Sinner e Berrettini, simboli di un tennis che cambia

La cosa buffa è che Berrettini e Sinner stiano per incrociare le racchette con i due possibili numeri uno della classifica ATP al termine di questi Open. Medvedev non lo è più, Nadal resta in attesa che il destino si compia, ma intanto perde da Frances Tiafoe, in una di quelle serate in cui Rafa appare goffo e male organizzato, e l’americano invece invita a paragoni inusitati, lui che è sprecone di natura, e appare persino bello, cosa che di Tiafoe non avrei mai pensato di poter scrivere.

Insomma, la storia del dottor Jackyll e mister Hyde ma a rovescio. Così, restano proprio loro due a sbattersi per il podio più alto, Casper Ruud e Carlos Alcaraz, e anche qui stenterei a crederci se non fosse stato annunciato a inizio torneo che erano in cinque a lottare per il soglio tennistico. Quattro li ho citati, Tsitsipas si è tolto da solo, anche lui non sapendo più che pesce sia diventato. Un tempo l’avrei paragonato a un tonno veloce e forzuto, oggi è sceso a livello triglia, il gradino successivo lo porterebbe allo stato di un ghiozzo. Ma così va il tennis.

Due italiani nei quarti a New York è uno dei simboli di un tennis che cambia. Che Rudd e Alcaraz possano diventare numeri uno, è un altro. Cose mai viste… Ma aspettiamo (io, voi) ad abituarci e a dare per scontato il finale di questa stagione. A cominciare dai match che Matteo e Semola stanno per affrontare.

Ruud contro Berrettini, non è un confronto facile, perché il norvegese è una sorta di modello evoluto del Peque Schwartzman, sebbene annoi di meno. Sa fare un po’ tutto, e anche colpire con una certa veemenza. Non come Matteo, che però è meglio non si azzardi ad accettare gli scambi lunghi, se vuole evitare di ridursi a uno straccio. L’unica è colpire più forte del norvegese, tenendo gli scambi su non più di quattro colpi. E sfruttare tutti i benefici che gli può dare la superficie in cemento. Del 3-2 per Ruud nei cinque testa a testa, al norvegese sono andati tre confronti su terra rossa, a Berrettini una sul rosso in altura (Madrid) e l’unico sul cemento fin qui giocato, proprio allo US Open, due anni fa.

Altro discorso è tentare di immaginarsi Ruud numero uno del tennis maschile. Non lo dico con cattiveria, ma io sinceramente non ce la faccio. Casper, con quel nome da fantasmino, è un buon giocatore, ma i numeri uno esigono altre carature tecniche e di personalità. E il fatto che sia figlio d’arte, capirete, poco cambia. Che poi, a essere sinceri è il padre Christian, che dovrebbe eleggersi “padre d’arte”, dato che il figlio rientra comunque nella schiera dei forti mentre il papà era un discreto pippone del tennis anni Settanta-Ottanta.

E allora puntiamo su Alcaraz? Non so che dire. Sarebbe meglio che il numero uno se lo riprendesse Nadal, ma se proprio non se ne può fare a meno, allora preferisco Alcaraz a Ruud, se non altro il tennis di Carlitos ha più cose da mettere in campo. Temo solo che sia un po’ troppo presto per il ventenne spagnolo. L’anno gli ha portato una valanga di punti, e lui ha quasi sempre giocato bene, ma i suoi match via via si sono fatti sempre meno esplosivi e non si tratta solo di stanchezza, di troppi match giocati. È che i concorrenti cominciano a prendere le misure, e la citizen band dei coach è da parecchio che si scambia pareri su di lui.

Insomma, presto lo sapranno tutti che sulle palle alte fa fatica a spingere, e che sulle continue variazioni perde la trebisonda. Però è forte, e il monociglio che gli fa da parasole per gli occhi, gli concede un aspetto un po’ truce e un po’ ribaldo.
Quest’anno gli italiani non hanno fatto che batterlo. Berrettini (Australia) Sinner (Wimbledon e Umag, dove stava per riuscirci anche Zeppieri) e Musetti (Amburgo) gli hanno tolto l’anima. Ha perso finora nove match, e quattro glieli hanno portati via i nostri. Siamo diventati l’incubo dei più forti? Capperi se il tennis è cambiato…

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