Quale forma ha l’acqua? In verità l’acqua prende la forma che le viene data, perché si sostiene che non ne abbia davvero una tutta sua. Proprio come un liquido, incapace di acquisire una sola forma, il tennis di Jannik Sinner fluisce, si adegua a ogni foggia o situazione. Scorre inesorabile ignorando gli ostacoli e procede […]
“È il tempo che hai perduto per la tua rosa, che ha fatto la tua rosa così importante”. In questa ultima edizione il torneo Master 1000 di Montecarlo sembra aver preso in prestito le emozioni più poetiche del racconto di De Saint-Exupéry regalando agli appassionati di tennis un nuovo Piccolo Principe da incoronare, Andrey Rublev. Se è grazie al tempo dedicato a ciò che amiamo che riusciamo a comprenderne davvero l’importanza, il tennista russo ha impiegato ben 8 anni per aggiudicarsi finalmente un trofeo Master 1000. In realtà di titoli ATP minori Andrey ne aveva già vinti 12, eppure sembrava oramai rassegnato a diventare un vincente mancato, un eterno piazzato. Un record non certo esaltante che a 25 anni inizia a stare stretto a causa della implacabile regola che un traguardo fallito pesa più dei successi conquistati. È un tormento vero e proprio quello di Rublev che rivede nei giovani avversari il suo stesso gioco, quel tennis aggressivo e fatto di accelerazioni, ma a cui i rivali hanno saputo aggiungere spunti tecnici più vari oltre a complessi perfezionamenti stilistici. Quello di Andrey invece pare rimasto un gioco più basico che lo confina in una odiosa terra di mezzo: impossibile scendere in classifica con tanta potenza ma anche avanzare verso la cima senza imprimere variazioni. Alcaraz e Rune rappresentano la crudele dimostrazione di come si possa essere invece giovani e vincenti. Andrey negli anni lavora sodo per cercare di migliorarsi ma non riesce a centrare gli obiettivi che invece scivolano veloci nei palmares degli antagonisti. Da qui nasce la lotta tutta interiore di Andrey a cui assistiamo continuamente quando scende in campo. L’amata racchetta si trasforma in un moderno cilicio con cui colpirsi e punirsi per gli errori commessi. Andrey urla inconsolabile, si deride sardonico e si infligge racchettate alle gambe a ogni imperdonabile sbaglio, finendo spesso col soccombere al suo severo giudizio. Questo è Andrey, timido, gentile e convinto di essere inadeguato. In ogni sfida il primo nemico da battere, il più feroce leone nell’arena da sconfiggere, è proprio lui stesso. Ma questa fragilissima umanità di contro non può che suscitare empatia nel pubblico e nei colleghi, come conferma l’unanimità di consensi che ha accolto la sua vittoria. Complice un avversario eccellente quanto antipatico, il pubblico del Ranieri III si è stretto in un sincero abbraccio virtuale al moscovita che ha spezzato l’incantesimo vincendo in terra monegasca il primo 1000 della carriera. Esigente e duro con se stesso durante il gioco, Andrey si è letteralmente sciolto dopo la vittoria abbandonandosi di nuovo a quelle altalenanti emozioni che tanto lo agitano ma che al Country Club di Montecarlo gli hanno regalato una imprevedibile vittoria. Lacrime, imbarazzo, persino una esilarante gaffe con la Principessa Charlene, ma soprattutto tanta commozione hanno fatto da cornice alle parole genuine del tennista che ha ringraziato gli spettatori per il sostegno riservatogli, ancora più prezioso per chi come lui proviene da un paese al centro di un difficile contesto geopolitico. Una tenera umanità che i nostri tempi, e di riflesso anche il mondo tennistico, sembrano rifuggire con accanita ostinazione, come se fosse vietato mostrarsi insicuri o fragili. Per questo il palcoscenico sportivo diventa talvolta appannaggio di talenti irriverenti e provocatori. Ultimo in ordine di apparizione proprio lo straordinario danese Rune capace di far vacillare in semifinale anche la lucida razionalità del nostro Sinner grazie al sapiente uso di un vasto repertorio di atteggiamenti all’occorrenza sprezzanti o ruffiani. Ciò che a tennisti come Rune non manca è una smisurata autostima che rischia di trasformarsi in un pericoloso boomerang. Invece la forza di Andrey è quella di volerci sempre lottare contro l’inadeguatezza, senza arrendersi proprio come ha fatto a Montecarlo, dove è riuscito a governare i suoi sentimenti turbolenti e avere la meglio su Rune. Chissà se dopo questa vittoria Rublev riuscirà a vivere con più serenità il suo tennis, più consapevole di sé, del suo talento e dei suoi limiti. Senza cedere a quel realismo sofferente che lo porta a sminuirsi e facendosi invece guidare dalla bellezza delle emozioni. Perché in fondo il segreto, caro Piccolo Principe, è semplicemente questo: “l’essenziale è invisibile agli occhi.”