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27 Ott 2018 13:45 - Extra
Il nostro “Terzius”: un saluto ad Alessandro Terziani, competente e gentile con tutti noi
di Redazione
Alessandro Terziani non c’è più. Se n’è andato all’improvviso, un malore lo ha strappato via ai suoi cari, e anche a noi. Aveva compiuto 55 anni qualche ora prima, e nell’immensa tristezza ci consola pensare che abbia fatto in tempo a passare l’ultimo compleanno della sua vita in mezzo a chi gli voleva bene. Faceva parte di quella combriccola appassionata e un poco folle di giornalisti e appassionati che girano il mondo a guardare altrettanti folli che inseguono quella pallina pelosa. Ci volevamo bene, gli volevamo bene. Di seguito qualche ricordo di chi ha avuto il piacere di conoscerlo e di guardare assieme a lui un primo turno di qualche sconosciuto torneo o la finale di Wimbledon. Inutile dire che ci mancherà, che già ci manca, e che ognuno di noi, di oktennis, è vicino alla sua famiglia e ai suoi cari. Che la terra ti sia lieve Terzius. Soprattutto se amaranto, con una bella racchetta di tennis, in attesa del “pan che si coce”… (Il disegno nella foto è di Stefano Semeraro)
Alessandro se n’è andato così, senza un perché. La morte obbliga a essere diversi da quelli che siamo sempre stati. Ed è infame proprio per questo, perché colpisce nella memoria chi ne ha avuta più di ogni altro, distorce i pensieri di chi si è sempre mostrato retto, e ti toglie il saluto di un amico che ti faceva sentire a casa ovunque ci trovassimo. Alessandro era questo amico. E gli amici così sono indispensabili. Con lui, negli ultimi dieci anni, ci siamo visti ovunque, tranne ad Arezzo, la sua città. Ci vedevamo a Melbourne, e si passeggiava la sera. A Parigi, qualche volta. Ci vedevamo a Wimbledon per un piatto di pasta “portato dall’Italia”, o per la partita dei Mondiali, se c’era, o per le interminabili discussioni sulla giornata che avevamo appena condiviso. Alessandro parlava a bassa voce, rideva tranquillo, portava il gelato, amava come tutti noi le serate intorno al tennis. Era un amico sicuro, di quelli che non ti dicono una cosa per un’altra, non si vantano, non si sentono fichi, o unici, o indispensabili. Uno del gruppo. Uno dei nostri. Eravamo una squadra e forse continueremo a esserlo, ma con uno in meno, che non sostituiremo mai. Continueremo a giocare così, finché ci sarà dato modo di farlo, rimpiangendolo. E ricordandolo. (Daniele Azzolini)
Non ho parole, semplicemente. Era un mio grande amico, mi ricorderò sempre di lui quando vedrò un campo da tennis. Ricorderò la sua competenza, la sua simpatia, e mi mancherà tantissimo, nei viaggi e nella nostra Toscana. Gli volevo bene, davvero. (Roberto Bartolozzi)
La dedica sul libro me l’aveva chiesta “ma con uno dei tuoi disegnini”, e io ne ero stato molto contento, e lo avevo disegnato come era, alto e allampanato, esultante per un punto vinto al torneo dei giornalisti di Wimbledon. Il Terzius, adesso, non riesco a proprio immaginare che non c’è più. Perché a parte il resto – la grande passione, il dettaglio irritante che non sbagliava quasi mai un pronostico – era una persona buona, gentile, ironica, mai cattiva. E’ stato facile affezionarsi a lui, a parte l’invidia di trovarlo sempre sul campo durante i tornei, lui che da non professionista aveva tempo di guardare tutte le partite, mentre a noi tocca sempre stare ‘sul pezzo’. Appostato con Roberto, con Daniele, con Luca, con altri della piccola elastica corte viaggiante del tennis sul campo dove c’era un italiano, un giovane interessante, un match che valeva la pena. Poi a discuterne durante una delle cene nella casetta di Southfields, a parlare non solo di tennis ma di tante cose. Con passione, senza veleno. Salutarlo mentre saliva sul bus per Tooting, incontrarlo alla Porte D’Auteil, è sempre stato un piacere, il momento di un sorriso, di una battuta, per dimenticarsi le cose inutili e brutte della giornata. Continuerò a incontrarti, Terzius, negli occhi di chi è stato amico e ti ha voluto bene. (Stefano Semeraro)
Mi mancherà soprattutto quando mi ritroverò dall’altra parte del mondo, sulla Rod Laver Arena, e farà strano girarmi e non vederlo più seduto con il suo taccuino e la sua penna. “Cristo, Terzius, ancora sti metodi usi, ancora col taccuino stai?”, gli dicevo. Perchè il primo comandamento, con lui, era questo: sfotterci, sfotterci a vicenda, il più possibile. E rideva, Ale, rideva sempre. “Ma che ne vuoi capire tu, che ne vuoi capire, sei troppo giovane, così si segue meglio la partita, e poi devo scrivere…”, diceva. Mi mancherà quando, durante un punto decisivo, si girava e diceva, in toscano: “Ecco, siamo giunti laddove il pan si coce”… Questa frase è diventata, col passare del tempo, anche un mio modo di dire quando le cose sono quasi fatte, quando la partita è lì lì per finire.
