Australian Open femminile: da ‘Ash contro Dash’ a Sherif che fa la storia dell’Egitto. I temi delle prime giornate

1. Ashleigh “Ash” Barty contro Daria “Dash” Gavrilova. ‘Ash contro Dash’ al secondo turno, la numero 1 del mondo contro una ex top-20 ai primissimi tornei di questo rientro in campo nella seconda metà del 2019 dopo un anno di assenza per curare dei problemi tra tendine d’Achille e piede che non le davano pace. Sarà una giornata bellissima a Melbourne, giovedì: Barty e Gavrilova sono molto amate dal pubblico, con stili e modi di stare in campo così simili e per certi versi diversi che ci sarà una varietà di soluzioni smisurata, perché entrambe sono spontanee e genuine e quello che vediamo è quello che sono, niente maschere.
Non sempre il rapporto del pubblico con Gavrilova è stato idilliaco. In almeno un paio di occasioni “Dasha” si sfogò in malo modo contro il suo box per lasciare andare la frustrazione di partite dove non riusciva a venirne a capo, ed essendo stata in quel periodo numero 1 d’Australia era ancora di più soggetta a ogni giudizio. Però quello è un rapporto nato su basi che sembrano molto solide. Anche oggi dopo aver battuto Sara Sorribes Tormo è stata intervistata creando uno show, svariando tra la partita, l’autoironia, il tempo passato a dormire, la sua linea di braccialetti e qualunque cosa le passasse per la mente. Celebre, inoltre, la sua gaffe proprio davanti al microfono quando nel 2016 raggiunse il quarto turno battendo Kristina Mladenovic 11-9 al terzo quando per dire che se la cava bene da fondo campo fece intendere, ecco, altro.
Barty prima ancora che diventasse numero 1 era presa in simpatia per la sua storia da rientrante e nel 2017 già c’erano gruppi di tifosi che giravano per Melbourne Park cantando Kesha: “Tik Tok on the Clock, but the Barty Party don’t stop”. Il giorno in cui, nel 2019, batté Maria Sharapova fu il delirio dentro la Rod Laver Arena. Nell’ultimo game Barty salì 40-15: sul secondo match point sembrò esserci un ace, la palla non fu chiamata, il pubblico era già partito, Barty vide Sharapova chiamare hawkeye, palla appena fuori, e in quel trambusto Barty servì un doppio fallo. Sul 40-40 un’altra prima nei pressi della riga esterna: palla buona, Sharapova chiamò un altro hawkeye, palla effettivamente buona, il papà di Ash in tribuna se la rideva con un animo da pescatore in riva al fiume, estremamente sereno mentre tutt’intorno c’era il pandemonio. Al quarto match point, altro servizio negli ultimi millimetri di riga esterna, palla buona, palla finalmente buona, e da lì tutto il pubblico a festeggiare come gli Ewok al termine di Star Wars quando fu distrutta la Morte Nera.

2. Una parte per Barty, comunque, è doverosa. Dallo scoppio della pandemia non ha mai lasciato l’Australia, costretta a rinunciare a diversi tornei privilegiando la salute sua e del team in una fase delicata. È rimasta numero 1 nel ranking WTA perché congelarono i punti, e ricevette anche diversi commenti negativi per lo scarso impegno. Ha passato una off season facendosi immortalare in uno stadio di football esultando e bevendo birra, consegnando il titolo di campioni alla sua squadra del cuore, ha vinto un torneo di golf locale. Poi torna e subito sembra tirata a lucido, vince il suo primo titolo WTA della stagione, e ora esordisce con un 6-0 6-0 nello Slam di casa.
Ash rende tutto straordinariamente semplice. Parli con lei, ascolti le conferenze stampa, e non ti accorgi che sia in una posizione così rilevante, invidiata e al centro di ogni discorso. È numero 1 da 63 settimane, ferma una conferenza stampa per rispondere a una chiamata e scherzare coi giornalisti che dall’altra parte le hanno riattaccato il telefono in faccia. Parla del coach chiamandolo “Tyzzy” (Craig Tyzzer) con questo fare tipico degli australiani super alla mano che sembrano pronti a portarti al chiosco in spiaggia per bere assieme. Cercano di mandarle addosso la pressione, o di dirle che adesso tutti si aspettano il massimo, lei una volta dice che è stata un mese in compagnia della nipotina a giocare e a fare indigestione di film della Disney, un’altra racconta della passione per il golf, e quando oggi Jelena Dokic le chiese se allora potesse usare il golf per distrarsi da tutto l’ambiente ha risposto: “Beh spero di no, di essere impegnata su questo campo, non dovesse andar bene sicuramente andrò a godermi del tempo sul campo da golf”.
Nulla che possa dar segno di tensione, ansia, routine metodica di tennisti o risposte a mezza bocca pre-stampate del tipo “vediamo come va, voglio ragionare partita dopo partita”. Se va bene, bene. Se non dovesse andare, pazienza: è il segreto per prendere tutto questo come veramente va vissuto, con la leggerezza di chi adora fare quello che fa. Altro motivo per cui nessuno si è mai lamentato di lei.

