Ma due settimane per un 1000 non sono troppe?

Cosa resterà di questo primo torneo romano lungo due settimane? Troppo facile: la pioggia

Cosa resterà di questo primo torneo romano lungo due settimane? Troppo facile: la pioggia. Assoluta protagonista, ha fatto quello che ha voluto e quando ha voluto. Signora libertà, signorina Anarchia: non ha ascoltato nulla, preghiere, scongiuri, riti. Mai chiamarla, la pioggia, perchè quando arriva arriva, e non si sa poi quando smette.

Inevitabilmente tutto questo condiziona e ha condizionato il giudizio su che torneo che è stato, se questi Internazionali edizione extralarge, prima edizione, ce li ricorderemo oppure no.

Prima di rispondere, un passo indietro, e una domanda: ha senso allungare un 1000, qualsiasi esso sia, praticamente quanto uno slam?

Per ora, ma siamo al primo anno di “prove”, la risposta è un no. Soprattutto quelli sulla terra rossa, uno dietro l’altro, per una logica serie di motivi.

Ad Indian Wells e Miami la situazione aveva minimamente funzionato perchè erano i primi tornei “veri”, sul cemento, dopo l’Australian Open, si era ad inizio della stagione, tutti erano più freschi fisicamente e soprattutto non c’era di mezzo uno slam alle porte.

A Madrid e a Roma si sono visti troppi forfait, troppi infortuni sospetti, troppe partite che finivano in maniera strana e non giocate proprio al massimo delle possibilità (vero, Alcaraz?) e dei programmi, pioggia o non pioggia, un pò così.

Supersaturday, tutto molto bello sulla carta, soprattutto se hai un tetto e quindi vai sereno. Se ti devi affidare alla fortuna, al meteo, rischi. E non ha funzionato.

Parigi è Parigi, il Roland Garros è il Roland Garros, e magari qualcuno preferisce vendere cara la pelle sullo Chatrier piuttosto che alla Caja Magica o al Foro Italico.

Inutile fare i paragoni con quello che faceva Nadal, che nei suoi momenti d’oro vinceva da Montecarlo fino al Roland Garros, tutti i tornei e ininterrottamente: Nadal è uno, non ce ne saranno più, e anche i tempi erano diversi. Stupido aspettarsi lo stesso dai giovani e meno giovani d’oggi.

In generale, a parte i maggiori incassi che sicuramente faranno felici organizzatori e sponsor, non si capisce in fondo il reale motivo di un 1000 così allungato, così dilatato.

Che senso ha ad esempio, due set su tre, far riposare due giorni un giocatore tra quarti di finale e semifinale? Anche l’atmosfera, per quanto bella, per quanto ci si provi, non sarà mai quella di uno slam. E non si tratta di un discorso di Roma, Madrid o compagnia bella: la seconda settimana risulta quasi “pesante”.

Ma dicevamo, è il primo anno di questo esperimento e che, alla fine, è corretto, giusto, dare un’altra opportunità a questi tornei prima di dare un giudizio definitivo sulle due settimane, anche per quanto riguarda il programma e l’organizzazione in generale. 

I tempi di reazione alle avversità qui a Roma non sono stati eccezionali, ma è stata anche indubbiamente eccezionale l’ondata di maltempo. In molti si sono lamentati dei prezzi dei biglietti, ma il presidente della Fitp Angelo Binaghi ha risposto che, anzi, secondo lui andrebbero pagati di più. 

I numeri, come sempre in questi anni, gli danno ragione, ma dipende anche di cosa stiamo parlando: il Centrale non è mai stato pieno, e l’atmosfera ha spesso lasciato a desiderare, soprattutto se paragonata a quella del Pietrangeli.

L’atmosfera o la passione però non paga i conti e quindi, per ora, a chi si lamenta, chi di dovere può rispondere una placida alzata di spalle. Intanto, il bilancio dice 300mila biglietti venduti, 10 milioni di euro rispetto alle maggiori spese per 4 milioni di euro di montepremi e di 2-3 milioni per l’aumentata dimensione del torneo, un pubblico che è venuto per il 26 per cento dall’estero e per il 54 per cento da fuori Roma. L’incasso è andato oltre le previsioni: 22,5 milioni di euro, secondo quanto detto da Binaghi nella rituale conferenza stampa finale.

Quanto contano i numeri, positivi, nella percezione esterna di come si è organizzato un torneo? Poco, probabilmente, ma anche questo alla fine della fiera, a chi di dovere, importa poco.

Anche i commenti, stranegativi, su Facebook alla fine lasciano il tempo che trovano: chi ha inveito contro il caro biglietto, contro il meteo, contro l’organizzazione o che dir si voglia, nel 2024, se avrà l’occasione, la voglia e l’interesse, al 99% tornerà al Foro e di quello successo nel 2023 nemmeno se ne ricorderà.

Si sono viste scene diametralmente opposte in questi giorni: coppie che restituivano con sdegno i biglietti perchè il programma non era all’altezza (“come è successo nel 2015”: ecco, appunto, sui cavalli di ritorno) e persone felici e contente di aver visto un set prima dell’arrivo del temporale. Insomma, non ci si deve far troppo impressionare da chi scrive sui social: dopotutto, tutti siamo bravi a sfogarci lì, ma poi….

Per quanto riguarda il tennis giocato, vedere trionfare Medvedev sulla terra battuta è stata quantomeno una sorpresa e una cosa anche divertente da vedere. Il russo, su cinque Masters 1000 giocati quest’anno, due li ha vinti e in uno è arrivato in finale: come direbbe Nole, not too bad.

Ecco, a proposito: Djokovic arriva a Parigi non bene. Rune lo ha quasi preso a pallate, e non vince un torneo dall’Australia. Difficile basterà per sfangarla al Roland Garros, dove non ci sarà Nadal ma ci sarà un Alcaraz più sveglio di quello visto al Foro.

Gli italiani? Poca roba, francamente. Alcuni hanno fatto il loro (Musetti, Sonego, gli altri giovani), altri meglio del previsto (Cecchinato, Fognini), la delusione è stata Sinner, inutile negarlo. Si era presentato bello fresco dopo aver saltato Madrid e alla fine è uscito con Cerundolo. Lo salva il votaccio perchè non stava bene, ma deve fare di più.  Chi vi scrive è convinto che se non a Parigi, sull’erba darà una grande, grandissima soddisfazione. Chi vivrà, vedrà. 

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