Tutto pronto per il primo major di Medvedev, ma è davvero una finale scontata?

Se provate a chiedere a qualche esperto, vero o sedicente, un pronostico sulla finale dell’edizione numero 109 dell’Australian Open difficilmente la risposta sarà “Novak Djokovic”.

Eppure il serbo è il numero 1 del mondo, ha vinto questo torneo 8 volte, è avanti nei confronti diretti per 4-3 sul Daniil Medvedev, ha giocato l’ultima finale slam e si appresta a battere il record di settimane in vetta al ranking di Roger Federer.

Sembra tanto, tantissimo, lo spettatore occasionale non comprenderà perché mai allora l’esperto sembra incerto anzi, se proprio deve fare un nome farà quello del suo avversario.

Eppure l’esperto ha più di qualche ragione, perché il divario tra Novak Djokovic e Daniil Medvedev sembra molto ampio. A favore di Medvedev.

Il dinoccolato russo è nel momento migliore della sua carriera. Dalla sconfitta di Vienna contro Kevin Anderson, che arrivava a chiudere un periodo nero in cui Daniil sembrava tornato preda dei suoi malumori, il numero 4 del mondo cominciava, curiosamente contro lo stesso avversario ma a Bercy, una serie di 20 partite senza sconfitte. In queste 20 partite ha battuto con facilità imbarazzante tutti i top10, non dando mai l’impressione di rischiare ma anzi di tenere addirittura bassi i giri del suo motore, salvo alzare un po’ il livello quando lo ritenesse necessario. Di questi 20 match una sola volta è sembrato davvero in difficoltà, nella finale di Londra contro Thiem, quando ha rischiato di finire sotto di set e break. Dominato anche quel tiebreak Medvedev non ha appunto mai più fatto avvicinare nessuno, qualsiasi fosse il suo modo di giocare o la sua posizione in classifica. In questo Australian Open ha avuto un momento di distrazione contro Filip Krajinovic nel terzo turno, risolto con un 6-0 al quinto, e a parte questo momento i suoi avversari sono arrivati a malapena a 5 game in un set per perdere malamente gli altri. Il russo non patisce nessun tipo di preoccupazione, tanto che è stato sorprendente sentirgli dire di avere avuto paura nel terzo contro Tsitsipas, va a sapere se è un tentativo di captatio benevolentiae, anche se pure quello sarebbe sorprendente, visto che non è mai apparso troppo interessato a piacere al pubblico. Inoltre, per chiudere con le questioni extratecniche, Daniil non ha certo un problema di timori nei confronti di qualcuno visto anche il “tuo padre parla troppo” sibilato a Tsitsipas nel bel mezzo della semifinale.

Tutto questo non basterebbe certo a spostare i favori del pronostico se non ci fosse, dietro a queste caratteristiche personali, un gioco che sembra inscalfibile. Medvedev è meglio che si tenga lontano dalla rete ma è impresa estremamente complessa portarlo fin lì. i suoi colpi di inizio gioco – servizio e risposta – sono tremendamente efficaci e il russo riesce a giocarli meglio nei momenti in cui gli servono, come nella fase finale del match contro Tsitsipas, in cui ha annullato una palla break e poi vinto il game con tre prime violentissime. Per poi rispondere agevolmente nel game successivo, utile per evitare di trascinare il match al tiebreak. Iniziato lo scambio Medvedev gioca vicino alla linea di fondo ma i suoi colpi, soprattutto il rovescio, finiscono sempre a pochi centimetri dalla linea di fondo opposta, costringendo ad affannose difese gli avversari. Il rovescio lungolinea, se l’avversario non cede centimetri o non accorcia quanto basta a Medvedev per entrare nel campo a chiudere il punto, è di una precisione terribile ed è appunto la soluzione ideale per stroncare le velleità del rivale.
Tutto questo gli è consentito da quella che dev’essere la caratteristica principale di un tennista moderno e cioè una preparazione fisica impeccabile ed un’agilità e leggerezza superiore alla media. Medvedev si muove perfettamente, arriva sempre benissimo sulla palla, anche se la sua è una coordinazione molto strana a vedersi, e questo gli consente di impattare la palla con straordinaria efficacia. Si può battere un tennista così?
Naturalmente il russo ha più di qualche punto debole. Abbiamo accennato alla rete, dove francamente è in grado di far mettere le mani ai capelli anche ai suoi più accesi sostenitori, e il dritto in allungo sembra ancora da registrare, o in ogni caso non è efficace come il rovescio. Il guaio è che a rete è difficile portarlo, e per via appunto della leggerezza di movimenti riesce a colpire sempre in perfetta coordinazione.

Le condizioni di Djokovic sono ben diverse. Senza tornare sul misterioso strappo subito contro Fritz in tutto il torneo il serbo non ha mai mostrato né un gioco particolarmente brillante né di essere in grado di travolgere gli avversari. Djokovic ha concesso un set e qualcos’altro a Tiafoe, è andato al quinto con Fritz, ha perso un set in quell’incredibile partita contro Zverev – non degna forse neanche di un terzo turno slam – e persino nella più semplice delle semifinali ha trovato modo di tenere un po’ in partita Karatsev. Quello che Djokovic sembra aver perso, comprensibilmente, è proprio la brillantezza fisica, che consentiva al serbo di colpire in perfetto equilibrio grazie alla miracolosa elasticità del suo fisico. Con l’aumento dell’età anche la potenza dei colpi è calata e gli avversari riescono meglio a contenere il pressing asfissiante a cui Djokovic li costringeva. E ci sembra anche di aver notato una certa stanchezza mentale, o almeno così interpretiamo i tanti dritti e rovesci lunghi e in corridoio relativamente semplici.
Le buone notizie per Djokovic riguardano il fatto che il suo dropshot potrebbe essere un’arma per portare Medvedev proprio dove non vuole e che quanto meno Novak rimane in grado di approfittare dei passaggi a vuoto del rivale. Ma poco altro, a dire la verità.

Insomma la finale di domani è quella tra un giocatore che da mesi sembra inscalfibile e uno che un po’ arranca, soprattutto se al cospetto di un giocatore molto forte. La condizione fisica dei due non sembra paragonabile, d’altronde 9 anni di differenza, via via che si invecchia, diventano sempre più significativi. E se è vero che Djokovic è avanti 4-3 nei precedenti è più vero ancora che le tre di Medvedev sono arrivate nelle ultime quattro volte che si sono incrociati e appena un paio di mesi fa il russo ha rifilato un duplice 63 al serbo con una facilità quasi irrisoria, anche lì mostrando la capacità di cambiare marcia alzando il livello del suo gioco e rifilando sei game di fila all’avversario.

Poche partite sembrerebbero quindi più scritte di queste e dopo queste righe la stranezza della risposta degli esperti non sta nel nome del vincitore ma nella loro titubanza. Ma anche quella va giustificata e capita. Lo sport vive della sua capacità di sconfiggere logica e pronostici soprattutto nell’evento singolo. Se è chiaro che a fine anno è sostanzialmente impossibile che Djokovic possa essere davanti a Medvedev in classifica questo non significa certo che nella partita secca non possa succedere chissà cosa. Una caduta, una storta, un malumore, un colpo che non si sente, la tensione per un successo così prestigioso, la pressione di doverlo fare ora o chissà quando. Proprio a Melbourne, poco più di un anno fa, Djokovic capovolse una partita persa, o meglio buttata al vento da Thiem. D’altra parte perché mai dovremmo vedere una partita altrimenti?

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