Auguri a Gianni Clerici, novantenne con una vita davanti

Compie 90 anni una leggenda del tennis italiano. Ma a Gianni Clerici questa definizione va stretta.

Chissà quanti se ne sente di questi 90 anni Clerici Giovanni, un figlio di imprenditori lombardi già ricchi davvero quando bastava poco per essere dei privilegiati, magari vendere benzina. Giocatore senza l’istinto del killer, e con troppo distanza dalle basse vicende umane fatte di vittorie e sconfitte, che trovasse quel po’ di conforto che un essere umano intelligente può trovare nella scrittura, era inevitabile.  Le esperienze sono solo storie da raccontare e se per dono inesplicabile convinci l’interlocutore, sia esso il lettore o chi in quel momento passa di lì per ascoltarti, che quell’esperienza è così interessante da essere rammaricati di non averla vissuta, hai portato a casa la giornata. E non è difficile immaginare il narratore diventare partecipe della meraviglia dell’ascolto, del leggere. E ripetere quella meraviglia vuol dire raffinare le storie, raccontarle sempre meglio, trovare un protagonista che è l’eroe attorno al quale la vicenda finisce per dipanarsi. Col sovrano distacco, impossibile da comprendere se reale o recitato, di chi ha troppi pensieri da seguire nella propria testa per farsi distrarre dalla realtà, Clerici ha costruito un racconto in cui il tennis alla fine è poco più di un pretesto per raccontare vicende più importanti e, tra tutte, quelle che unica conta davvero, la propria. Che questo sia diventato un veicolo per trascinare il tennis fuori da una nicchia poco frequentabile è legato al talento di un lettore vorace che si è fatto accompagnare dai tanto amati Hesse ma soprattutto Bassani e ha saputo poppizzarli, regalando al lettore la sensazione di essere più colto di quello che è, e di esserlo, pensate un po’, grazie al tennis.

Tutto questo probabilmente non sarebbe bastato se non avesse incontrato nel momento della maturità la televisione. Le telecronache con Tommasi, del periodo che va dalla seconda metà degli anni ’80 alla fine del millennio, sono scolpite nella testa degli attempati appassionati italiani ma lo scambio è stato equo, perché la popolarità di Clerici è enormemente cresciuta. Trovata una nuova dimensione, l’autore è diventato sempre più presente nei suoi articoli, via via trasformati nella grande narrazione di sè, convincendo il lettore che vincere Wimbledon va bene, a condizione che Clerici fosse presente. Il gusto dell’aneddoto, tassello fondamentale del grande racconto della partita, nel corso degli anni ha preso il sopravvento e complice un sopraggiunto disinteresse per le vicende del campo ha  trasformato la stessa partita in un pretesto per raccontare l’aneddoto, rendendo angusto lo spazio dell’articolo e dirottando Clerici verso i romanzi, curati con ben altra attenzione.

Clerici ha accompagnato con ironia non sempre assolutoria queste sue vicende, autore e spettatore, e ha dedicato questi ultimi dieci anni, quando le sale stampa si sono affollate da giovanotti in grado di recitare a memoria la palla break del secondo game di un primo turno del campo sedici, a dare un’occhiata ai suoi luoghi, tornando in posti che gli solleticano emozioni ma non più, non sembra, particolare interesse, perché i suoi pensieri inevitabilmente adesso vagano per altri, e più solenni, lidi. Gli faccia piacere o meno avere attorno questi adoranti giovanotti dall’incerta sintassi, Clerici non ha lesinato grazia e cortesia, accettando di buon grado di far parte di happening da inviati un po’ tristi, facendo finta di essere a volte persino incuriosito da questioni che gli devono sembrare più distanti di quanto possa esserlo Andromeda. Buon compleanno dunque, anche da queste parti gli si vuol bene, e anche se si è meno disposti a scherzare su alcune evitabili canzonette e si preferirebbe maggiore controllo nel commento delle signore, è impossibile non essergli grati: per il perfetto funzionamento di frasi pieni di bellezza, per le dieci versioni del primo incontro con Brera, per la più forte di tutte “perché non l’ho mai vista giocare” e per troppi aneddoti che ricordati parlano più di noi che di quello che alla fine è un fuoriclasse. Come Federer, anche se lui, sbagliando, preferirebbe come Tilden o Hoad. Ma è giovane, cambierà idea.

 

Dalla stessa categoria