Otto minuti e 46 secondi. Questa la durata in cui Derek Chauvin, poliziotto di Minneapolis, ha tenuto il proprio ginocchio contro il collo di George Floyd. In pieno giorno, per strada, sotto gli occhi di passanti allibiti, e con enorme freddezza mentre la vittima a terra perdeva lentamente conoscenza, soffocante e implorando aiuto perché non riusciva a respirare.
È bene riprendere questo durissimo passaggio per cominciare a trattare un argomento quantomai delicato, scomodo e tristemente attuale. Floyd voleva usare una banconota da 20 dollari che al gestore del locale da asporto sembrava contraffatta, quattro poliziotti lo hanno accerchiato e lo hanno poi assalito, con uno di loro (Chauvin) responsabile poi della sua morte per i gravi danni causati. Lo stesso poliziotto che poi, si è scoperto, aveva già alle spalle episodi di violenza verso persone di colore.
Sono innumerevoli gli abusi provati degli ufficiali di polizia statunitense, e mai realmente puniti dalla legge, nei confronti della “black comunity” locale nel corso degli anni. È qualcosa che noi, da esterni, possiamo capire nella sua superficialità ma non abbiamo i mezzi reali per arrivare a un’empatia e una profondità tale con chi da decenni, se non proprio secoli, ha visto se stesso come un errore e la propria esistenza accompagnata da paura, panico e angoscia di non poter camminare per strada senza il terrore che qualcuno, bianco, possa sparargli contro.
È una situazione molto delicata, che non ha eguali a ora nel mondo occidentale. Il razzismo in Europa c’è: nato prima con la tratta degli schiavi, poi col colonialismo e continuato fino alla degenerazione sociale del nazismo di Adolf Hitler, e ancora oggi si fa sentire in diversi ambiti della nostra vita. Però più c’è la forza di portalo alla luce, più si può mantenere la concentrazione su un fenomeno continuo e radicato. Nulla di tutto questo ha la stessa potenza di quanto avviene negli Stati Uniti dove il fenomeno è senza fine e solo negli ultimi mesi ci sono stati nuovi attacchi ad afroamericani inermi, morti o umiliati come Breonna Taylor, Ahmaud Arbery e tanti altri. Lo diceva anche Andrew Cuomo, governatore dello stato di New York in un briefing con la stampa, raccontando questa esplosione di rabbia potentissima e di come appoggiasse le rivolte a fronte del comportamento inaccettabile delle forze dell’ordine: “Ditemi quante volte abbiamo assistito alla stessa situazione! Sì, i nomi cambiano, ma il colore no e questa è la dolorosa realtà di questo momento. E non è solo questione di 30 anni, dai tempi di Rodney King, ma è la storia di questa nazione fatta di discriminazione e razzismo che va indietro di centinaia di anni”.
I disastri di questi ultimi giorni sono una (ulteriore) pietra pesantissima sul paese che all’apparenza inneggia già nel suo inno alla libertà e al coraggio dei suoi padri fondatori. Una democrazia ora messa in discussione da una crisi sociale che si riversa nei meandri degli luoghi più cupi, arrabbiati, poveri, disperati, maltrattati. Fa effetto, da questo punto di vista, vedere come anche Naomi Osaka stia partecipando attivamente a queste marce di protesta. Lei materialmente non appartiene a questo mondo, perché a 22 anni è già multimilionaria, destinata a una vita agiata e con molti privilegi che la quasi totalità di quelle persone non possono e non potranno avere, però non dimentica le sue radici e svestitasi dei panni dell’atleta di successo è andata a mescolarsi in mezzo alla sua comunità che invadeva le strade di Minneapolis prima, e Los Angeles poi. Un sentimento di vicinanza che nasce dal suo carattere, dall’amore che ha per le proprie origini haitiane, meno chiacchierate del binomio giapponese-americano ma che sente molto vicine, cementificate dal viaggio di fine 2018 che l’ha portata a due passi dalla realtà, per certi versi di tragica povertà, in cui riversa il paese caraibico.
Oltre a proteste pacifiche uscite dagli Stati Uniti e che hanno coinvolto diverse città in tutto il mondo, il malcontento generale è degenerato in patria in scontri violenti con le forze dell’ordine. I social network, soprattutto se si hanno contatti con gli Stati Uniti, sono inondati di video, foto e messaggi con scene da brividi. Bisogna capire come muoversi, perché è un attimo modificare segmenti di immagini per farli combaciare con la propria agenda, ma il contesto di base ora è soprattutto rintracciabile in una grave mancanza di leadership. Così un uomo che secondo le prime immagini difendeva il proprio negozio a Dallas mentre veniva pestato a sangue dai manifestanti si è poi scoperto che nei secondi precedenti stava rincorrendo gli stessi manifestanti usando un machete. La polizia sta sparando a vista: sono proiettili di gomma, ma la situazione è completamente fuori controllo e ormai anche cortei pacifici vengono rovinati da granate, spray urticante, pallottole e manganelli. Osaka ha cercato di affidare i propri pensieri: “Solo perché non ti sta succedendo nulla, non vuol dire che non stia succedendo nulla”. Foto di Minneapolis colma di persone riunite a chiedere giustizia, vagonate di fiori e lettere sul punto in cui Floyd venne soffocato (da cui anche la nostra immagine di copertina).
