Finalmente Sabalenka

Siamo nel 2017, la Bielorussia arriva fino a una sorprendente finale in Fed Cup trainata dal duo composto da Aliaksandra Sasnovich nei panni di “veterana” e prima singolarista, e la giovanissima Aryna Sabalenka.

Erano a malapena nelle prime 100 del mondo, ma quel’edizione della coppa a squadre più famosa del tennis femminile fu una vetrina molto importante per entrambe. Soprattutto per la giovanissima Sabalenka, al primo vero assaggio di circuito maggiore.

Classe 1998, di Minsk, fece da subito grande impressione nel modo di stare in campo, di atteggiarsi senza paura, di ballare continuamente col rischio vivendo ogni colpo come qualcosa di oltre ogni concetto di bilanciamento e gestione.

Non è la prima e non è l’ultima a essere così spregiudicata e sprezzante del pericolo, ma le sue sbracciate già allora facevano impressione. Non di meno, quell’atteggiamento di chi deve essere preso a cazzotti almeno otto volte per essere davvero battuta. Lei e Sasnovich tennero in vita la squadra di casa fino al doppio decisivo della domenica della finale contro gli Stati Uniti, dove avevano appena il 3% di possibilità di vittoria. Fu un risultato enorme, accolto quasi come una vittoria. Non c’era Victoria Azarenka, impegnata con la maternità e un rientro non molto fortunato, ma loro due bastavano e avanzavano.

L’impatto di Aryna è dirompente, si scontra con qualche sconfitta scellerata e qualche delusione personale ma tra fine 2018 e inizio 2020 mette insieme tre titoli ‘1000’ e diventa presenza costante tra le prime 10. Rimane però il filo continuo tra grandissime potenzialità e continue battute d’arresto nei momenti importanti. Nell’inizio settembre del 2018, per esempio, quell’ottavo di finale tra lei e Naomi Osaka è la partita più bella del torneo femminile. Caotica, altalenante, ma giocata con quella sensazione di poter avere davanti una nuova e tanto attesa rivalità. Ovviamente, come successo poi tra Osaka e Bianca Andreescu un anno dopo a Pechino, quel momento rimane un unicum e con sé arrivano i pensieri di “cosa sarebbe potuto essere…” che tanta malinconia creano, ma questa è la riprova semmai che nulla va veramente come vorremmo.

Sabalenka stessa sentiva di valere uno Slam. Eccome. Glielo riconoscevamo tutti da tempo. Eppure ha dovuto attendere il 2023 per il primo grande, vero, botto della carriera. Due trofei a Wuhan e uno a Doha non sono paragonabili a questo Australian Open, e francamente non c’è molto da dire di diverso. Per arrivarci, però, ha scelto una strada davvero tortuosa. Fossero solo le “semplici” sconfitte ad averla tenuta a lungo lontana da questo traguardo, non ci sarebbe stato troppo da dire. Aryna però è una persona che come diceva Dmitry Tursunov nel 2018 ha bisogno di crescere e maturare. Proprio col coach russo ha una gestione molto intensa, con lo strano intervento a Indian Wells 2019 dove lei lo chiama in campo e lui rimane zitto tutto il tempo fissandola, quasi a volere una reazione di rabbia. A settembre, Sabalenka lo silura per poi ripensarci, darsi la colpa e Tursunov è in panchina quando in finale vince il titolo in doppio con Elise Mertens. “Mi sono resa conto di quanto fosse stupido dare a Dmitry la colpa” scrive Sabalenka “dei miei insuccessi, quindi ho trovato il modo di recuperare il rapporto con lui”. Poco dopo, altra crisi e Aryna che su Instagram dedica un lungo e coinvolgente post, molto enfatico e crudo, su quanto stia male nell’aver voluto chiudere i rapporti, dandosi anche della stupida.

