2010 Wimbledon 1° turno: Isner-Mahut, la partita dei record
Semplicemente un match che non si ripeterà mai più. Non tutti ricordano come iniziò, su quel campo 18, un po’ fra l’indifferenza generale di uno Wimbledon alle prime battute. Qualcuno sorrise pensando, come tante volte era già successo, al fatto che il francese e Long John non avessero finito in tempo. Molti cominciarono a dimenticare cosa stesse succedendo su tutti gli altri campi quando al secondo giorno continuarono come due Ercolini-sempre-in-piedi fino a che per la seconda sera consecutiva il tramonto non ponesse fine a una lotta ancora senza vincitori. Tutti però si ricordano di come finì, con quel 70 a 68 cestistico che fu fotografato, commemorato, certificato con tanto di targa davanti al campo e di pagina propria su Wikipedia. Undici ore e passa di gioco di volo, ace, vincenti che finivano per scrivere un record dietro l’altro. Tutti record che probabilmente resteranno impossibili da battere. Con Long John che alla fine si sdraia distrutto sull’erba. Mahut che ciondola mogio mogio verso la rete. Mohamed Lahyani che scende dal seggiolone quasi in preda a piaghe da decubito.
2011 Roland Garros SF: Federer-Djokovic, la sconfitta del Cyborg
Djokovic veniva da una serie di 41 vittorie consecutive dall’inizio dell’anno, col record di McEnroe a un passo. E invece eccoti il Federer che non ti aspetti. Lo svizzero arrivava da un inizio stagione complicato ed era già stato battuto a più riprese da Nole, il quale, in pieno volo verso la vetta del ranking, era diventato semplicemente una macchina atletico-fisica perfetta. O quasi. In un pomeriggio di sole Federer tirava fuori probabilmente la miglior partita sul rosso della sua vita e riusciva nell’impresa di sconfiggere un vero e proprio muro, un giocatore che da tutti quell’anno sarebbe stato definito praticamente imbattibile, e che alla fine del match non poteva che guardare incredulo il proprio box. Sarà sempre ricordata come la partita che ancora una volta ha negato con tutta probabilità alla storia il primo uomo dopo Laver a compiere il grande slam. Una partita da tutti celebrata come una delle cinque più belle della storia di questo sport.
2012 Australian Open F: Djokovic-Nadal, la partita eterna
La finale slam più lunga della storia, pause permettendo (alla fine verranno contati circa un’ora e mezza di intervalli). Ma chi c’era potrà raccontare del perché di quelle pause, in un match dove mai prima di allora (e forse mai più dopo) due tennisti al massimo della loro forma sul cemento si sono martellati a ripetizione continuando a scaraventare qualsiasi cosa, in qualsiasi modo, al di là della rete. Fu l’apice del tennis di resistenza, del recupero impossibile, degli scambi interminabili. Se qualcuno volesse sapere cosa ci volesse per battere quel Nadal, si guardi quel match. Se qualcuno non abbia idea di cosa abbia voluto dire “aver quasi” battuto il Cyborg a casa sua (tutto per colpa di un rovescio a campo a aperto buttato sciaguratamente in corridoio…), si-guardi-quel-match. Il match dove su ogni punto si aveva la sensazione che la palla non potesse fare due rimbalzi.
2013 Australian Open OF: Djokovic-Wawrinka, la nascita di Stan-The-Man
Erano gli anni del Djokovic dominatore down under e non solo, quelli dove tra Gennaio e Febbraio la domanda riguardava solo quanti set avrebbe potuto perdere. Eppure quel giorno qualcosa di Wawrinka si svegliò e una voce dentro di lui gli sussurrò che non solo quel robot al di là dalla rete lui poteva batterlo, ma anche che forse avrebbe potuto battere chiunque e ovunque. Quel giorno nacque “Stan The Man” e ne venne fuori una partita meravigliosa, dove nessuno dei due sembrava poter mollare di un centimetro. Quel centimetro che Stan sulla palla break per andare a servire per il match nel quinto non volle andare a controllare col falco (e probabilmente il punto sarebbe stato suo). Quel centimetro che però forse gli ha dato la fame giusta per diventare negli anni successivi quel fenomeno capace di strappare tre slam a Djokovic e Nadal.
2014 US Open F: Cilic-Nishikori, la prima finale senza Fab4
Diciamocelo subito, non certo una partita indimenticabile. Ma se si pensa che dall’Australian Open 2005 ha rappresentato (e il tassametro corre ancora) l’unica finale slam senza un Fabulous 4 non può non essere qualcosa da segnare sul calendario degli eventi. E di certo non si può sminuire il livello di tennis che raggiunse quel Cilic irripetibile che soprattutto in semifinale mise in riga con un perentorio 3-0 un Federer che quel giorno sembrava nel più classico dei “vorrei ma non posso”. Molti paragonarono quella partita al modo in cui Safin maltrattò su quei campi niente meno che Sampras. E alla fine la finale contro un Nishikori da raccogliere col cucchiaio dopo la maratona a in semifinale contro Nole fu una passerella. Ma il livello di Cilic (un Cilic che forse avrebbe battuto chiunque) in quelle due settimane tolse ogni dubbio sul perché quel giorno in finale non ci fosse uno dei “favolosi”.