Naomi non è la sola. Il gesto ha avuto risalto enorme che celebrità e personaggi di alto spessore hanno condannato la vicenda. Chrissy Teigen, ex super modella e una dei profili più seguiti su Twitter, ha da sempre condannato l’attuale amministrazione e lo scomodo inquilino della Casa Bianca, trovando ulteriore forza e seguito con lo scandalo generato in questi giorni. Beyoncé ha messo il suo nome e sponsorizzato la petizione per chiedere che tutti i poliziotti presenti in quel momento (quattro) vengano arrestati e messi in prigione. Cori Gauff ha pubblicato un video molto forte: prima a testa bassa, e incappucciata, poi mostrando uno a uno le foto di tanti afroamericani uccisi dagli abusi delle forze dell’ordine, chiudendo poi con le mani alzate e la frase “sono io la prossima?”. Non è un problema di immigrazione, come Donald Trump ha cercato anche in tempi di pandemia per distogliere l’attenzione dalle enormi responsabilità per una depressione sociale ed economica mai vista: queste persone vivono da generazioni in quella terra e per generazioni hanno avuto un target addosso di esseri inferiori. Un manifestante, intervistato dalla CNN, ha espresso molto chiaramente cosa stiano cercando di ottenere con queste manifestazioni: “Noi siamo la generazione ponte tra i nostri padri e i nostri giovani. Se noi vogliamo dei cambiamenti, è ora che la nostra generazione si faccia avanti e chieda questi cambiamenti. Se non lo facessimo, saremmo fregati (la parola è più grave, nda) e i nostri giovani non saranno mai in grado di farlo. Quello che cerchiamo di fare ora è protestare pacificamente, rimanere uniti, tutti con lo stesso ideale, ma loro non vogliono”. Loro sono i poliziotti che si stanno scagliando a pieno organico. Il presidente invece di mostrare la stessa empatia avuta per i suprematisti bianchi chiedendo “comprensione” perché molto arrabbiati ma pur sempre “brave persone” che minacciavano, armati di mitra, le forze dell’ordine nelle proteste contro il lockdown, ha appoggiato le forze dell’ordine dando piena facoltà all’esercito di intervenire.
Quando poi il discorso si è spostato contro gli scontri violenti, lo stesso manifestante ha precisato: “Se pensi che questa sia un’opportunità per te (per metterti in mostra, nda) c’è qualcosa che non va in te. Se tu non riesci a combattere la giusta causa, e vuoi essere scorretto, e prenderti qualcosa che è nostro, allora c’è qualcosa che non va. Quello che noi stiamo facendo è ottenere diritti umani basilari, e stiamo cercando di farlo in maniera pacifica. Io voglio essere in grado di camminare in un quartiere di bianchi sentendomi al sicuro. Voglio essere in grado, quando un poliziotto guida dietro di me, di non ricevere un colpo di pistola. Voglio essere in grado semplicemente di essere libero e non dover pensare a ogni passo che faccio perché (per voi, nda) alla fine essere neri è un crimine, nascere neri è un crimine. Non capisco perché: siamo tutti umani, e tutto ciò è orrendo”. E fa ancora più effetto come gli scontri pesanti siano cominciati perché nella prima notte di protesta la polizia di Minneapolis si sia schierata a difesa di Chauvin, scegliendo di stare dalla parte del potere e facendo infuriare la folla che ha preso d’assalto e bruciato la caserma.
Serena Williams, forse l’avvocato più importante nel mondo tennistico attuale quando si tratta di difendere i diritti delle persone di colore, ha pubblicato un video sul suo profilo Instagam scrivendo: “Non posso, non ce la faccio a trovare parole per esprimere quanto io sia triste per quanto accaduto… ma lei (la ragazza del video, nda) le ha trovate per me. Lei le ha trovate per molti di noi”. La ragazzina in questione, vicina alle lacrime, urla a una platea di persone: “Noi siamo neri, e non dovremmo sentirci così male. Non dovremmo essere a protestare perché voi ci state trattando male. Noi lo stiamo facendo perché abbiamo bisogno di diritti”.
Gli scontri sono degenerati nei giorni successivi anche a causa di una spinta di frange più estremiste che, come raccontava il manifestante, stanno sporcando quella che è la loro protesta. E nel frattempo si susseguono notizie di giornalisti arrestati, colpiti, il tutto in diretta tv. Una fotografa è stata colpita nell’occhio sinistro ed è ora cieca, trovando comunque la forza di sorridere pensando non sia quello l’occhio che le serve per fotografare. Persone che manifestavano, altre nemmeno coinvolte in qualche azione come questo anziano ai bordi di una strada, colpito ripetutamente.
