di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
Per raccontare ciò che è stato Federer e soprattutto come io l’ho sempre ritenuto il migliore, mi vengono le parole di un mio vecchio maestro di tennis Sandro.
Lui si occupava di due campi di tennis, in terra battuta, vicino alla Canottieri di Intra ed io ci andavo a giocare ogni domenica mattina con mio padre e mia madre. Ero poco più che un ragazzino, all’inizio della pubertà, e tenevo qualche lezione con questo maestro che mi spiegava quanto il tennis, in realtà, fosse molto più essenziale e semplice di quanto non si pensi.
Mi ha sempre suggerito, infatti, di fare i passi giusti verso la palla, mai quindi di eccedere e sovrastare la pallina (con il serio rischio di esserci troppo sopra e di non avere l’apertura giusta per chiudere il colpo) stendere bene il braccio e colpire. Non è un caso, quindi, la scelta della mia foto, dove si vede Roger alla fine dell’esecuzione del suo fantastico rovescio. Basta guardare l’estensione del suo braccio destro, l’apertura del sinistro che segue il destro, i piedi (seppur non piantati a terra) ben allineati e tesi, tutto il necessario per colpire e mandare la pallina oltre la rete. In poche parole Roger Federer ti dava l’idea di essere essenziale e rendeva, anche solo vedendolo, facile ciò che sembrava impossibile.
Avevo un timing impostato nel suo cervello praticamente perfetto. Qualcosa di assurdo e che a parole non rende, bisognerebbe aver giocato un minimo (pur da amatori) per tentare anche solo di percepire cosa significa essere essenziali quando, dall’altra parte della rete, stai rispondendo a delle vere e proprie mine antiuomo mascherate da palline da tennis. Lui però ci riusciva, ti dava l’idea che quasi non sudasse, nonostante stesse giocando da tipo quattro ore e mezza contro Nole, contro Rafa o contro Murray o contro chi cavolo volete voi, lui però era immacolato. Impeccabile, quasi non fosse nemmeno sul campo e, attenzione, magari non stava nemmeno vincendo. Era unico perchè poteva correre per ore e ore e comunque non rasentare la fatica, non mostrarla, non dare evidenti segnali sul viso e sul proprio: una maschera di cera perfetta, un’opera d’arte in movimento prestata al tennis.
Un monumento di perfezione tecnica che non rivedremo mai più.
Io ho ammirato Roger nonostante, tennisticamente parlando, gli sia sempre stato l’opposto. Lo so, tentare anche solo un piccolissimo e schifoso paragone con il Dio di questo sport, mi fa solo ribrezzo e scusate se lo sto facendo, ma è l’unico modo per spiegarvi perchè ho amato così tanto quest’uomo. Ero tutto il suo opposto: sgraziato, correvo sempre come un pazzo e con la voglia di colpire con violenza quella pallina ad ogni costo. Vedevo il tennis come una valvola di sfogo dove gettare tutta la cattiveria nascosta e vomitarla dall’altra parte della rete. Ero un volgare, indegno di giocare ad un gioco che aveva sempre rappresentato uno sport per nobili. Una nobiltà sparita da tempo, oramai divorata da questo tennis più muscolare, grezzo, dove tutti adesso fanno la gara a picchiare noci di cocomero e lanciarle dall’altra parte del campo come scimpanzé urlanti.
Non ero in grado di essere come te, ma avrei voluto tanto essere come te.
Hai rappresentato la più grande nemesi sportiva con mio padre. Per colpa tua, ho litigato con lui non sai quante cazzo di volte, perché lui elogiava spesso più Nadal di te e questo non lo sopportavo. Odiavo vederti perdere con uno che non consideravo alla tua altezza e non sopportavo che mio padre lo apprezzasse, mi mandava in bestia. Ero un adolescente focoso, ma avrei pagato oro per vederti battere Nadal semrpe e comunque. Lui, mio padre, non ammetteva che preferisse Rafa a Roger, si nascondeva dicendo che nel tennis non può esserci tifo e che lui amasse solo lo spettacolo. Cazzate le ho sempre considerate e, forse, poco prima che morisse tra le mie braccia, mentre gli praticavo il massaggio cardiaco, avrei voluto che mi dicesse soltanto: “Avevi ragione Andrea, Nadal era il mio preferito” . Una soddisfazione me la doveva.
