Djokovic e i campioni che non riconosci più

I viali del tramonto sono tutti diversi perché diversi sono i fenomeni che li percorrono ma hanno una cosa in comune: quel momento in cui ti accorgi, da spettatore, di non capire più chi stai guardando giocare

In conferenza stampa la maggior parte delle domande hanno riguardato le conseguenze della botta in testa che la borraccia caduta gli ha procurato: Djokovic ha un po’ cavalcato l’onda, senza trovare scuse ma lasciando intendere di non aver fatto nessun esame di controllo (e sarebbe strano il contrario, lo stordimento immediato ci sta, le conseguenze dopo due giorni molto meno). Deve essere stato felice di ciò perché questo episodio ha tenuto lontane le domande riguardo la scarsa forma di questo periodo, nel quale lo si vede poco in campo e il “distacco” che in certi frangenti del match, quando vedeva i propri dritti andare fuori, pareva avere.

Il punto è che dalla fine della scorsa stagione Novak sembra essere preda di un calo fisico ed agonistico che si fa gradualmente più visibile; anche questo lasciare passare troppo tempo tra un torneo e l’altro, per uno che ha bisogno di intensità tennistica e fisica, non gli giova ma probabilmente non riesce a tenere livelli troppo intensi di allenamento negli ultimi tempi.
Gli addii a Panichi e a Ivanisevic fanno pensare. Nel suo angolo oggi presenti il suo ex preparatore fisico (rientrato in quel che resta del suo team) e Zimonjić, suo amico ed ex compagno di doppio in Davis ma non esattamente un allenatore, almeno non lo ha presentato come tale. Le sconfitte contro Nardi a Indian Wells e oggi contro Tabilo a Roma, dove non era mai uscito prima dei quarti di finale, non sono sconfitte che ci stanno, per uno come lui.

La semifinale agli Australian Open persa da Sinner e quella di Montecarlo contro Ruud rientrano già in un quadro più accettabile per un fenomeno che ha comunque trentasette anni e ha vinto tutto quello che c’era da vincere.

Oggi in campo non sembrava esserci Nole: difficilmente un colpo profondo, tantissimi errori di dritto, troppa fretta ad andare a servire e un’insofferenza alla situazione in campo che fa chiedere a chi lo guarda dov’è finito quel giocatore che con pazienza rimane lì ad aspettare il calo dell’avversario anche in una giornata in cui le cose non girano come dovrebbero.
Forse Djokovic non sente più quel “fuoco” o non si sente più in grado di farlo.
Oppure è soltanto una fase.
Il Roland Garros che arriva, privo di favoriti e forse lo Slam più aperto in campo maschile da molti anni a questa parte, potrebbe dirci la verità-

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