Caso Peng, Shuai a L’Equipe: “Mai molestata”. L’artista Ai Weiwei dall’esilio: “Nulla di quanto dice può essere vero”

Nuovi sviluppi nella questione legata a Peng Shuai, la tennista cinese che il 2 novembre scorso aveva denunciato un grave fatto personale tirando in ballo l’ex vice primo ministro cinese Zhang Ghaoli, accusandolo di averla indotta a un rapporto sessuale non consenziente.

Da allora sono ormai passati tre mesi, la giocatrice inizialmente sparì per quasi tre settimane prima di riapparire e mantenere sempre un’aura molto distaccata da tutto l’emisfero occidentale che si era interessato alla sua storia, tra associazioni internazionali per i diritti umani, la WTA e diversi esponenti politici europei e nordamericani che cercavano risposta.

Le uniche apparizioni pubbliche documentate sono arrivate sempre per mano altrui, personaggi cinesi più o meno vicini al governo di Pechino. La WTA ha chiesto a gran voce un confronto, un dialogo con la propria giocatrice, mai ottenuto mentre il Comitato Olimpico Internazionale ha avuto la possibilità di avvicinarsi in almeno due occasioni con videochiamate dove mai, però, si è mai scoperto cosa veramente portò a quel post, alla sua cancellazione, alla totale censura da parte della persona Peng su Weibo, della sparizione del suo quadro del trionfo in doppio a Wimbledon nel centro tennistico nazionale e a varie altre situazioni controverse.

Da quando è riapparsa, Peng ha spesso cercato di minimizzare l’accaduto senza però mai offrire piena convinzione. Sembra, dopo tre mesi, possa non esserci al momento un reale problema per la sua incolumità ma i suoi discorsi non legano, nei toni e nella linearità delle risposte che sono perfettamente in linea con quello che pressoché tutti gli attivisti, esiliati e figure cinesi divenute un problema per il governo nazionale stanno esponendo dal primo momento. Ora, però, per la prima volta Peng ha potuto parlare a un portale del mondo occidentale. L’Equipe, coi suoi inviati a Pechino per le Olimpiadi e sapendo di avere la cinese nei paraggi perché entrata due giorni prima della cerimonia di apertura dei giochi nella speciale bolla degli atleti, ha inviato richiesta al comitato cinese per un’intervista.

La richiesta è stata accettata, ma dal comitato olimpico cinese sono arrivate specifiche richieste: che l’atleta potesse esporsi in cinese, che potesse ricevere le domande in anticipo e che l’intervista fosse pubblicata senza commento. La mezz’ora concordata, dicono Sophie Dorgan e Marc Ventouillac, è divenuta quasi il doppio con anche qualche domanda extra oltre a quelle concordate, sebbene la libertà di movimento fosse minima. Assieme a Shuai, raccontano, c’era come interprete Wang Kan, un manager cinese. Per facilitare la conversazione Peng avrebbe espresso lei stessa ai giornalisti di avere a loro volta un’interprete. Di fatto, raccontano, è emerso nulla di veramente diverso rispetto a quanto non fosse emerso già prima se non per il fatto che si considera ormai una ex giocatrice.

L’INTERVISTA PILOTATA

A proposito dello scandalo internazionale emerso dal suo post Weibo del 2 novembre, Peng ha detto di non essere quasi stata a conoscenza della grande agitazione globale: “Non penso di essere stata a conoscenza di tutto ciò, non seguo granché le notizie dei media stranieri. Non so leggere l’inglese, ma ho sentito qualcosa. Per prima cosa, vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno mostrato supporto. Non potevo credere ci fosse tutta questo preoccupazione… per cosa poi?”. L’intervista per larghi punti sembra scollegata. Peng parla con risposte che sembrano scollegate dalle domande. I suoi pensieri vanno per una strada, le domande propendono verso un’altra, ma da come i giornalisti hanno presentato l’evento, i margini di manovra erano veramente minimi e dovevano rispettare paletti molto stringenti senza affondare particolarmente i colpi, nel caso avessero voluto. Il fatto che Shuai chieda le ragioni di tale preoccupazione, ancora ora, è di per sé abbastanza curioso. Quando le viene detto che si rifanno, appunto, al post Weibo risponde: “Ho già risposto a questa domanda a Shanghai e in varie mail mandate alla WTA. C’è stato un enorme misunderstanding su quel post. Non voglio che quel post sia rigirato ancora, non voglio altro hype dei media”.

Ha negato, nuovamente, di essere stata aggredita sessualmente. Questo malgrado in quel post famoso del 2 novembre fu detto, chiaramente, che dopo l’incontro e la partita a tennis giocata con Zhang e la moglie lei fu portata a casa loro e condotta nella camera di lui, che volle avere un rapporto sessuale a cui lei inizialmente si rifiutò e scoppiò a piangere, spaventata, prima di cedere dopo diverse ore mentre la moglie di lui controllava che tutto fosse tranquillo al di fuori. Il fatto è tanto grave quanto potente, soprattutto nel sistema sociale cinese, soprattutto per l’importantissima posizione politica di Zhang stesso fino al 2017, appena sotto il primo ministro del partito comunista leader della Cina, Xi Jinping.

