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Sinner, quale reputazione dopo la storia doping? Il rischio dell’effetto Ferragni

Preambolo: non si vuole qui giudicare o dare sentenze. Nel più salomonico dei discorsi, ognuno avrà sempre diritto alle proprie opinioni. E il caso Sinner ne sta generando di ogni tipo, a volte di più estremiste, a volte di ingenue, a volte accorate, ma pur sempre opinioni, in una faccenda dove la verità forse non la conoscerà mai nessuno fino in fondo.

Non è nostro compito per fortuna dire se la verità stia dalla parte di Sinner e in questo caso neanche interessa davvero. Molti nel prendere posizione si sono basati sull’argomento “come non si può credere a Sinner, ragazzo d’oro, professionista eccellente ecc. ecc.?”, senza magari rendersi conto che non si può giudicare un atleta solo dal suo carattere. In alcuni casi sembrava di leggere il classico “è un bravo ragazzo, saluta sempre…”. Ma non è questo il punto che probabilmente resterà nell’opinione pubblica o che ne dovrebbe guidare il giudizio.

Nessuno vuole e può mettere in dubbio l’uomo-atleta Sinner o la sua condotta fuori e dentro il campo come persona; ragazzo splendido, sincero, disponibile sempre, “leggero” nel suo modo di essere e sempre focalizzato sulla sua professione. In tutto quel che fa e dice rispecchia il ragazzo modello e l’esempio che i bimbi vogliono avere davanti. Di fronte a questo, le innumerevoli critiche arrivate in seguito al “Mignolo-Gate” (chiamiamolo così…) dovrebbero semplicemente essere rimandate a quella semplice legge con cui tutti siamo cresciuti fin da piccoli, a suon di Perry Mason e film alla Grisham: la presunzione di innocenza.

Una cosa però che nel tennis e nello sport, quando si è parlato di doping, ha sempre un po’ funzionato quasi al contrario: risulti positivo a un controllo, magari è stato un errore, ma intanto ti sospendo e tu devi dimostrare che sei innocente. Molte volte è successo così, e molte volte gli atleti ce l’hanno fatta a scagionarsi, dopo mesi passati dietro a scrivanie di avvocati invece che sul campo.

Nel caso di Sinner il procedimento è stato velocissimo. E badate bene, non è un giudizio, è un dato di fatto. Che però genera domande, dubbi, a volte sospetti. Perché con Sinner si è proceduto in modo diverso rispetto ad altri? La risposta l’ha data lo stesso Jannik in conferenza stampa: lui e il suo team sapevano perfettamente come c’era entrata la sostanza in corpo, mentre molti altri suoi colleghi non ne avevano assolutamente idea. Una discriminante non da poco.

Il fatto che molti tendono a non considerare è l’eco che questa faccenda rischia di avere sull’immagine di Sinner. Indipendentemente dal fatto se uno creda o meno alla spiegazione fornita (e accettata, non dimentichiamolo – non è che se uno pensa alla malafede per partito preso può negare una sentenza…), il dubbio, sia per i complottisti antisinneriani sia per il più accanito dei tifosi che inconsciamente si sentirà d’ora in poi sempre in diritto di difendere il suo idolo, resterà purtroppo in tutti noi.

Alzi la mano chi ha dimenticato le accuse (infondate) a Nadal o chi ha scordato l’ovetto iperbarico di Nole. Per non parlare di atleti che la squalifica l’hanno avuta davvero, pagando, come Coria, che anche dopo essere rientrato, per il buon Cherici è sempre rimasto “Nandrolino”.

Il punto è che il dubbio e lo scetticismo, volenti o nolenti, d’ora in poi faranno parte della realtà che circonda Sinner, fomentati poi da una valanga di appassionati, giornali, siti internet e tifosi, specialmente stranieri, e vari colleghi che terrà sempre a mente questa cosa, macchiando l’immagine di Sinner agli occhi anche di chi crederà fino nel midollo alla sua innocenza. Il meccanismo è già scattato, senza possibilità di autoreverse. E il problema non è nemmeno fidarsi o meno del fatto che il fisioterapista del numero 1 del mondo usi un prodotto contenente doping con un simbolo bello rosso sopra e poi faccia un massaggio senza guanti con una ferita aperta al suo assistito. Di errori ne è pieno il mondo, per quanto assurdi questi magari possano sembrare, così come di “tifosi medi” da Haiti a Wellington che una volta presa una posizione la penseranno sempre allo stesso modo, chi in modo più superficiale e chi no. Il problema vero è che una volta insinuato il dubbio, venirne fuori, sia che uno creda alle spiegazioni fornite o meno, è quasi impossibile, specie in un mondo social come quello odierno che non perdona assolutamente nulla. E questo purtroppo Sinner, d’ora in poi, dovrà affrontarlo ogni giorno, portandosi dietro sulla schiena quel cartello con su scritto “innocente fino a prova contraria”. Con il rischio di avere una sorta di effetto Ferragni, ma con un vantaggio: Jannik può scendere in campo e vincere. Già da subito, già da New York.

Davide Bencini

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