O manifestanti, neri, a braccia alzate subiscono la violenza della polizia che strappa la mascherina dal volto di uno di loro e gli spruzza contro lo spray urticante
O macchine della polizia che investono civili per farsi largo
O addirittura si vede il capo della polizia di Minneapolis che a un rally di Trump dello scorso ottobre celebra l’attività del presidente aizzando la folla lanciando frasi alla folla su come sia finita, grazie a lui, l’oppressione della polizia sotto la guida di Barack Obama
E infine, per così dire, la storia di questa ragazza che stava manifestando per le vie di New York City quando la polizia per prima ha cominciato a caricare e lei, assieme a tanti altri, stava indietreggiando per evitare il contatto. Si è sentita urlare un triplo insulto prima di essere presa di forza per le spalle e scaraventata a terra sbattendo violentemente la testa e finendo contro lo spigolo di un marciapiede.
Lei è Dounya Zayer che, dal letto d’ospedale dove raccontava le conseguenze della caduta ha sottolineato come dal suo versante della manifestazione non ci fosse stato nulla di aggressivo ma che la polizia ha cominciato a caricare quando è arrivata una bottiglia nei loro paraggi da un altro versante. Viste le persone che indietreggiavano, lei stessa stava facendo passi indietro per non andare contro alla polizia, ma questo l’ha raggiunta e scaraventata a terra.
In tutto ciò, ci si aggiunge la profonda ferita di una pandemia che ha provocato almeno 40 milioni di disoccupati, più o meno un quarto dell’intera forza lavoro, in un paese che ha bisogno di reagire e spegnere questi scontri. Il suo leader, invece, oltre a liberare la guardia nazionale contro i suoi stessi civili fomentando la rabbia di manifestanti, polizia e persone che devono vivere al riparo dagli scontri e sottoposti al coprifuoco serale, rifiuta di trattare la questione additando la stampa come veri nemici del popolo, pallino della sua politica fin dall’insediamento nella Casa Bianca e ora rimarcato a più non posso. Rifiuta ogni responsabilità sia per la gestione della prima fase della pandemia sia ora che vede città messe a ferro e fuoco, additando dove possibile i sindaci democratici per avere sempre dei capi espiatori che non lo scalfiscano. Lui stesso che puntava il dito contro Obama ai tempi dell’Ebola e incolpava l’ex presidente di una cattiva gestione di un virus quasi non esistito, in confronto, con 12.000 casi mentre ora col covid-19 siamo vicini ai 2 milioni (“it’s the new hoax” — è la nuova bufala, in questo caso dei democratici). E in queste giornate di protesta feroce, il presidente è volato in Florida per presenziare al lancio dello spazio del primo razzo finanziato da un’azienda privata (la SpaceX di Elon Musk). Tutto ciò quasi evitando l’argomento Floyd, dicendo solo che queste manifestazioni e questi scontri danneggiano la sua immagine mentre il segretario della difesa ha puntato fortemente il dito contro queste persone, annunciando che verranno rinforzate le regole contro chi verrà preso a manifestare e saccheggiare. Lo stesso Trump, pochi giorni fa, ai primi scoppi di questa voragine twittava: “When the loothing starts, the shooting starts”. Qui è stato sostanzialmente l’ordine di sparare a vista, usando un’espressione razzista degli ufficiali di Miami che negli anni ’60 placavano altre rivolte degli afroamericani con metodi non esattamente convenzionali.
Black lives matter. Ora più che mai, vicini a Colin Kaepernick che qualche anno fa cominciò per primo a inginocchiarsi durante l’inno nazionale per una protesta silenziosa, ma che creò tanto sdegno di chi vedeva in quel semplice gesto di denuncia un peccato capitale. Additato come “silly” (stupido) su Twitter e con Trump che definì l’intera trovata “un messaggio terribile, che non dovrebbe essere inviato. Non c’è alcun motivo” in un’intervista a The Daily Caller. Qualche anno dopo, la silenziosa protesta è esplosa in numerose città dopo l’ennesima uccisione barbarica. Manifestazioni oltre il limite, specchio di quella profonda angoscia che covavano da tanto. Noi non abbiamo parola per giudicare, non vivendo a contatto con quell’universo che nulla ha a che vedere col nostro paese, ma se protestare silenziosamente non è servito, ora che danno fastidio gli viene chiesto di protestare con moderazione. La realtà è: qualunque cosa farà la comunità nera, non saranno mai presi in considerazione perché il mondo, per loro, è fermo all’episodio di Rosa Parks che nel 1955 a Montgomery non cedette il posto a un bianco a bordo di un autobus e venne arrestata perché le leggi di quel periodo vedevano nei bianchi la figura dominante. Quasi 70 anni dopo, non è cambiato nulla. Eppure, di nuovo, Black Lives Matter.
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