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US Open, uno slam che nel 2020 sa poco di tennis

Quello che sta per iniziare sarà forse il più inusuale, strano e controverso Slam della storia.
Uno slam che gli Stati Uniti, malgrado la realtà che continua a condizionare l’intero pianeta, si sono tenuti stretto con le unghie e con i denti, nonostante le defezioni a raffica, nonostante gli eventi che lo hanno preceduto, tennistici e non, e il rischio che una manifestazione di tale portata, sebbene a porte chiuse, comporti.

Il mondo del tennis aveva bisogno di ripartire. Vero. Ne hanno bisogno gli appassionati e probabilmente gli stessi tennisti, che di questo vivono. E forse che si riparta con uno slam e da New York, che già questa settimana ha ospitato il nomade (quest’anno) Master 1000 di Cincinnati, può essere il banco di prova giusto per stabilire, specialmente prima dello spostamento del circuito in Europa, se il giochino possa ripartire davvero.
Ma in quale atmosfera ci arriviamo?

Di solito la sensazione alla vigilia di qualcosa che si è atteso per tanto tempo è di trepidazione, passione, voglia. Eppure stavolta nemmeno il più appassionato di tennis sarebbe capace di negare che poco ha del tennis questa macchinosa e raffazzonata ripartenza alla quale stiamo assistendo.

A lungo si è discusso di come e quando il movimento sarebbe ripartito, attorniato dai dubbi di un Covid che continua a imperversare proprio in America e che ricomincia a creare allarmismi anche in Europa. E che ha portato prima un Federer a operarsi a un ginocchio, salutando tutti fino all’anno che verrà, e poi Nadal a restarsene a casa, a preparare piuttosto il Roland Garros invece di sorbirsi una trasferta americana piena di incognite.

Trasferta americana che al femminile ha visto una vera e propria ecatombe di top20 e che poi, come se non bastasse, è stata invasa prima dal caso Blake e poi, fresca fresca, dalla rottura di Djokovic e altri con l’ATP per creare un’organizzazione alternativa. Diciamo che momento più inopportuno (o forse per qualcuno più che opportuno, chissà…) non lo si poteva trovare.

In tutto questo si dovrebbe anche parlare di tennis. Fare pronostici e parlare di risultati. Tentare di avere un’idea non solo del tennis che stiamo per vivere e di quello che in questi mesi di chiusura ci siamo persi. Eppure la sensazione, prima di questo slam, è che la nostra attenzione sia distolta da qualcosa di più grande che ci impedisce di godere a pieno di un evento che negli anni passati, come gli altri tre che lo precedono nella stagione, chiunque nell’ambiente attende con gioia e trepidazione.

A poco serve guardare i tabelloni, fa persino poco notizia il fatto che Naomi Osaka possa non farcela dopo il ritiro nella finale del Master. Il tutto senza pubblico. Senza il rumore delle folle. Come del resto lo sport da qualche mese ci ha abituati. Eppure il calcio è riuscito a ripartire. E malgrado le tribune vuote abbiamo saputo riappassionarci subito e non solo noi italiani. Invece, almeno per questa prima settimana, le emozioni sono più che contrastanti.

La sensazione generale è che per la prima volta invece del tennis giocato ci si trovi a discutere molto di più del contesto nel quale stiamo vivendo. Un contesto nel quale i tennisti si spaccano in frange, o meglio, nel quale il tennista fino ad oggi leader dell’associazione, faccia la guerra all’associazione stessa. Un contesto già di per sé scosso dalla pandemia in atto e stravolto da movimenti, in America, come il Black Lives Matter, che di giorno in giorno diventano anche nello sport sempre più politici, fino a chiedersi se davvero non sia necessario un passo più grande, un segnale ben più forte del rinviare solo un po’ di partite.

Ci aspettavamo un ri-inizio di tennis diverso, diciamoci la verità. In cui ci saremmo potuti riaggrappare agli eroi della pallina gialla per riassaporare un po’ di quella vita normale che tanto ci manca. Eppure in questi giorni si parla di tante cose, ma poco di tennis giocato. Sarà perché non c’è Roger; sarà perché non c’è Rafa; sarà perché Nole sembra voler fare la guerra a tutti, dalle autorità ai vaccini per poi passare alle associazioni, tralasciando l’esempio che si lascia alle spalle. O forse più precisamente sarà perché il circo ricomincia proprio in una nazione in cui l’attenzione del pubblico è volta a tutto tranne che al tennis e dove lo sport stesso si interroga fortemente se doversi fermare per dare uno scossone alla realtà proprio di quel paese. Sarà quel che volete. Magari sarà anche un bello US Open. Ma l’inizio, sa poco di tennis.

Davide Bencini

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Davide Bencini
Tags: US Open

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