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10 Lug 2021 14:36 - Commenti
Djokovic, il Cell del tennis distruttore di sogni (e lo farà anche stavolta)
di Luigi Ansaloni
Da ieri pomeriggio frulla in testa una parola, agli appassionati di tennis italiani, anzi la si grida ad alta voce: sogno.
Un sogno, ma che sogno, non voglio interrompere il sogno, vogliamo sognare.
Tutto molto bello e tutto molto genuino, e già di questo dobbiamo dire davvero grazie, a Matteo Berrettini.
Ovvio che il Berry lo fa per lui e non per noi, perchè lui, a differenza di chi tenta di appropriarsi di quel sogno scrivendo post e dichiarazioni deliranti, ha davvero la possibilità di realizzare il suo sogno, e quindi è giusto che alla domanda se ci crede, lui dica “sì, ci credo”, perchè così deve essere.
L’unico davvero giustificato a credere in qualcosa che sarebbe pazzesco è lui, solo lui, fortissimamente lui. Perchè a differenza nostra, ha lavorato come un matto ogni santo giorno per rendere realtà quella fantasia che aveva ogni mattina uscendo da casa, nonostante i sorrisini altrui.
Perchè in pochi, pochissimi eletti, in questo mondo e in questo sport, hanno la possibilità di rendere realtà una risposta che magari ha fatto ridere chi faceva la domanda.
“Qual è il tuo sogno?” “Vincere Wimbledon”. E certo, certo. Come no, Mattè. Tant’è. Così come fanno ridere i “io l’avevo detto” o “io lo seguo da quando faceva il challenger di…”. Vabbè.
IL “CELL” DEL TENNIS
Lasciando perdere quello che leggete e leggerete in queste ore prima del grande evento, e lasciando perdere ancor di più quello che avete letto nelle ore immediatamente successiva alla semifinale (per dirne una: no, Berrettini non è Sampras), ci tocca come successo qualche altra volta la parte dei cattivi, da queste parti.
Ci piace un po’, è vero, ma alla fine è l’unico vestito che sembra andarci bene in ogni occasione. Come successo qualche mese fa, quando vi avevamo svelato che (udite udite) Sinner non era la Madonna, e anche se ha ancora tutto il tempo del mondo per diventarlo, ancora non lo è.
E i tentativi, alquanto curiosi, di farlo ancora apparire tale (tipo quello di trasformare “una partita alla pari” quella tra Djokovic e Fucsovics, avversario di Jannik al primo turno) sono stati magari maldestri. Così come qualche sua difesa, e anche qualche attacco (vero, Barazzutti?).
I carri, si sa, sono molto stretti o molto larghi in ogni occasione. Così come la memoria, che può essere “lunga” oppure inesistente.
Dunque, ora il carro di Berrettini è pieno fino a scoppiare, colmo di persone che fino a qualche mese si chiedevano come fosse possibile che uno “con quel rovescio” potesse essere top 10 e che “meno male che ci sono Sinner e Musetti”.
Detto questo, e tornando al discorso originale, purtroppo per lui e per noi, Berry troverà in finale “il mostro”.
Al secolo Novak Djokovic. Un uomo magari non truce, ma certamente il giocatore più spietato di tutti i tempi (anche il più forte, ma di questo ne parleremo un’altra volta). Una sorta di Palpatine con la racchetta in mano.
Ha distrutto molti sogni, Nole. A Wimbledon l’ultima volta scippò, letteralmente, il ventunesimo slam a Federer. Annullando due match point, forse i match point più pesanti della storia del tennis, almeno in quella recente. Sempre solo. Sempre contro tutto e tutti. Ma fortissimo. Troppo forte. Probabilmente anche per Berrettini.
Il tennis di Djokovic negli anni si è evoluto, ed è diventato sadico. Nole sbaglia, come tutti, ma sbaglia molto, molto meno degli altri. Gli altri lo sanno, e ad un certo punto crollano perchè sanno proprio che prima o poi sbaglieranno. Non ce la fanno di testa. Chiedere a Tsitsipas a Parigi. Alla fine, un vincente o uno sbaglio altrui valgono lo stesso: un 15.
Novak è un Cell che si nutre delle paure altrui, fino a diventare l’essere perfetto, in questo caso il tennista perfetto. E quando qualcuno lo mette in difficoltà col gioco, lui alza il livello (di combattimento) all’improvviso. Aspettando che l’altro ceda, si stanchi o qualsiasi altra cosa. “Dimostrami quello che sai fare, io sono qui”. In certi tratti della partita sembra possibile batterlo, ma 3 su 5, fuori dal rosso, praticamente non perde dall’Australian Open 2018, con Chung, quando giocava senza gomito e in uno stato mentale non certo da lui.
Il punto, e i giovani lo sanno meglio di chiunque altro, è che per batterlo dovresti mantenere un livello che non è possibile mantenere per 3-4 ore.
Matteo ci proverà. Proverà a fare l’impossibile. Proverà ad essere Gohan. Ce la farà? Difficile. Per chi vi scrive, no.
Importa? Forse no, forse sì. Perchè la pacca sulle spalle è bella, ma il trofeo è meglio.
E’ vero, il tennis è lo sport del Diavolo, per dirla alla Panatta. Il punto è che domani, in finale, dall’altra parte della rete ci sarà il Diavolo. In persona.