3. Il tasto più dolente. Le “quarantenate”, quelle che non potevano nemmeno mettere il naso fuori dalla finestra e respirare aria pulita. Non tutte sono state eliminate, e per esempio Anett Kontaveit e Ann Li che erano arrivate fino alla premiazione surreale della domenica nel Grampians Trophy (non si giocò la finale, ricevettero punti e soldi per la finale entrambe) hanno colto la loro quinta e sesta vittoria consecutiva. Altre invece hanno avuto discreti problemi tra cui protagoniste attese come Maria Sakkari e Victoria Azarenka, ma anche Angelique Kerber e Alison Riske. Paula Badosa ha detto alla stampa che se ci dovessero essere ancora eventi con queste restrizioni potrebbe anche decidere di non partecipare. Il governo australiano ha deciso per il pugno di ferro quando fu ora di rinchiudere in camera 27 giocatrici, ma riesce difficile credere che nessuno sapesse quanto rigide fossero le posizioni di questo paese nei confronti del blando essere del mondo occidentale dove ci sono presunte limitazioni (rispetto al loro intervento) volte più a convivere col virus limitando (appunto) le esposizioni.
L’Australia per organizzare questo torneo ha deciso regole molto severe anche per non dare loro una posizione da privilegiati quando a migliaia sono ancora bloccati fuori dal paese che non possono rientrare perché c’è un numero chiuso di persone ammesse ogni una/due settimane. Alleggerire la filosofia non era una strada percorribile, forse più difficile spiegarlo a chi (senza alcun riferimento alle giocatrici elencate sopra) ha passato la off season comportandosi come se il mondo non fosse nel bel mezzo di una pandemia. Anche perché poi ha pagato chi magari aveva tenuto un atteggiamento più riservato, come Badosa, che ha poi più volte manifestato il proprio sdegno verso la situazione.

4. La noia. Ebbene sì, parliamo di primi turni di tabellone femminile, con una parte bassa che era piena di esordi dubbi e domande sulle condizioni generali dopo i 14 giorni di isolamento e chi pregustava già ribaltoni e mega avvenimenti (il sottoscritto) si è trovato a due giorni di sommaria noia. Nada. Nisba. Niet. Barty 6-0 6-0. Halep 6-2 6-1. Osaka 6-1 6-2. Kenin 7-5 6-4 (e qui già siamo nel thriller). Svitolina 6-3 7-6 (va detto, il finale soprattutto fu molto divertente, per gli standard degli altri). Pliskova 6-0 6-2. Sabalenka 6-0 6-4. Andreescu 6-2 4-6 6-3 (grazie Bianca per i brividi del terzo set, e bentornata). Kvitova 6-3 6-4. Serena 6-1 6-1. Più Swiatek, per cui c’erano mille motivi di interesse nell’esordio, 6-1 6-3. Se non altro, più la parte bassa si muove in avanti nel tabellone più sono probabili i big match veri dei turni successivi, a cominciare già da stanotte dove l’Italia cerca lo sgambetto a due esponenti di alto grado: una veterana (Venus Williams) e una ragazzina già proiettata in alto (Iga). Giorgi, contro la polacca, ha chance per la grande velocità del campo e la tenuta dell’avversaria che non sembra ancora trovare i tempi e i modi per contrastare l’iper aggressività qui. Errani prova a regalarsi una bella prestazione contro una leggenda come Venus, e quel che sarà sarà.

5. I profili principali dunque sono stati presi da due nomi, entrambi di buona valenza. Mayar Sherif, tennista egiziana, è il volto più bello perché ha riportato l’Egitto a una vittoria in un tabellone principale Slam dopo quasi 50 anni in quella che è soltanto la sua seconda partecipazione a un Major dopo il Roland Garros 2020. Personaggio nuovo, che come Ons Jabeur lo scorso anno sta vivendo un’esperienza che la segnerà per la vita in mezzo a tanta gente che è lì per lei, che canta e urla il suo nome per incitarla. Sherif fin qui ha frequentato i tornei ITF di medio livello, malgrado si stia avvicinando alla top-100, e per lei avere un centinaio di persone sugli spalti per un primo turno può già essere destabilizzante. Oggi raccontava dell’energia che sentiva provenire dagli spalti e di come questi fossero tutti matti, ma di quanto le fossero stati utili nel 7-5 7-5 contro Chloe Paquet. E in Egitto, grazie alla partecipazione al Roland Garros, era già divenuta piuttosto popolare. In un universo arabo dove la donna non sempre ha gli stessi diritti della controparte maschile, l’exploit sulla terra ha attirato tanti curiosi, sponsor e possibilità. In inverno l’hanno pure chiamata per girare uno spot della Vodafone Egitto dove l’hanno messa in videochiamata con Mohammed Salah, campione di immenso talento ora in forza al Liverpool. Per Sherif, come tutti in Egitto, Salah è una superstar internazionale. Quando Salah stesso condivise sul suo profilo Twitter la foto di Sherif che celebrava la qualificazione al Roland Garros fu ripreso da tantissimi media egiziani e da lì nacque un collegamento simbolico tra i due che poco dopo è sembrato rinforzarsi ancor di più. Nel frattempo, Sherif sarà in campo giovedì contro un’altra qualificata: Kaja Juvan.
L’altro profilo che vogliamo far notare è Olga Danilovic. Finalmente la figlia del grande Pedrag Danilovic ha rotto il ghiaccio e dopo la qualificazione Slam oggi ha preso una vittoria importante battendo Petra Martic in tre durissimi set. Da Mosca 2017, quando vinse il titolo WTA, la serba è stata sempre al di fuori della top-100 se non per quattro settimane, eppure vederla giocare si nota subito come sia molte categorie più avanti. Quello che spesso l’ha bloccata è un carattere molto forte e negativo, tanto da auto-distruggersi a parole per alcuni errori, o farsi prendere ancora dal non voler sbagliare nei momenti chiave. Oggi però non solo è stata più disciplinata ma ha spesso infranto alcuni muri che normalmente si trovava davanti. Nella speranza possa effettivamente trovare fiducia e riprendere la sua scalata a zone di classifica più consoni.