2015 US Open F: Djokovic-Federer, una questione di “palle”
Djokovic aveva vinto un solo US Open fino ad allora. Federer tornava in finale a New York per la prima volta dal 2009 in una forma strepitosa. Poteva essere il match in grado di cambiare l’inerzia della loro rivalità. Probabilmente fu quello che più di tutti la segnò definitivamente. E che fece vedere ancora di più al mondo l’aura di Djokovic. Federer versione Babbo Natale, Nole versione “fai quello che vuoi, tanto vinco io”. Roger sprecò tutto lo sprecabile gettando al vento palle break come fossero bucce di noccioline mancando un’occasione dietro l’altra, mentre un Nole in versione “muro-ma-non-invalicabile” coglieva le sue e portava a casa non solo il suo decimo slam ma la convinzione della propria superiorità mentale su Federer. Mai (fino ad allora almeno, avremmo poi visto di peggio…) come in quel match la vittoria fu una questione di chi avesse più “palle”… E quelle del serbo da allora sarebbero state ancor più cubiche. Federer invece negli slam contro il serbo sta ancora aspettando di mostrare nuovamente le sue.
2016 Roland Garros F: Djokovic-Murray, il “Nole-Slam”
Nessuno come lui. Quello che Djokovic aveva clamorosamente fallito l’anno prima davanti a uno Stanimal colossale si verificò in un giorno di Maggio a Parigi, dove in un sol colpo il serbo conquistò (non senza il consueto tremore iniziale di un set) il suo primo Roland Garros e divenne l’ottavo tennista nell’era Open a completare il Career Grand Slam. Ma soprattutto fu il primo uomo da Laver a vincere 4 slam consecutivi. Tralasciando una partita viva solo nel primo set grazie a un Murray ormai logorato dalle fatiche precedenti e spentasi già nel secondo parziale, restò impressa l’immagine di un campione che quel giorno riuscì a completare qualcosa che nemmeno i mostri Nadal e Federer erano riusciti a fare. Il prezzo di quelle fatiche non tardò poi a farsi vedere, con l’uscita inattesa a Wimbledon e il crollo in classifica dell’anno successivo. Ma l’impresa di essere stato il primo a farcela resterà per sempre.
2017 Australian Open F e Roland Garros F: l’Ascesa del Fedal e Nadal fa 10 a Parigi
(Non) Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana… Due tennisti scherzavano come vecchietti in una scuola di tennis a Maiorca: infortunati, logori, quasi sorpassati. Stelle decadute a cui nessuno credeva più. Finiti, dispersi come Jedi in chissà quale angolo dell’universo…
Ma poi la resurrezione in un torneo dove i due superano ogni avversità per arrivare a giocarsi un nuovo titolo slam l’uno contro l’altro, tirandosi nuovamente dietro quelle fazioni che storicamente li avevano accompagnati come seguaci di bene e male, Sith e Jedi, Skywalker contro altrettanti Darth Vader (scegliete voi chi fosse cosa). L’impero ATP si sfregava le mani di averli ritrovati, gli addetti storcevano il naso per una partita che in passato pochissime volte aveva regalato sprazzi di vero spettacolo. I seguaci fremevano per lo scontro.
Ne venne fuori una delle partite più supende e appassionanti che la storia ricordi. Federer e Nadal al loro massimo per 5 set (quello che era mancato nel 2009), con l’ultimo in particolar modo a dei livelli astrali e nessuno dei due che cedeva un millimetro, con la folla impazzita e giornalisti a urlare il loro stupore in diretta tv.
Vinsero le forze del bene del tennis.
A ex equo mettiamo il decimo trionfo di Rafa a Parigi. Qualcosa che non solo resterà per sempre negli annali ma che con le successive due vittorie nel 2018 e 2019 probabilmente rimarrà un’impresa invalicabile per chiunque. C’è poco da dire sull’ennesimo torneo sul rosso reso, dalla sua grandezza, senza storia. La storia fu semplicemente scritta, quel giorno.
2018 Australian Open F: Federer-Cilic, il ventesimo slam
Ai posteri sarebbe passata come una bella partita e niente più. Per Cilic una grossa occasione mancata di battere un Federer che nel quarto set si era palesemente smarrito, incapace di riproporre il livello di tennis dell’edizione precedente. Per lo svizzero si rivelò un grosso sospiro di sollievo e la fine di una rincorsa partita da prima di lui, verso un traguardo che nessuno prima di allora a livello maschile aveva anche solo sognato di tagliare: lo slam numero 20. Un’altra targa da mettere nell’armadio dei record, insieme alle altre collezioni dei tre grandi fenomeni di questa epoca d’oro di tennis.
2019 Wimbedon F: Djokovic-Federer, il grande regalo e il Tie Break a Church Road
Dicevamo nel 2015 che avremmo visto di peggio. Successe tutto in una soleggiata giornata di Luglio a Londra, in cui Federer si superò aggiungendo due altri “semi-record” alla sua sterminata carriera. Quello di essere il primo dal 2004 a perdere una finale slam con match point a favore e quello di essere il primo tennista di sesso maschile a perdere il tie break decisivo a Wimbledon. In finale. Una finale dove tutte le statistiche furono a suo favore. Ebbe più palle break, fece più break del suo avversario, più punti, più ace, più game, più alte percentuali di servizio e più punti con la prima. Ebbe due match point consecutivi al servizio, dopo due ace consecutivi. Giocati uno peggio dell’altro. E perse. Altro bel record, diremmo.
Fu un ripetersi di una storia già vista e rivista. Roger con le chance, Djokovic con gli attributi. Roger che mette il vestito rosso e la barba bianca. Djokovic che si vergogna quasi a ringraziarlo quando lo svizzero stecca l’ultimo home run del match fissando il punteggio su un 13-12 al quinto set mai visto prima di allora a Wimbledon. Fu un giorno storico, di quelli che non si dimenticano, in tutto e per tutto.
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