Continuando la fase dove le risposte di Shuai non sempre sembrano connesse alle domande, Peng ha poi espresso di nuovo stupore quando le è stato detto che in tantissimi han pensato fosse sparita, quasi tentennando nella risposta: “Non sono mai sparita. È solo che ricevevo così tanti messaggi che non potevo rispondere, ma sono sempre stata in contatto con le persone più vicine. Ho parlato con loro, ho risposto alle loro mail, come anche a quelle della WTA… ma alla fine dell’anno la comunicazione sul loro sito è cambiata e molte giocatrici hanno fatto fatica ad accedervi, ma io con le colleghe più strette sono sempre stata in contatto, non capisco perché tutto questo”. Quando le è stato chiesto del post scomparso, Peng in maniera decisa: “L’ho tolto io. Perché volevo così”. Alla domanda se ci sono stati problemi con le autorità cinesi: “Per prima cosa: sentimenti, sport e politica sono tre cose distinte. I miei problemi d’amore non devono intralciare sport e politica. E lo sport non deve essere politicizzato e quando accade significa voltare le spalle allo spirito olimpico e va contro la volontà del mondo sportivo”. Mentre alla domanda su come è la sua vita dal 2 novembre a ora, la cinese ha risposto: “Come sempre, nulla di speciale. Voglio fare in modo che la gente capisca chi io veramente sia: una ragazza normale, una tennista perfettamente ordinaria. Alle volte sono serena, altre felice, altre volte triste. Posso anche essere molto stressata. Qualsiasi emozione possa avere una donna, la vivo anche io”.

Peng, ex numero 1 al mondo in doppio, di fatto poi annuncia il suo ritiro: “Nel mio cuore, sarò sempre una tennista”. Rientrerai? “A competere? Forse nel circuito senior! Il tennis ha cambiato la mia vita, mi ha portato gioia, sfide e tanto altro. È dura dover dire addio, anche se non parteciperò più a competizioni ufficiali sarò sempre una tennista”. Shuai poi ha citato problemi alle ginocchia come ragione principale dell’impossibilità di tornare a giocare, con iniezioni subite a Monaco di Baviera ogni 2-3 mesi e diversi interventi in questi anni per permetterle di continuare. Con la pandemia, non ha più potuto andare in Germania. Le è stato detto che Nicholas Mahut ha poi espresso la volontà di giocare il doppio misto con lei a Parigi, per il Roland Garros, e la risposta è stata: “Quando è?”, come se non sapesse le date ormai canoniche intorno al quale lo Slam sul rosso viene giocato. E a proposito delle sue comunicazioni con Thomas Bach anziché la WTA, Peng ha dichiarato che non ha ricevuto alcuna comunicazione dalla WTA stessa prima di prendere conoscenza del comunicato e che soltanto il team di psicologi si era messo in contatto con lei e che questo le sembrò strano ed eccessivo, rispondendo poi a Steve Simon, mentre dopo l’evento tennistico a Pechino di fine novembre ricevette informazioni che Bach voleva parlarle e si trovarono per una video chiamata. La cena col capo del Comitato Olimpico Internazionale c’è stata, come promesso al termine della loro video-chiamata, lo scorso sabato e adesso Peng è sempre nei dintorni degli eventi olimpici per assistere ai loro connazionali.

AI WEIWEI E LA SUA STORIA STRUGGENTE

Sulle pagine del The Guardian, poche ore prima che uscissero le parole di Peng Shuai su L’Equipe, aveva parlato Ai Weiwei, 64 anni, artista di arte contemporanea, fin da piccolo costretto a vivere in un esilio a cui il padre, Ai Qing, venne condannato. Nel 2011 passò 81 giorni in una prigione cinese e i successivi quattro anni chiuso in casa. Nel 2015 lasciò la Cina e da allora vive tra Berlino, Cambridge e il Portogallo.

Weiwei cominciò a studiare la storia degli studenti morti nel terremoto del Sichuan del 2008. Il governo cinese aveva a lungo censurato ogni informazione circa quel terremoto, ma pezzo per pezzo riuscì a ricostruire tutto: nomi, scuole e università di 5219 studenti, disse nell’intervista: “Mi sentivo disperato quella volta. Mi sentivo come se potessi collassare da un momento all’altro e sapevo che le autorità cinesi potevano farmi sparire facilmente”. Un tono di terrore che ritorna, ancora una volta, come tanti personaggi che si sono esposti fin qui. “Mia mamma, a 90 anni, mi tiene nei suoi pensieri ogni giorno. Vorrei tanto tornare in Cina, ma lei per prima continua a dirmi: ‘Non farlo’. È sincera, per quello che ha vissuto quando scomparvi la prima volta. In tutta la nazione nessuno poteva darle una parola di dove fossi e questo la fece stare malissimo. Ricordo ancora quando venni fuori e vidi i segni importanti sul suo volto”.

Questo racconto personale non si lega a Peng, ma è l’ennesima testimonianza di come ritrovarsi contro il governo di Pechino sia probabilmente la situazione peggiore in cui vivere. In questa intervista viene poi menzionata proprio Shuai, con una domanda specifica in cui si chiede a Weiwei dove possa trovarsi ora. La risposta: “Lei è nelle mani molto sicure del Partito Comunista. Loro faranno in modo che lei possa comportarsi esattamente secondo la loro volontà. Lei potrà forse già aver realizzato che ha commesso un errore in esporsi in questa così profonda e cupa relazione. Lei ha messo la sua famiglia, i suoi amici e la sua carriera a rischio. Non c’è più spirito per lei. Lei è diventata un’altra persona, e qualsiasi cosa lei ti dica non è vera”.

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