiatek non ha responsabilità e tante delle sue finali vinte hanno avuto passivi di questa portata. Per tanti, una volta preso il vantaggio definitivo, uno o due game tendenzialmente si possono concedere, ma Iga non è così: tra l’altro, le due finali Slam in bilico sono state entrambe riaperte da un 6-2 3-0 di vantaggio con l’avversaria abile a sfruttare l’occasione per scuotersi ed entrare nel match. Dal suo punto di vista la domanda è chiara: perché concedere qualcosa che può portarla a rischi inutili?
Solo dopo l’ultimo rovescio è parsa realizzare di aver fatto un’impresa che, per parole sue, nemmeno immaginava tanto sentiva lontano quel trofeo. Lo sguardo incredulo al suo angolo, la caduta a terra, l’urlo di gioia e un sorriso che non è più svanito dal suo volto, la rincorsa ad abbracciare il suo angolo, l’attimo di totale emozione guardando il proprio nome inciso nell’albo d’oro, i successivi salti di gioia sulla terrazza del Centre Court. A Parigi, nei suoi vari trionfi, c’era sempre una sensazione di devozione verso la coppa che coccolava con affetto e un turbinio di emozioni che la prendevano non appena partivano le note dell’inno polacco. Ha dichiarato, e forse è l’unica nota un po’ melanconica del suo weekend, che baratterebbe volentieri un titolo Slam per una medaglia d’oro olimpica, lasciando intendere che quanto accaduto lo scorso anno a Parigi ancora si fa sentire, ma questo titolo la eleva ancor di più.
Le sue vittorie non dovrebbero dimostrare qualcosa a nessuno, ma nei mesi primaverili la pressione che si stava accumulando sulle sue spalle era enorme. Da inizio anno ha mancato i quarti di finale solo al Foro Italico, ha giocato sette semifinali, una finale persa e (ora) un titolo. Fino a Bad Homburg era definita in crisi, dopo il Foro Italico si diceva quasi potesse staccare per un po’ e tornare ad agosto in vista dello US Open. Tra Miami e Roma, giorno dopo giorno, in Polonia era un susseguirsi di articoli, opinioni, analisi, di come non vincesse più cercando le ragioni anche più disparate. Ora, col trofeo più inatteso tra le sue mani, ha parlato lei.
La vittoria a Wimbledon è di uno spessore enorme, perché la eleva a un ristretto numero di giocatrici che dagli anni 90 sono state in grado di vincere almeno uno Slam su tutte le superfici. È tornata, quantomeno per tre settimane che valgono una stagione e una carriera, la Swiatek che macina punti e gioco essendo un tutt’uno tra mente, gambe, braccio e cuore. Ha voluto questo Slam con forza e una determinazione che è di poche. E potrebbe essere un contraccolpo importante per la sua principale rivale, Aryna Sabalenka. La numero 1 del mondo è in una situazione particolare: non ha giocato male in questo mese, ma pur qualificandosi con largo anticipo alle WTA Finals si ritrova ancora una volta molto delusa. È sembrata vivere tra la finale del Roland Garros e la semifinale di Wimbledon con l’atteggiamento di chi cercava in tutti i modi di non fare altri passi falsi a livello comunicativo, mostrarsi in un certo modo tra video e atteggiamenti per un qualcosa che è sfuggito di mano, a tutti. Lei ha avuto uno sfogo importante a Parigi, ma la voglia di ricamarci sopra da parte dei media è tale che è rimasto un argomento principe ancora a fine della scorsa settimana quando lei stessa ha dovuto dire in conferenza stampa dopo la sconfitta contro Amanda Anisimova di aver voluto prendere più tempo per non ripetere certi errori.
Sabalenka è sembrata subire molto di quanto è stato detto, e in campo è sembrata un po’ troppo crearsi da sola dei guai. A Wimbledon ha rischiato di lasciare un set già al secondo turno contro Marie Bouzkova, ha avuto alti e bassi importanti contro Emma Raducanu, la sua miglior prova è stata un duro 6-4 7-6 contro Elise Mertens che veniva da 10 sconfitte consecutive contro di lei, le tre ore di fatica pura contro Laura Siegemund ai quarti hanno ulteriormente evidenziato le difficoltà di gestione contro un’avversaria sì scomoda e fastidiosa ma che è stata a pochi punti dal batterla da 104 del mondo a 38 anni. E di nuovo contro Anisimova è parsa senza grande brillantezza, a tratti anche infastidita, con la testa che non la seguiva nel gioco.
Son così passati tre Slam in questo 2025, lei è (incredibilmente?) a quota zero. Per sei mesi il rendimento è stato spesso molto elevato, ma i titoli raccolti sono solo tre, di cui un ‘500’. Ha cominciato la stagione a due Slam di distanza da Swiatek e con un altro atteggiamento poteva aver raggiunto la polacca già sulla terra battuta e addirittura essere a Wimbledon per giocarsi il Career Grand Slam e la chance di vincere quattro Major consecutivamente (contando lo US Open 2024). Invece non solo il suo totale è fermo ancora a 3, ma la sua diretta rivale alla prima vera occasione dell’anno ha vinto il sesto in carriera, nella maniera più roboante e nello scenario meno adatto. E ora arriva la parte di stagione dove sarà chiamata a difendere punti e titoli: non sarà una prima volta, e non ci saranno troppi dubbi su come approccerà il rientro in campo, ma sarà da capire quanto quest ultimo mese avrà lasciato il segno dopo le varie delusioni precedenti.