Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
Jannik Sinner non è più il peccatore. E un po’ mi dispiace. Ma il vento della Davis appena vinta soffia forte, e finisce per strappare dalle nostre mani alcune delle parole, immagini, o convenzioni sul nostro Semola, con cui ci baloccavamo dall’inizio della sua vicenda, e alle quali eravamo affezionati. Per consegnarne altre alla nostra attenzione, però, frutto delle molte indagini e rivisitazioni che si sono fatte del ragazzo che “tremare il tennis fa”.
Lo hanno già scritto da qualche parte, mi sentirei di dire in una lettera giunta a un quotidiano nazionale, che Sinner – con o senza maiuscola – significa peccatore nella lingua inglese, ma non in quella tedesca, che Jannik parla correntemente, come quasi tutti in Alto Adige. In tedesco sinner sembra possa discendere da sinnen, che vuol dire ben altro. Meditare, riflettere, progettare. Ne sorte che Sinner è il Riflessivo, il Cogitabondo, e certo – nomen omen – calza meglio con ciò che sappiamo di lui e che mostra di essere. E non è detto che un Riflessivo, non possa trovare il tempo di peccare. Glielo auguro.
Così, Sinner il Progettista, ha preso il tennis nelle sue mani e non è cosa da poco, perché rischia (ma è davvero un rischio?) di andare oltre le considerazioni che in queste giorni fischiano nelle orecchie di tutti noi. Le riassumo… Sarà numero uno, non subito ma presto. Anzi, lo è stato di fatto già in questi ultimi due mesi, che vanno dal successo su Alcaraz nella semifinale di Pechino alla vittoria in Coppa Davis, che gli sono serviti per spazzolare a dovere la testa della classifica mettendo in fila Medvedev (tre volte), Djokovic (due volte su tre, doppio a parte), poi lo stesso Alcaraz, Tsitsipas, Rublev e Rune. Quindi è arrivata la Davis, e con essa un’altra certezza. Una squadra di ventiduenni (ventuno per Musetti, prossimo papà) che con l’aggiunta di Sonego e di un ritrovato Berrettini – nella speranza che si ritrovi davvero, e presto, con l’aiuto del nuovo coach Francisco Roig – può aprire un ciclo di vittorie che l’Insalatiera ha consentito solo in tempi lontani agli Stati Uniti, all’Australasia e alla Francia.
C’è un progetto chiaro dietro questi dati, oggi allo stato di premesse (e anche di promesse) da verificare. E credo sia quello che dovrebbe più di ogni altra cosa inorgoglire chiunque sia appassionato di tennis e di sport, perché rivela il vero carattere di questo ragazzo che stiamo incensando e insieme scoprendo.
È il suo Progetto, l’ha costruito un pezzo alla volta, l’ha studiato e confezionato a sua misura con l’identica testardaggine che gli ha permesso di sopravvivere ai tre match point recuperati a Djokovic nella sfida di Malaga. Deve averci riflettuto non poco, e ritengo sia logico supporre che questa sia stata anche la fase più difficile, e forse dolorosa per lui. Perché poteva prendere vita solo da uno strappo, una frattura con chi amorevolmente (e con indubbie capacità) lo aveva cresciuto e poi avviato al tennis che conta. Quando Sinner è giunto alla rottura con coach Piatti, e se n’è andato dal centro di Bordighera che lo ospitava ormai da sei anni, aveva ben chiaro il perché lo stava facendo e come dar vita al progetto. Voleva prendere in mano se stesso, e scusate se è poco. Aveva venti anni quando il distacco è avvenuto. Ma Sinner voleva affrontare la propria crescita, e curarla in prima persona. Servivano dei consiglieri, meglio se amici. Li ha trovati in Simone Vagnozzi, ha allargato la compagine con Darren Cahill, ed è stato lui a cercarlo e sollecitarlo, fino a farlo muovere alla sua volta da Adelaide. «Mi devi insegnare come si gioca sull’erba», gli ha detto, ma già sapeva che l’avrebbe tenuto come Supercoach, l’uomo dei consigli che possono cambiare un match. E non si è fermato qui… Ha trascinato con sé l’amico Alex Vittur, altoatesino come lui, trentanovenne con esperienze manageriali nel turismo e nella gestione delle Funivie di Plan de Corones. Ne ha fatto una sorta di Road Manager. Mentre si è affiancato all’organizzazione di Lawrence Frankopan, capo della StarWing Sports Management che ne cura i contratti e intende farne una griffe dello sport futuro. Infine ha scelto il team, e l’ha in parte cambiato fino a dargli il volto attuale, con la presenza di Umberto Ferrara, preparatore atletico che lo segue anche nell’alimentazione, Giacomo Naldi fisioterapista che ha lavorato nel basket con la Virtus Bologna, e Andrea Cipolla, osteopata.
Ha descritto la propria filosofia con tre parole, il Riflessivo: «Capitalizzare ogni gesto». Come? «Sono pronto a dare sempre il cento per cento di me stesso». Più variopinta la descrizione attraverso l’esempio di un piatto di pasta. «Se voglio ottenere il piatto che piace a me, provo a farlo in un modo. Se non va aggiungo un ingrediente. Il pomodoro per esempio. Se è troppo lo rifaccio e ne tolgo un po’. Poi aggiungo il basilico, e così via».
Divertente, ma anche laborioso. Togliendo e aggiungendo pomodori, però, Sinner con la sua storia si è fatto latore, forse inconsapevole, di un messaggio potente e in una certa misura persino rivoluzionario, che potrebbe essere rivolto a tutti i ragazzi della sua età. “Fate come me… Scegliete ciò che vi piace, ciò per cui siete dotati, ciò che sentite dentro di voi, e poi lavorateci con accanimento, con sacrificio, studiando come migliorare il prodotto, che alla fine siete voi stessi”. Lo traduco così. E lo ritengo un bel messaggio. Positivo. E anche questo da numero uno.