Arriva la separazione definitiva, da quel momento subentra lo sparring partner Anton Dubrov, tutt’ora suo coach. Saranno anni delicati, quelli dopo la pausa per il covid, perché Sabalenka comincia ad apparire molto spesso anche nelle cronache in Bielorussia e non sempre per ragioni “nobili”, col suo volto che compare spesso associato a quello del dittatore Aleksandr Lukashenko tra visite a palazzo e ricevimenti. Nell’agosto 2020, le elezioni “democratiche” (vabbè…) vedono il presidente uscente riconfermato con l’80% dei voti in una decisione che nessuno della popolazione prende sul serio. Partono settimane di scontri feroci, con la polizia del regime disposta ad arrestare e torturare i civili. Sabalenka, come altri sportivi, rivolge ai social un appello perché questa insensata violenza si fermi. Tra l’altro, lei è negli Stati Uniti e nei giorni più duri a Minsk, tra coprifuoco e strade chiuse per manifestazioni e scontri, il pensiero va direttamente alla madre e alla sorella, ultime rimaste dopo la scomparsa prematura del padre nel dicembre 2019. Aryna ammette di non dormire la notte finché non riceve un messaggio da casa per dirle che è tutto ok. Sono momenti molto delicati, ma da lì in avanti non c’è più alcun riferimento alla vicinanza alla popolazione, anzi l’argomento per lei diventa molto spinoso. E questo purtroppo comporta un modo non felicissimo di inquadrarla nel contesto sociale. La sfortuna di essere l’atleta di punta dello sport principale usato per la propria propaganda dal dittatore ha lati oscuri e dinamiche che non possiamo capire bene, ma nel tempo spunta il suo nome tra i maggiori firmatari di una lettera che chiede la soppressione del movimento degli atleti liberi della Bielorussia, coloro che chiedevano alle istituzioni nuovi controlli sui brogli elettorali.

È ancora oggi un tema quantomai spinoso da affrontare, e che non può aver aiutato Sabalenka, apparsa invece sempre piuttosto aperta e divertente con le colleghe nel circuito. I risultati continuano a migliorare, ma sempre a passi troppo piccoli rispetto alle principali avversarie. Nel 2022, col ritiro di Ashleigh Barty, lei può essere la principale indicata ai titoli più importanti. Invece spunta Iga Swiatek che parte e vola verso una stagione da sogno. Sabalenka invece sembra affossata: ha cominciato l’anno con un grave problemi di doppi falli, fiducia ben sotto la suola delle scarpe e senza vincere un trofeo dal ‘1000’ di Madrid nel maggio 2021. Prima di oggi, ci sono state tre brutte sconfitte in semifinale Slam: Wimbledon 2021, US Open 2021 e US Open 2022. Difficile dire quella che non è davvero un rimpianto, perché al massimo possiamo parlare della più grave: quella contro Leylah Fernandez, assoluta intrusa (come Emma Raducanu) a quel livello. Contro Swiatek allo scorso US Open ha la partita in pugno e se la fa sfuggire più volte per atteggiamenti e tattiche sbagliate.

Prova ad andare controcorrente, rispetto a un periodo storico che vuole grande attenzione sull’aspetto mentale: annuncia di aver chiuso con lo psicologo e che vuole essere lei la responsabile di se stessa gestendo le proprie emozioni. Inizia il 2023 e su 11 partite ci sono 11 vittorie, un solo set perso. Soprattutto, lo Slam. Quell’obiettivo cercato e rincorso da ormai cinque anni e che ha dovuto attendere fin troppo considerando che questa giocatrice non ha tanto di diverso rispetto a quell’ottavo di finale perso contro Osaka. Ha però, finalmente, trovato quel pizzico di calma e controllo della propria persona. Si è spesso affossata da sola, lo sa lei per prima e non lo nasconde nemmeno ora. E questo, come diciamo spesso, è lo sport del diavolo. Finalmente, però, Aryna può vivere quello che ha definito in conferenza stampa “il giorno più bello della mia vita”. Meritatamente, anche.

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