Tra i Big 3 e i giovani c’è (e ci sarà sempre) l’abisso

Sotto i flash, la bowl degli Open svela la propria magia. I volti istoriati sembrano animarsi nei riflessi della luce, mischiandosi al profilo dell’ultimo vincitore che si specchia sul fondo lucido. Ha la forma di una coppa da punch, come la Davis, e nell’inseguirsi dei lampi sembra voglia raccontare di eventi vicini e lontani.

Norman, la chiamano. Perché dedicata a Norman Brookes, che ne fu uno dei primi proprietari. Un mago, per tutti. Australasiatico, per di più. Il campione di un tennis miracoloso che riunì due nazioni in una, Australia e Nuova Zelanda.

È la riproduzione di un vaso storico, il vaso di Warwick, ritrovato a pezzi in uno dei laghetti di Villa Adriana, a Tivoli, e restaurato dai migliori artisti del Settecento, su tutti il Piranesi. Il personaggio raffigurato, al centro di altre divinità, è Bacco. La Coppa è un invito alla libagione, alla festa di tutti, e racconta della divinità più popolare che vi sia.

Il baccante è invece Novak Djokovic, e alla fine, laggiù sotto, down under come dicono gli australiani, festeggia sempre e solo lui. Nove vittorie in nove finali. La metà degli Slam conquistati da Nole, diciotto da ieri, sono stati celebrati alzando la coppa di Bacco, malgrado Nole sia, per sua stessa ammissione, “il campione che non sopporta lo champagne”, cioè l’elemento liquido che meglio si sposa con le vittorie. E con la Coppa in questione.

Che volete farci, il tennis ama le proprie contraddizioni, i molti ossimori che ne fanno uno sport insieme umanissimo e ai confini del divino. Fateci caso… Mentre il popolo del tennis dibatte da tempo sulla reale dotazione di simpatia del serbo, ecco che a difenderlo scende in campo proprio Daniil Medvedev, lo sfidante imbelle, il ventiquattrenne russo che vedrà scadere a breve il suo status di “eterno giovane”, e se non si sbriga sarà costretto a chiedersi quanti tennisti abbiano conquistato il centro del tennis nella loro maturità. Risposta facile, nessuno. O meglio, nessuno da ricordare. Alla sua età, Djokovic aveva già vinto sei tornei dello Slam, e aveva giocato e perso, contro Nadal e Federer, altre due finali.

Però, il ricordo è carino, e Daniil lo snocciola sorridendo verso Nole, che incontrò la prima volta a Montecarlo nel 2014, lui numero 600 del mondo, l’altro già numero uno. «Io ero atterrito, ma fu lui ad avvicinarmi, a parlarmi, a informarsi su chi ero e che cosa facevo. Grazie a lui ho scoperto che i campioni erano umili e amichevoli. Lo ringrazierò sempre per questo».

La nona del Djoker porta con sé una sentenza limpida e cristallina nel suo significato sportivo. Per i più giovani non c’è spazio. La distanza fra gli iscritti al Club dei Più Forti (sempre loro, Federer, Nadal, Djokovic) e i molti in fila per chiederne l’ammissione, è ancora abissale. Il più vicino, Dominic Dominator Thiem, ha 27 anni, ed è l’unico che possa vantare una vittoria. Gli altri sono ancora alle prese con una domanda cui non trovano risposta. Come si gioca una finale? E soprattutto, come si vince?

Non come ha tentato di fare Daniil Medvedev, se ci perdonate la banalità. La finale del russo è durata dieci game e si è spenta sul 5 pari del primo set. Da lì in poi c’è stato solo Djokovic, mentre Daniil si proponeva nei panni del vandalo spacca racchette, e in quelli dell’attacca brighe, ai danni del suo coach Gilles Cervara, che se ne stava lì con la mascherina sul volto, utile a coprirsi naso e bocca, e qualche volta, tirata appena più in alto, anche gli occhi. Per non assistere allo scempio. «Non era la mia giornata, Nole giocava molto bene, e io non ho trovato i colpi per spezzare la sua corsa. Devo capire ora se è tutta colpa mia, o tutto merito suo».

Novak rilancia la sfida ai suoi pari. Ai primi di marzo raggiungerà e supererà Federer per numero di settimane in vetta alla classifica. Poi tornerà a caccia delle sue prede preferite, gli Slam. «Io, Rafa e Roger siamo qui per vincere ancora. Che altro? Vogliamo evitare che i giovani vincano gli Slam al nostro posto. Ci piace vedercela fra noi».Non proprio le parole che Rafa e Roger avrebbero usato. Ma il concetto è chiaro. Forse Medvedev avrà altre occasioni, forse… L’importante sarà non ritrovarsi di fronte questo Djokovic.

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