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L’impresa di Nalbaldian

Non era stata quella del 2005 un’annata particolarmente memorabile per David Nalbandian. L’argentino aveva sì trionfato in aprile al BMW Open di Monaco di Baviera, un attuale 250, ma aveva decisamente mancato gli obiettivi più importanti della stagione. Negli slam, ad esempio, era stato abbastanza regolare (aggettivo che accostato al talento di Cordoba sembra stonare parecchio), senza però rispettare le attese: appena quarti di finale agli US Open e Wimbledon, sconfitto in maniera netta da Federer e Johansson, stessa sorte agli Australian Open, dopo una maratona di oltre 4 ore contro l’idolo locale Hewitt. Peggio aveva fatto sulla terra parigina – che l’anno prima l’aveva visto protagonista fino alla semifinale, poi persa contro il connazionale Gaudio – dove era stato in grado di mancare l’accesso ai quarti per mano di Victor Hanescu. Il rumeno, 90 ATP all’epoca, grazie a quella vittoria aveva acciuffato un risultato mai più raggiunto in uno Slam, i quarti di finale appunto.

David non aveva brillato nemmeno nei Masters Series, ad essere onesti. Aveva racimolato appena una semifinale in quello che diverrà per certi versi il “suo” Master, l’Open di Madrid che, ancora in cemento indoor, lo incoronerà campione due anni dopo. In quell’autunno del 2007 il tennista argentino metterà in mostra il meglio del suo tennis, le smorzate imprevedibili, le discese a rete ardite, e quel rovescio che, seppur bimane, viene ancora oggi riconosciuto come uno dei migliori del circuito: se non uno dei più belli – i puristi dissentiranno – sicuramente uno dei più efficaci. In quei giorni di ottobre del 2007 Nalbandian si rivelerà praticamente ingiocabile per chiunque, dimostrando al popolo tennistico di poter effettivamente competere alla pari con i “Fab 3” quando era in giornata. Al cospetto dell’esigente pubblico della Madrid Arena, nell’arco di un weekend l’argentino colleziona infatti gli scalpi dei primi 3 del mondo, che infila uno dopo l’altro, in successione: Nadal (2) nei quarti, Djokovic (3) in semifinale, e infine Roger Federer (1), messo all’angolo con un doppio 6-3 dopo un primo set regalato. Faccia un passo avanti chi, oggi, può vantare la stessa statistica.

Quella del 2005 non era stata invece un’annata esaltante, e il giovane David, archiviata la stagione all’undicesimo posto, era tornato nella sua Cordoba per passare un po’ di tempo in famiglia e ricaricare le pile in vista della stagione seguente: quel ranking andava decisamente migliorato, magari si sarebbe allenato più duramente, sentiva spesso parlare di talento sprecato e per quanto la costanza non fosse il suo forte, non aveva alcuna intenzione di essere etichettato come una meteora. In ogni caso, non era questo il momento per pensarci: di lì a poco sarebbe andato con alcuni amici in Patagonia per rilassarsi e dedicarsi alla pesca, hobby che amava quasi quanto il rally pur non condividendone le sfumature più pericolose.

Ma per chi, coscientemente o meno, ha basato la propria carriera e notorietà soprattutto su “estro e sregolatezza”, suddetta regolarità al ribasso non poteva certamente far piacere. Quando dunque arriva, totalmente inaspettata, la chiamata alle armi da parte del Tour Manager della Masters Cup, Nalbandian vede in quella telefonata l’occasione per raddrizzare una stagione decisamente sottotono.

Riavvolgiamo brevemente il nastro, e cerchiamo di capire. Come detto, Nalbandian non aveva disputato una stagione all’altezza delle aspettative, e tra alti e bassi aveva chiuso la race all’undicesimo posto, non sufficiente per essere ammesso alla Masters Cup. Ma se il Master del 2004 – di scena per l’ultima volta a Houston prima di trasferire baracca e burattini a Shanghai – aveva visto effettivamente i primi 8 della race contendersi il prestigioso “scettro” di Maestro, il 2005 non era nato sotto gli stessi auspici. Andy Roddick, terzo nella race dietro gli inavvicinabili Federer e Nadal, aveva deciso di non presentarsi alle Finals per recuperare dai fastidi alla schiena. Poco dopo anche Lleyton Hewitt comunica la propria rinuncia, proprio in quei giorni è prevista infatti la nascita del suo primo figlio. In realtà gli stessi Nadal e Federer, pur rispondendo presente, non erano al 100%: il maiorchino soffriva da tempo di un fastidio al piede sinistro, mentre lo svizzero lamentava un dolore alla caviglia. Poco male comunque, era stato già allertato Gastón Gaudio che aveva raccolto l’invito senza batter ciglio. Il prossimo della lista, numero 10 nella race, sarebbe Marat Safin, ma il russo non sta attraversando un momento di forma eccelso, e preferisce rinunciare piuttosto che aggravare le condizioni di un ginocchio già troppo spesso messo sotto sforzo. A quel punto Andre Silva, il tour manager, compone il numero di David Nalbandian e lo prega di volare a Shanghai il prima possibile.

Riagganciato il telefono, l’argentino si ferma a soppesare la decisione appena presa soltanto per un attimo, dopodiché ripone le canne da pesca nell’armadio e inizia a preparare il borsone da tennis: mancavano solo 4 giorni all’inizio delle Finals, e per uno a cui i cambi di superficie e di fuso avevano sempre creato delle noie, eravamo già in ritardo sulla tabella di marcia.