Sei stato anche la fortuna e l’onore più grande che abbia mai avuto nel raccontare dal vivo un tuo match di tennis. Inviato agli Us Open 2015 per conto di Ok Tennis e tu, allenato da Edberg, che dovevi giocare il secondo turno di quel match. In realtà avrei dovuto vedere anche il primo, ma purtroppo ero stato male e ho dovuto rinunciare. Avevo vomitato, ero stato ricoverato nella clinica degli spogliatoi e piangevo a dirotto, solo perchè temevo di non poter vederti giocare dal vivo. Avevo fatto migliaia di chilometri per vederti e tutto rischiava di volatilizzarsi per colpa di un’intossicazione alimentare e del jet lag non smaltito. Mi sentivo una merda, ma per fortuna recuperai le forze e due giorni dopo vidi finalmente il tuo match. Vederti giocare è stata un’emozione unica e conservo ancora quell’articolo.
E’ stato bello anche vederti allenare con Edberg, pochi scambi ma ero come un bambino che osservava il suo idolo di sempre e che finalmente era lì a due passi, mentre stava facendo ciò per cui lo aveva sempre amato: giocare a tennis. Tu sei stato un grande, non solo per la tua immensa capacità di saper giocare a tennis come nessun altro abbia mai visto fare, ma perchè hai condensato due mondi di fare tennis, tanto opposti quanto unici. Hai iniziato giocando a tennis quando ancora la rete non era solamente un mezzo per delineare le due metà del campo, ma un’arma dove poter concludere un punto grazie ad una demi volee o un serve and volley. Hai poi proseguito in un’epoca dove il tennis arretrava sempre di più il suo raggio d’azione, fino quasi a non vedere più il giocatore inquadrato dall’alto della telecamere, tanto sembrava lontano dal campo. Hai vissuto i due opposti e ne hai indossato entrambi gli abiti, mostrando una classe inarrivabile perchè eri il modello perfetto.
E negli ultimi eri pure tornato a giocare alla vecchia maniera, perchè il fisico te lo chiedeva, ed hai portato a casa tanti altri risultati che ti hanno permesso di proseguire la carriera e regalarci ancora tante gioie. Hai vissuto due modi di vivere tennis e gli hai saputi condensare in un unico corpo, non esisterà più un giocatore come te anche per questo motivo. L’epoca passata è morta, rivive in qualche piccolo spiraglio ma nessuno saprà assimilarla a tal punto da trasformarla nel proprio bagaglio tecnico e sfoderarla come arma in più, oltre alla potenza da fondo campo. Al massimo qualcuno farà una palla corta ogni tanto, qualcuno forse chiuderà un punto sotto rete perchè costretto dall’avversario, ma non vedremo più quello che tu ci hai mostrato. Sei stato l’ultimo baluardo di un tennis all’antica, trasferito nella modernità e capace di ritornare alle sue origini a fine carriera per dimostrare che si poteva vincere anche col vecchio. Chapeau.
Sul campo era come vederti danzare, tanto eri leggiadro, al posto del polso avevi come un uncinetto o un compasso, vista la precisione con cui hai disegnato il campo con i tuoi colpi e ricamato finezze da farti strabuzzare gli occhi. Con il tuo ritiro si chiude anche una parte della mia adolescenza, visto che oramai gioco a tennis di rado, mio padre non c’è più da tre anni ed anche il giornalismo l’ho quasi del tutto accantonato. Resta sempre l’amore per questo sport, amore che tu hai alimentato in maniera spasmodica dentro di me e solo per questo ti dovrei dire grazie. Non leggerai mai queste parole, ma sappi che ti ho voluto bene per quanto si possa voler bene ad una persona con cui non ho mai scambiato quattro chiacchiere. Ti ho visto esultare tante volte, ti ho visto piangere, perdere match che non avrei mai dovuto perdere perchè eri superiore, ma anche quei match persi mi facevano innamorare di te. Se tutti pensavano, durante il tuo dominio, che eri imperturbabile, una maschera di ghiaccio, vederti fragile e talvolta sconfitto perché gettavi delle occasioni incredibili, era un modo per sentire la tua umanità.
E’ stato quel click che nella mia testa mi ha fatto affezionare tantissimo a te e mi faceva rabbia sapere che non avresti vinto tutto quello che il tuo sconfinato talento ti doveva permettere di vincere (e di cose ne hai vinte davvero parecchie). Non ho citato i trionfi, la tua storia, ma ho solo scritto tutto ciò che mi saltava per la testa, esattamente come quel ragazzino colpiva con istinto puro la palla oltre la rete. Ho solo un po’ ragionato su cosa dire, ma poi sono stato un fiume in piena come lo sarei stato se ci fosse stata una racchetta ed un pallina da colpire. Grazie Roger, sei stato e resterai sempre un amore incalcolabile.