di Salvatore Sodano C’era un ragazzo che come me… amava i Beatles il Rock&Roll… e il tennis? Forse, ma scavando nel fotocatalogo dei vip, a disposizione nella banca dati, di Morandi tennista non c’è traccia. Allora? Cosa c’entra Morandi con il tennis, a parte le circostanze che spesso lo hanno visto esibirsi negli stadi del […]
Per il secondo anno di fila ci affacciamo al nuovo anno sfiniti dalla pandemia, con una buona dose di amarezza e poca voglia di sognare.
Eppure se ripercorriamo a ritroso questi dodici mesi di tennis italiano in una sorta di nostalgico amarcord non possiamo fare a meno di notare come la potenza dei sogni dei nostri atleti possa trasformarsi in una lezione di vita universale da scolpire nelle nostre menti.
“C’è che ormai ho imparato a sognare e non smetterò” ripetono le strofe di una vecchia canzone dei Negrita, un vero inno alla capacità a sognare. Perché non solo non dobbiamo mai rinunciare ai sogni per quanto possano sembrare irrealizzabili, ma non dobbiamo mai smettere di crearli. Si inizia a sognare da bambini quando i desideri fanno compagnia in quelle che sembrano interminabili ore di scuola e poi si continua, fino a quando si capisce che talvolta i sogni sono più grandi di noi.
Ed è lì che qualcuno smette di sognare, accantona il progetto bollandolo come irrealistico mentre pochi caparbiamente proseguono. Pare difficile anche solo immaginare il coraggio necessario per cavalcare un desiderio che poco più che bambino ti porta lontano dagli affetti, da una vita rassicurante sui monti, da quello che tutti si aspettano tu faccia e ti trascina invece lontano, fino in riva al mare per misurarti con uno sport duro e solitario. Jannik Sinner ha imparato a sognare, ha avuto il coraggio di staccarsi dal suo mondo, superando i confini a caccia di un sogno, abbandonando vecchie radici per trovare la sua essenza. In questi lunghi dodici mesi ha dimostrato di possedere la forza mentale per inseguire e raggiungere quei sogni di bambino.
È rapidamente passato da numero 37 del ranking alla Top Ten in una ascesa inarrestabile, è diventato l’incubo dello spagnolo Bautista Agut sconfitto a distanza ravvicinata in ben due distinte competizioni ed è infine riuscito a mettere in riga un esuberante Monfils oltre al pubblico partigiano del Louis Armstrong Stadium di New York. Nel finale di stagione che sembrava avviato ad una amara conclusione, la partecipazione alle Finals in sostituzione del connazionale Berrettini infortunato lo ha definitivamente consacrato nell’Olimpo del Tennis. Coltivare un sogno però, come le facce della stessa medaglia, comporta anche andare incontro a tante delusioni, incassare botte e cadute. Si è rialzato ogni volta più forte che mai anche Matteo Berrettini.
Nonostante sia stato un anno d’oro, il tennista romano ha affrontato numerosi infortuni che lo hanno ripetutamente fermato ma non gli hanno impedito di confermarsi una certezza del tennis azzurro e conquistare importanti traguardi: i quarti al Roland Garros e agli US Open, le vittorie a Belgrado e soprattutto al Queen’s, il fantastico preludio alla finale di Wimbledon persa contro Djokovic, sfortunatamente suo ricorrente avversario.
In un singolare appuntamento col destino Matteo si è ritrovato protagonista di uno storico risultato insieme alla Nazionale di Calcio, unendo in un unico sogno l’Italia dello sport e riuscendo nell’impresa di avvicinare due tra le discipline sportive più diverse che esistano: nella stessa domenica inglese l’elitario e individuale gioco del tennis ha preso amabilmente a braccetto il più popolare gioco di squadra del mondo, in un giorno di festa che sembrava improbabile da realizzare, impossibile anche solo da sognare. Inizia sempre come un’idea sbiadita, talvolta confusa o timida poi il sogno va avanti, si modula e si calibra, spesso vive cocenti fallimenti ma solo in questo modo costringe il sognatore a trovare nuove energie per ricominciare ad alimentarlo. Come in una bella canzone Jannik e Matteo hanno imparato a sognare e hanno finito per trasformare loro stessi in un sogno, quello del tennis italiano.