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01 Mag 2025 14:35 - Senza categoria
Sabalenka, Kostyuk e il caos finale tra veleni e decisioni di non giocare
di Diego Barbiani
Immaginate una partita tesa per tante ragioni extra campo, aggiungeteci la sfavorita che spinta da motivazioni ulteriori sente di poter essere protagonista e tiene testa alla numero 1 del mondo per due ore e mezza, portate le due in un equilibrio totale al 5-4 del tie-break del secondo set e lì inseriteci il colpo finale che ha riaperto ferite mai chiuse. Un copione cinematografico che per elevare il finale ha deciso di far cadere qualche goccia di pioggia, divenuta più intensa col passare dei minuti, e Aryna Sabalenka che dopo aver servito la prima palla si è fermata e ha preteso che il gioco si sospendesse. Marta Kostyuk, al di là della rete ha visto l’avversaria impuntarsi e, dopo aver perso tempo, riprovare a servire prima di andarsi a sedere verso la propria panchina senza voler giocare finché non si fosse chiuso il tetto. Non ha nemmeno aiutato l’ordine generale che in quei secondi l’intensità della pioggia aumentasse fino a convincere il giudice di sedia che non si potesse andare oltre. Quando l’ucraina ha chiesto alla giudice di sedia Jenny Zhang cosa fosse della situazione con l’avversaria che aveva cominciato il punto, si è arrabbiata sentendo dire che sarebbero ripartiti da una prima di servizio: nei fatti è stata Sabalenka a volersi fermare senza che nessuno chiamasse la sospensione.
Dipende che limite ci sia sulla terra battuta per giudicare una situazione impraticabile, motivo per cui la decisione spetta all’arbitro magari dopo un consulto con i tennisti. Due esempi completamente opposti tra loro: la finale del Roland Garros 2009, tra Roger Federer e Robin Soderling, fu giocata in un Philippe Chatrier bagnato da una pioggia continua per praticamente tutta la partita, con ombrelli aperti in tribuna; a Roma nel 2023, sul Pietrangeli, Zheng Qinwen e Anna Bondar portarono a termine una partita con pioggia battente e goccioloni che si intravedevano benissimo dalle telecamere, i rivoli d’acqua che venivano giù dalla torretta dell’arbitro e pozzanghere nei pressi delle linee, dove col passaggio delle scarpe delle giocatrici si poteva formare un minimo di avallamento. Zheng e Bondar da metà del secondo set non sono più state in grado di tenere la battuta perché non riuscivano a servire, non vedendo la palla quando lanciavano in aria, ma l’arbitro pur controllando la situazione in campo continuava a dire di giocare. Quello è forse il caso più estremo (almeno a livello di grandi tornei) che si possa avere e si può pensare a un errore, serio, di valutazione ma dimostra nei fatti che è lui a decidere. Non la giocatrice o il giocatore.
Sabalenka, dopo la partita, ha dichiarato sull’episodio: “Cercavo di servire ma avevo gli occhi inondati d’acqua. Sapevo che se avessi continuato avrei sicuramente fatto doppio fallo, e non volevo. Così ho deciso che non avrei più giocato. E sono grata di averlo fatto”. In quei concitati attimi, si è sentito dai box attorno al campo: “È uno scherzo! È uno scherzo! Poteva servire senza problemi!”. Potrebbe (condizionale d’obbligo) essere stata Sandra Zaniewska, allenatrice (polacca) di Kostyuk, a cui Marta avvicinatasi le ha riferito: “Lei non deve mai vincere il premio sportività”. L’atteggiamento di Sabalenka può essere giudicato in vari modi: chi può definirlo ragionevole, chi egoistico, e chi provocativo. Non era una partita banale, e non sarebbe nemmeno il caso di stupirsi per i rapporti andati peggiorando rapidamente quando l’invasione russa/bielorussa in larga scala in Ucraina è cominciata nel 2022. Il mondo, in generale, ha abbastanza messo da parte i problemi che questo conflitto, riapertosi, ha generato ma è come la polvere che viene messa sotto il tappeto: è solo nascosta, non eliminata. Così il modo in cui Sabalenka, dopo aver servito, abbia deciso di non voler più continuare e si sia portata verso la propria sedia senza nemmeno rivolgersi all’avversaria (possiamo anche immaginare che difficilmente si sarebbero parlate) può essere sia una sua presa di posizione, come emerge dalle parole, sia però purtroppo una provocazione, un modo per far capire che non le importasse nulla dell’altra.
