Sinner, il rivoluzionario del tennis che non vuole esserlo

L’ho visto vincere gli Australian Open a gennaio, ed era un ragazzo. Lo ritrovo a settembre con in mano la Coppa degli US Open, e lo scopro uomo. Nel fisico, nello sguardo, nel portamento, di certo lo sarà anche nei pensieri. Continua a sorprendermi, e la cosa mi piace. Al centro di uno stadio avvolto nel rumore di una metropoli infinita, che si esalta nel glamour dei suoi ospiti, fra attori come Dustin Hoffman e Matthew McConaughey e cantanti al centro dell’attenzione come Taylor Swift, Jannik ha dedicato la vittoria alla zia, che non sta bene, “ma è stata una presenza importante nella mia vita” ha spiegato, creando un contrasto genuino tra la vita del tennis, e la vita che “sta fuori”. Lo ha ribadito anche in conferenza stampa, mi sembra, ricordando che la “vita vera è da un’altra parte”.

Ha trascorso un periodo lungo e triste, minacciato da un’accusa che spesso non lascia scampo. Ha ricevuto cattiverie e sberleffi, ha scoperto amici veri e nemici sotto mentite spoglie. Non può essere stato facile, no davvero. Ma ha tratto da queste giornate nuovi insegnamenti, ed è cresciuto ancora. Chissà, forse sono stati proprio questi mesi a farlo diventare definitivamente uomo.
Tempo fa lo descrissi come un rivoluzionario che non avverte il bisogno di sentirsi tale. A suo modo continua a esserlo. Tira dritto per la propria strada, se la cambia è perché si è convinto che ne valga la pena, ascoltando le persone cui crede di più e che sente vicine. Dice quello che pensa, e soprattutto lo fa. Il ricordo della zia, nel momento dei ringraziamenti e dei salamelecchi, mi ha ricordato quel consiglio rivolto ai suoi pari età, sulla necessità di seguire la propria strada, studiando e impegnandosi a più non posso, sacrificandosi. E anche un’altra occasione, è tornata a galla… Quando – già star del tennis – mostrò che è possibile meritare un titolo semplicemente con un atto di gentilezza, invitando la ragazza che teneva l’ombrello a ripararsi dalla pioggia accanto a lui. Tre piccoli episodi, forse, ma che trovo giusto collegare fra loro.

Mi ha sorpreso di meno la vittoria, tanto ero certo che non gli sarebbe sfuggita. Girano ottimi giocatori, in questo momento del tennis, lo è Medvedev, lo è Paul, lo è con possibilità di diventare davvero molto forte il semifinalista Draper. Anche Taylor Fritz, che è riuscito ad opporsi a Sinner, creando condizioni per un prolungamento del match al quarto set, solo per tre game, è un giocatore di buon valore. Ma se prendete i loro colpi, uno a uno, la reattività che mostrano in campo, il ritmo con cui determinano l’andamento e il successo degli scambi, se esaminate anche quella speciale capacità di cambiare qualcosa nel divenire del gioco, che Jannik utilizza ormai con la tranquilla efficienza di chi vi ha lavorato mesi per metterla a punto, penso che sia impossibile trovare uno migliore di lui, che possa batterlo. Tranne Carlos Alcaraz, ma solo quando gioca al massimo delle possibilità.

Sinner non aspetta che gli altri dettino le condizioni del gioco. È sempre lui a dettare tempi e modi delle sfide. Costringe gli avversari a giocare il suo tennis, lo ha fatto anche ieri, nella finale, quasi da cima a fondo. E credetemi, il segreto del tennis che vince, è tutto lì.

Articolo uscito su

Il Corriere della Sera

del giorno 10.09.2024

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