Mi mancherà organizzare le trasferte con lui, quei link di case e di voli, quelle telefonate per organizzare il tutto, di ritrovarmelo in qualche postaccio costruito dai cinesi a Melbourne o in qualche astrusa villetta londinese in una camera minuscola, con lui che usciva prestissimo per andare ai campi. Perchè era un divoratore di tennis, Alessandro, guardava tutto e di tutto. Dal Centrale di Wimbledon ai più sperduti campi secondari. Un appassionato vero, una persona che non faceva il giornalista come “primo mestiere” ma che riusciva a farlo proprio grazie a quella sua straordinaria passione e dedizione.
Con lui, con l’altro nostro collega di Eurosport Simone Eterno e con il figlio di Alessandro, Luca, che ogni tanto veniva con noi ai tornei, abbiamo un gruppo su WhatsApp, che si chiama (appunto) “The Australians”. Andava a vedere le partite dell’Arezzo, il suo più grande amore sportivo probabilmente, e poi ci mandava i video. Io e Simone lo sfottevamo perchè, entrambi juventini, gli ricordavamo che nell’unico nostro anno in B avevamo contribuito a spedire gli amaranto in C. Anzi, ce li avevamo proprio mandati noi. Non ce l’aveva mai perdonata, questa cosa qui.
Subito dopo aver saputo che non c’era più, dopo aver sentito Luca al telefono (grazie di averlo fatto, Luca, davvero) che purtroppo ha confermato quello che Simone mi aveva detto qualche minuto prima, ho rivisto le ultime parole che avevamo scambiato tutti insieme in quella chat. Avevo detto, a lui e agli altri, che se tutto va come deve andare, tra qualche mese diventerò papà.
Con Terzius c’eravamo detti che ok, il 2019 a Melbourne lo avremmo saltato entrambi, ma nel 2020 avremmo fatto tutti insieme una bella rimpatriata. “E porta anche il bebè”, mi aveva scritto Ale. Sono felice di aver fatto in tempo a dirglielo, e per una volta vaffanculo alle superstizioni. Quella rimpatriata purtroppo non ci sarà mai, ma sarà bello ricordarlo. Immaginandolo ancora una volta tra le sedie delle tribune, in sala stampa, e tra quei campi, con quel suo taccuino vintage. Avrei preferito abbracciarlo ancora una volta però. E salutarlo come si deve. (Luigi Ansaloni)
Se fosse una frase sarebbe “mi sembri un rabdomante”, dopo che l’avevo costretto alla festa dell’Australian Open; lui, sopra gli ‘anta da un pezzo, a seguire un ragazzino alle prime armi con tanta voglia di divertirsi dopo le fatiche di uno slam vissuto a tutta. Se fosse un detto sarebbe una della sue uscite, come “siamo giunti laddove il pan si coce”, per descrivere, col suo mitico accento toscano un momento topico del match.
Se fosse una partita sarebbe Vinci-Williams, sì, proprio quella lì; oppure Seppi-Federer Australian Open 2015, vissuta al ritmo di “Seppio-Seppi, Seppio-Seppi” canticchiata sulle note di ‘Ley it all on me’ di Ed Sheeran e i Rudimental, diventato inno scaramantico di due che in fondo erano gli unici a sperarlo nell’intera tribuna stampa. In un’epoca in cui tutti sono qualcosa, Terzius non si è mai professato nulla. Inviato, ma non certo giornalista; lui che lavorava in banca ma del tennis sul campo ne faceva un hobby. Il suo hobby. A costo di vacanze stappate al vero lavoro. Sul campo però era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene, spesso insieme al sottoscritto.