Con la tensione già alta, questo ha solo scatenato nuova frustrazione e rabbia da una Kostyuk che non si è ripresa malgrado il primo punto dopo la sospensione sia andato a lei. Cinque dei successivi sei punti verranno vinti da Sabalenka che così è in semifinale, nel WTA 1000 di Madrid, dove affronterà un’altra ucraina: Elina Svitolina. Al di là dell’esito del punto da giocare, tornano alla mente le parole di Aryna a Stoccarda nel 2023, in una domanda dove non si citava alcuna giocatrice ucraina ma si chiedeva se non le creasse qualche problema l’essere menzionata dal capo di stato del suo paese in un discorso dove si mescolava sport, politica e guerra. Il succo della sua risposta fu che non ci poteva fare nulla, però poi perse il controllo e aggiunse “se le ucraine si sentono meglio odiandomi, sarò felice di aiutarle”. Eravamo a un anno dall’inizio dell’invasione, un mese prima (a Indian Wells) scoppiò il caso di Lesia Tsurenko dove la causa non fu tanto il dover giocare contro la stessa Sabalenka ma l’incontro con l’ex CEO della WTA Steve Simon in una agitata discussione che ora l’ucraina punta a portare fino in tribunale. Arrivò poi il Roland Garros e, come coincidenza con questo torneo di Madrid, Aryna affrontò prima Kostyuk e poi Svitolina. Al termine del primo turno parigino, malgrado fosse noto da diverso tempo che le ucraine per rispetto verso la loro popolazione non avrebbero stretto la mano alle rappresentanti (non “responsabili”, occhio) dei paesi aggressori, Marta uscì dal campo sommersa dai fischi mentre Aryna diceva tranquillamente ai microfoni di Tennis Channel: “Credo che lo sport non debba essere coinvolto nella politica, ma va bene, se loro (le ucraine, nda) si sentono meglio così per me non c’è problema”. E così, nei quarti di finale, arrivò quello che forse è il picco di questa fase: dopo il match point contro Svitolina, Sabalenka andò a rete come ad aspettarsi una stretta di mano pur sapendo non sarebbe mai arrivata e guardò Elina con fare di sfida mentre lei la evitava, prendeva le sue cose e usciva dal campo di nuovo colpita da diversi fischi. Nel frattempo, una telecamera pizzicò Aryna che guardò il suo angolo con un ghigno di soddisfazione. E così anche ieri sera, ormai a tre anni dall’invasione e con una marea di partite prive di strette di mano, ancora c’era chi ha fischiato dagli spalti dopo il match point. Ormai, su questo aspetto, si può dire che il problema non siano le ucraine, né le avversarie: qui il problema è l’ignoranza collettiva che vuole essere cieca, o almeno non vedere più in là dell’intrattenimento sportivo.
Rimane la domanda: è giusto fermare una partita perché lo si vuole? La coincidenza della pioggia aumentata nel giro di qualche minuto dal primo servizio ha poi aiutato la causa di Sabalenka, ma Aryna non ha parlato di timori per la sua salute, rischi di infortunio o altro, elemento che avrebbe probabilmente aiutato la sua causa e fa ora vacillare la presa di posizione e ricalca i precedenti più turbolenti considerando chi aveva di fronte. C’è un arbitro che in questi casi dovrebbe decidere, bene o male, e qui la numero 1 è finita per essere anche “premiata” perché ha ricevuto la possibilità di ripartire da capo.