“E se ci diranno che per rifare il mondo c’è un mucchio di gente da mandare a fondo noi che abbiamo troppe volte visto ammazzare per poi sentire dire che era un errore noi risponderemo no no no no no.”
Questa canzone di Luigi Tenco sembra sia stata scritta poche ore fa e non nel 1966. È sempre la stessa triste storia, che non impariamo mai e continuiamo a ripetere, come la drammatica invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Un unanime e netto dissenso al conflitto sta arrivando da tutto il mondo, anche da quello tennistico, un coro trasversale che ha tra le voci più vibranti proprio quelle dei giocatori russi.
Il primo a esprimersi sulla guerra è stato Andrej Rublev che durante il torneo di Dubai ha appreso dell’iniziativa militare del presidente Putin, definendola terribile. “No War Please” scrive il tennista sullo schermo della telecamera dopo la vittoria in semifinale contro Hurkacz. Invoca rispetto reciproco e fratellanza il tennista russo in conferenza stampa, di come sia importante prendersi cura gli uni degli altri. Rublev ha affermato di essere stato attaccato su internet solo perché di nazionalità russa, in una sorta di cieca caccia alle streghe.
Ma all’aggressività Andrej risponde facendosi portavoce di una visione di pace sincera, senza retorica: il 20 febbraio, quando già soffiavano pesanti venti di guerra, Andrej a Marsiglia vinceva il torneo non solo in singolare ma anche in doppio con il collega ucraino Denys Molchanov. “Non siamo politici, ma sportivi, persone normali e lo sport unisce sempre.” Un’immagine simbolica, quella dei due giocatori che si abbracciano dopo la vittoria del titolo, che impartisce una lezione di unione a tutto il mondo politico. Il messaggio metaforico del “doppio della pace” non è ovviamente bastato e come aggiungerà mestamente Daniil Medvedev, in questi frangenti ci si accorge della poca importanza che rivestono tante attività in cui siamo impegnati ogni giorno, come un match di tennis. Il campione moscovita per un singolare paradosso è diventato numero 1 del mondo scalzando Djokovic proprio il giorno dell’attacco militare russo all’Ucraina. Emozioni contrastanti le ha definite l’atleta a chi gli chiedeva cosa provasse in quel momento: neppure il tempo di festeggiare lo storico primato, che l’attenzione pubblica generale si è interessata più alla sua nazionalità, diventata di colpo scomoda, che ai suoi indubbi meriti sportivi.
Daniil ha lanciato un appello per la pace in nome dei bambini che non meritano di vedere infrangere i propri sogni di serenità per precipitare nell’incubo della guerra. Una incredibile fermezza anche nelle parole della tennista russa Anastasia Pavlyuchenkova che sui Social si dichiara apertamente contro la guerra e la violenza. Qualunque sia la motivazione politica la violenza non è mai ammissibile, scrive Anastasia. La guerra toglie il futuro a tutti, soprattutto ai nostri figli conclude la tennista. Ma oltre alle dichiarazioni sono tante anche le iniziative promosse dai campioni del tennis, come la “missione” attuata dalla giocatrice ucraina Elina Svitolina che ha annunciato di voler devolvere il montepremi dei prossimi tornei all’esercito che sta combattendo per difendere l’Ucraina devastata dall’attacco e da un esodo straziante. Costretta a fuggire da Odessa con la sorellina anche la tennista ucraina Dayana Yastremska. Stava trascorrendo alcuni giorni in famiglia nella sua città natale prima di partire per il torneo WTA di Lione quando è scoppiata la guerra. Dopo aver trasformato il garage sotterraneo in un rifugio, i genitori hanno deciso di mettere in salvo le figlie accompagnandole al confine rumeno. Ma alla frontiera i due genitori hanno salutato le ragazze confessando di aver deciso di restare in patria e affidando a Dayana la sorellina. Decisioni complicate e sofferenti come quella maturata dall’ex tennista ucraino Sergiy Stakhovsky che è tornato in patria per arruolarsi e difendere il suo paese. Ha lasciato moglie e figli per tornare a Kiev armato solo di coraggio, intenzionato a scendere sul campo di battaglia insieme ai suoi connazionali in una situazione inimmaginabile fino a poco tempo fa. La definisce pazzesca Sergiy che adesso sente il rumore delle esplosioni e delle incursioni aeree sopra la testa. Un tempo l’unica cosa che gli volava sopra la testa era la pallina da tennis, in un lob insidioso da provare a intercettare. In effetti sopra le teste dovrebbero volare solo palline o palloni da inseguire con gioiosa foga come fanno i bambini durante la ricreazione nel campo improvvisato del cortile della scuola. Tutta questa normale quotidianità adesso sembra un ricordo lontano e inconciliabile con la realtà. Prendendo in prestito le parole di Daniil Medvedev ai bambini andrebbe insegnato che il futuro va avanti nella pace, ma a quanto pare non riusciamo a realizzare nei fatti ciò che predichiamo a parole. Anzi, spesso l’esempio ce lo danno proprio i più piccoli: gli alunni di una scuola primaria di Arezzo hanno affisso in classe uno striscione inneggiando alla pace con un tenero quanto amaro gioco di parole, che ci ricorda come sia un nostro dovere preservare la spensieratezza della loro infanzia: “Non è bello ciò che è bellico, ma è bello ciò che pace.”
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