Trascinato nelle partite più assurde, come quel Makarova-Mladenovic US Open 2015, dove alle 2 del mattino eravamo rimasti noi e i ragazzi portati giù dalla piccionaia per far sembrare alle telecamere che ci fosse ancora qualcuno. Terzius presente, sempre e comunque. Sebbene a volte non dovesse scriverne nemmeno una riga. Perché l’uomo che abbiamo conosciuto noi, fuori dal privato, era così: tennis, tennis e ancora tennis. Con una parentesi solo per il suo Arezzo. Inutile dire quanto ci mancherà. L’ultimo ricordo, nella sua genuinità, sta in un uber diviso insieme, un brindisi a Parigi, una “cecina” e la sua goffaggine in qualsiasi faccenda di casa, come scolare la pasta. Un imprevisto ci ha portato via la gioia di poterne vivere insieme tante altre. Ma non il ricordo. Quello resta indelebile. Insieme alla sua gentilezza. (Simone Eterno)
A Wimbledon esiste una specie di torneo per addetti ai lavori che consiste nell’indovinare i risultati di alcune partite scelte dagli organizzatori. Tra gli italiani il migliore era sempre lui, Alessandro Terziani, una vita ne “Il Tennis Italiano” più di quella a inseguire una pallina, non soltanto a guardarla. In un mondo piccolo come il nostro Alessandro è stato quello più cortese e se sembra quasi obbligatorio dirlo ora che non c’è più da qualche parte troverete le stesse parole spese per lui quando vinceva il terzo torneo pronostici di fila e ci inondava di non-sense quasi come fosse il buon vecchio Groucho.
In questi casi prevale il ricordo personale, il Virgilio che a Melbourne guidava l’esordiente al desk per gli accrediti, nei campi più interessanti, al Victoria Market, che lo prese in giro per anni – quanto sembrano pochi adesso – perché una volta dimenticò le chiavi di casa costringendo il povero coinquilino a chissà quali patti scellerati per rientrarne in possesso. Sulla Great Ocean Road un lievissimo “sarei più tranquillo se a guidare fosse lui” e poi “lo scirocco per la tosse”, il ritorno a casa a notte inoltrata, i piedi sull’oceano, il racconto di quando “qui negli anni ’80 non era certo così ordinato e la finale di Wimbledon la vedevi in piedi” con le immagini televisive che ti tornavano in mente. A Roma facemmo il viaggio in metropolitana perché saremmo scesi entrambi all’Ostiense, andava da suo figlio. “Ci vediamo l’anno prossimo allora”. Invece no, maledetto mondo. (Roberto Salerno)
Alessandro, ci sarebbero tantissimi aneddoti da raccontare, sin dal nostro primo incontro a Wimbledon, che rimarrà storico come la tua educazione e correttezza. In questo momento è difficile ricordarli tutti ma una cosa è certa, non dimenticherò mai le nostre lunghe chiacchierate e le innumerevoli risate. La tua simpatia e l’allegria ci ha sempre accompagnato, durante tutti i tornei. Quest’anno a Wimbledon ti sei superato, se non ci fossi stato tu a ravvivare le sarate con i tuoi racconti, non ci saremmo divertiti così tanto.
Ci mancherai, ma ricordarti sarà farti vivere per sempre. Ciao Terzius! (Francesca Cicchitti)
Devo scrivere queste righe. Voglio scrivere queste righe perché anche se lo shock è ancora tanto, tu, Alessandro, o meglio Terzius, come ti chiamavamo tutti tra i corridoi delle sale stampa dei tornei dello Slam, te le meriti tutte.
Compagno di tanti viaggi, di tante camminate mattutine insieme che percorrevano Church Road, come faccio a dimenticarle? “Ros io mi alzo molto presto, in caso non sei sveglia vado e ci vediamo al torneo”. Eppure alle volte mi aspettavi apposta, ringraziandomi di essermi adoperata per prendere l’appartamento che dividevamo da “colleghi” a Wimbledon. Alessandro, come è potuto accadere?
In questi pochi anni da “giornalista amatoriale” non mi è capitato di trovare una persona con più passione per il tennis di te; il tennis prima di tutto. Il tennis e l’Arezzo. La dedizione per la tua famiglia e il tempo che ti ritagliavi fuori grazie a queste passioni; la calma, la gentilezza, le risate. Un compagno di viaggio con cui condividere cose futili e discorsi seri.
Come faccio a dimenticare? Non posso. Non ci resterà che accettarlo, perché al di là di questo sgomento che non riesce a passare adesso c’e il ricordo di te, e della persona e del professionista stupendo che eri. Che eri, com’è strano. Per me tu sei, e sarai ancora. (Rossana Capobianco)