Sorprendentemente invece Nalbandian, nonostante le 24 ore di viaggio in solitaria per attraversare il Pacifico e le 11 di fuso rispetto a Cordoba, appare subito a suo agio sul carpet cinese: perde nel match di apertura contro Federer, è vero, ma riuscendo comunque a strappare un set all’elvetico. Sarà forse per la spensieratezza che lo aveva accompagnato a Shanghai o per il feeling con la superficie, fatto sta che David vince agilmente le due gare successive contro Ljubicic e Coria, guadagnandosi così l’accesso alle semifinali assieme allo svizzero. Nel gruppo Oro, invece, i ritiri in corsa di Nadal e Agassi lasciano campo libero a Davydenko e Gaudio a discapito dei subentrati Puerta e Gonzalez (quest’ultimo chiamato di fatto ad un’impresa improba, dal momento che Agassi aveva alzato bandiera bianca solo dopo aver perso il primo match). Le semifinali si rivelano meno equilibrate del previsto, con Nalbandian che strapazza Davydenko e Federer che addirittura umilia Gaudio concedendosi il lusso di un doppio bagel, prima e unica volta nel corso delle ATP Finals (quest’anno Anderson c’è andato vicino concedendo un solo game a Nishikori).

È chiaro allora che quel 20 novembre 2005 i 15.000 della Qi Zhong Arena aspettavano di assistere al solito monologo in salsa svizzera. Federer ci arrivava evidentemente da netto favorito, con dei numeri spaventosi a corredo: già 6 slam in carriera, 2 dei quali nell’anno in corso, uno score stagionale di 81-3 (esatto: solo 3 sconfitte in stagione) e una striscia di 35 vittorie consecutive (l’ultima débacle per mano di Rafa Nadal – e chi sennò? – nella semifinale del Roland Garros). A dare maggiore interesse e adrenalina all’incontro, la possibilità per Roger di eguagliare il record di John McEnroe, che aveva chiuso il 1984 con una percentuale di 82 vittorie e 3 sconfitte. Le speranze del “Rey David”, decisamente esigue, erano riposte in una maggiore freschezza atletica e nel suo tennis: Federer soffriva spesso il suo modo di giocare, come testimoniava il testa-a-testa, 5-4 a favore dell’argentino. Ma Federer aveva vinto le ultime 4, di cui l’ultima come abbiamo visto pochi giorni prima.

Sul tappeto di Shanghai i due finalisti danno invece vita a un match bellissimo. Federer è consapevole che più il match si allunga, più aumentano le probabilità del suo avversario, anche in virtù del riacutizzarsi del fastidio alla caviglia che lo aveva obbligato alle stampelle fino a tre settimane prima. Ha fretta Roger, vuole chiudere il prima possibile, ma di fronte ha un Nalbandian che è in grado di metterlo in difficoltà ad ogni scambio. La pallina corre rapida da una parte all’altra del campo, colpisce le linee poi torna di là, con eguale se non maggiore potenza. Sugli spalti il tifo è appannaggio del nuovo fenomeno del tennis mondiale, il ragazzo di Basilea, che riesce a portarsi avanti 2-0 grazie a due tiratissimi tie-break. Se si fosse giocato appena 3 anni dopo, nel 2008, avremmo assistito inermi alla stretta di mano e alla proclamazione del vincitore. Ma nel 2005 la finale è ancora al meglio dei 5 e Federer ha bisogno di un altro set per confermare il titolo conquistato l’anno precedente.

Nalbandian, conscio di avere oramai ben poco da perdere, inizia a colpire con ancora maggiore potenza e precisione, mandando lo svizzero fuori giri, spedendolo da una lato all’altro del campo o chiamandolo a rete con imprevedibili drop-shot. La non perfetta condizione fisica di Federer fa il resto, riportando il conteggio dei set nuovamente in parità.

Il resto è storia, e non per deboli di cuore. Nalbandian sulle ali dell’entusiasmo vola subito 4-0, ma Roger è pur sempre Roger anche quando non è al 100%, e nel giro di una manciata di game lo ritroviamo a 2 punti dal match: 6-5, 30-0 e servizio da destra. Sembra finita davvero stavolta, ma una sequenza di rovesci di David rimette tutto in discussione e come nei migliori finali rimanda ogni decisione al tie-break decisivo. “Se c’è un tie-break nella mia carriera che non posso assolutamente perdere è questo”, ringhia tra i denti David, “non ho combattuto tutto questo tempo per perderne un altro”. E l’argentino non lo perde. Questa volta le energie dello svizzero non bastano, e così Nalbandian, dopo oltre 4 ore e mezza di battaglia, può finalmente esultare, crollare al suolo e lasciarsi andare alle meritate lacrime. Il Maestro 2005, contro ogni aspettativa, è lui.

“Roger, non ti preoccupare, questa non è la tua ultima finale”, scherzerà emozionato durante la premiazione, “avrai modo di vincere tantissimi altri tornei, quindi questo puoi lasciarmelo“. Lo svizzero si riprenderà effettivamente il titolo di Maestro l’anno seguente, e lo conquisterà altre 3 volte negli anni a venire. Nalbandian mai più. Ma quella domenica di novembre, ci potete scommettere, è ancora vivida nei suoi ricordi. E magari, chissà, continua a strappargli un sorriso mentre è in partenza per un’altra battuta di pesca.

Giorgio Cammarosano

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