Ci hanno sempre fatto credere che l’attesa sia uno stato d’animo intrigante: si è soliti affermare che aumenti il desiderio, che sia preludio al piacere, ma in molti casi non è così e la retorica di cui queste frasi si nutrono irrompe beffarda infrangendosi con la realtà. Aspettare può essere anche doloroso, può diventare un […]
Ci hanno sempre fatto credere che l’attesa sia uno stato d’animo intrigante: si è soliti affermare che aumenti il desiderio, che sia preludio al piacere, ma in molti casi non è così e la retorica di cui queste frasi si nutrono irrompe beffarda infrangendosi con la realtà. Aspettare può essere anche doloroso, può diventare un ostacolo a vivere perché l’attesa sospende il futuro e finisce solo per sprecare l’oggi.
Con crudele voracità l’attesa divora famelica grandi quantità di tempo senza che vengano vissuti pienamente i momenti che passano. L’incertezza di una decisione che tarda ad arrivare può essere peggio di una tortura. Ciò nonostante, in questi mesi Jannik Sinner ha mostrato di saper gestire magistralmente l’attesa, ha praticato l’arte della pazienza e della calma dando un senso positivo all’apprensione che lo tormentava mentre veniva incoronato campione unico e fenomenale del tennis mondiale. Due Slam, il titolo di maestro alle ATP Finals, la Coppa Davis e il consolidato numero 1 del ranking, sono tutti magnifici risultati ottenuti sul campo, mentre nell’animo combatteva in silenzio con lucida razionalità per non soccombere sotto i colpi di umanissime pulsioni di sconcerto. Proprio nel momento in cui la caparbia volontà che lo caratterizza da sempre lo stava conducendo a realizzare il futuro che aveva sempre sognato, ecco esplodere paradossalmente il caso Clostebol. E per quanto la vicenda sia stata ridimensionata e acclarata l’incolpevole condotta del tennista azzurro, il ricorso della Wada innanzi al TAS prolunga l’agonia, guastando la festa. E’ come trovarsi davanti a un complicatissimo puzzle in cui manca all’appello solo un’ultima tessera che rischia di rovinare il risultato finale: quella piccola mancanza finisce col disturbare irrimediabilmente l’intera visione. E’ in momenti come questo che il sorriso si smorza, lo sguardo si vela di malinconia e possono comparire all’improvviso anche delle lacrime. Al termine dell’incontro di Sinner contro Griekspoor nella finale della Davis Cup in molti hanno notato un’insolita tensione e un malcelato nervosismo sul match point da parte del compassato altoatesino. Da qui la domanda in conferenza stampa sui motivi di quella inusuale agitazione, argomento che ha suscitato in Jannik un turbamento che nessuno si aspettava, forse neppure lui. Quel punto vincente ha rappresentato per Sinner la chiusura di un anno strepitoso ma allo stesso tempo complicato, un anno trionfale che Jannik ha chiuso maestosamente dal punto di vista professionale ma che resta ancora sospeso per quanto riguarda l’esito del caso antidoping che lo vede coinvolto. Il nostro azzurro rimane bloccato durante la risposta in sala stampa, distoglie lo sguardo in quegli interminabili secondi silenziosi. Ma la Coppa Davis che troneggia sul tavolo non è solo un mero trofeo e il forte senso di squadra che unisce il gruppo italiano non tarda a coalizzarsi in difesa di Jannik: il braccio di Lorenzo Musetti si allunga furtivo verso il compagno per cingerlo mentre Matteo Berrettini interviene a smorzare i toni prendendo la parola al microfono. Jannik si ricompone immediatamente, è pronto per un’altra domanda, la riflessione malinconica fugge via con le risate dei compagni di squadra e si può tornare al meritato clima di allegria. Il verdetto del ricorso al TAS arriverà forse dopo gli Australian Open, c’è ancora da attendere, da continuare a vivere come all’interno di una bolla che fluttua in attesa che scoppi per tornare di nuovo a vivere appieno il presente. Ma comunque andrà a finire il caso Clostebol, qualunque sentenza verrà emessa, l’unica certezza che Jannik deve avere è che in fondo a questa difficile vicenda c’è un rettangolo di gioco dove tutti noi, succeda quel che succeda, saremo la’ ad aspettarlo. L’arte dell’attesa in fin dei conti ce l’ha insegnata lui.