6. La nostra Italia. A livello femminile portarne più di due al secondo era forse chiedere troppo. Purtroppo fin dal sorteggio si individuava una sola con la qualificazione in tasca, e non necessariamente per meriti suoi. Camila Giorgi affrontava una tennista rientrante ora dopo diversi anni fuori dal circuito per maternità, con l’obiettivo più che altro di entrare in condizione e andare a Tokyo per le Olimpiadi. Avevamo visto Yaroslava Shvedova perdere ad Abu Dhabi racimolando una miserie contro Bianca Turati, e in un mese (con due settimane di quarantena) le cose non potevano essere cambiate al punto tale da far partita alla pari contro una top-100. E di fatti, doppio 6-3 e fine dei giochi. Martina Trevisan aveva avuto un sorteggio pessimo, Jasmine Paolini doveva forse sperare in una Karolina Pliskova sui livelli se non addirittura peggio di inizio anno. Elisabetta Cocciaretto sembrava quella con più chance sulla carta di far compagnia alla nostra numero 1, ma Mona Barthel l’ha spuntata proprio al fotofinish. Stesso fotofinish che invece ha premiato un po’ a sorpresa Sara Errani contro Qiang Wang. Bravura, esperienza, ma anche gli incredibili errori della cinese che dopo essersi divorata un 4-1 e servizio al terzo ha buttato al vento cinque palle break di cui almeno tre senza nemmeno cominciare lo scambio con errori direttamente in risposta. Infine, e qui riconosciamo volentieri il colpo di genio di Sara: se per tutta la partita ha servito regolarmente da sopra, al primo vantaggio interno di quell’interminabile nono game ha deciso per servire da sotto. Wang è stata più che sorpresa, ha rigiocato in qualche modo lanciandosi a rete per non sapere bene dove stare, e Sara ha alzato un lob vincente con una combo talmente rara che in quel momento fu da applausi (e un po’ di rovina per l’avversaria, beffata in maniera abbastanza brutale).
Stanotte Giorgi ed Errani saranno in campo contro due campionesse Slam: la prima avrà di fronte Iga Swiatek, la seconda Venus Williams. Sfide dure, ma c’è la sensazione almeno una ce la possa fare. Camila ha più chance, e andiamo ripetendolo dal momento del sorteggio. Manca da tanti anni ormai una sua affermazione tosta soprattutto in un grande torneo, ma il campo molto veloce e il suo tennis super aggressivo due anni fa lasciarono due game alla diciassettenne polacca. Allora Iga era ancora alle primissime armi nel tour, sembra di parlare di un’epoca fa, ma in diverse circostanze si è trovata in difficoltà su superfici così e contro giocatrici così (perso contro Camila, contro Ekaterina Alexandrova su questi campi, contro Aljona Ostapenko su erba, contro Dayana Yastremska in indoor in Fed Cup). Il punto su cui è sembrata fare fatica in questi anni era la reattività e la gestione di una palla molto pesante e potente, tanto che persino contro Arantxa Rus ci sono stati un paio di momenti dove le è arrivata troppo addosso e ha colpito un po’ storta. Chiaro, però: servirà una Camila che possa darsi una mano, perché altrimenti finisce come a New York dove contro una Naomi Osaka a mezzo servizio per il problema alla coscia era lei a correre e colpire solo verso il centro del campo, senza muovere l’avversaria.
Errani invece si troverà contro Venus. La sfida è tra le più importanti dei suoi ultimi anni, dunque le motivazioni saranno molto alte, ma soprattutto c’è il ricordo di un ultimo precedente molto particolare. US Open 2014, terzo turno, Sara vinse 6-0 0-6 7-6(5) mettendosi poi il dito davanti alla bocca a zittire l’Arthur Ashe. La statunitense va per i 41 anni, se non dovesse essere aiutata dal servizio potrebbe anche faticare un po’ contro il tennis di contenimento e contrattacco dell’azzurra.

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