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Il “progetto-Sabalenka”: come nasce uno dei prospetti più interessanti del tennis mondiale

Nella passata stagione la Bielorussia, orfana di Victoria Azarenka, schierava in Fed Cup Aliaksandra Sasnovich e Aryna Sabalenka, ragazza classe 1998, quasi senza esperienza nel circuito maggiore e che stazionava tra il 130 e il 150 del mondo. Ebbene, grazie a loro due sono arrivate a giocarsi il titolo fino al doppio decisivo contro lo squadrone rappresentato dagli Stati Uniti. Sabalenka ha messo il timbro nella semifinale storica contro la Svizzera, quando vinse di testa e cuore una battaglia contro Viktorija Golubic.

In tribuna in quel weekend c’era anche la stessa Azarenka, allora neo-mamma, che seguiva quella ragazza di 9 anni più giovane muoversi lungo il campo e giocare con un’aggressività e ritmo forse ancora inesplorati. Quel talento deve esserle rimasto impresso tanto che nel momento del rientro a Indian Wells ricadde proprio su di lei la decisione di “sfruttarla” come compagna di doppio per provare a riprendere quanto prima un buon ritmo dopo i gravi problemi personali che tutt’ora l’accompagnano (ha rivelato che il processo per l’affidamento del piccolo Leo non è ancora finito).

A novembre 2017, prima della finale di Fed Cup, qualcuno potrebbe ricordarla per la partita che dominò contro Sara Errani, a Tianjin. Non un match banale, perché una qualità della romagnola è far giocare male le proprie avversarie, allungando gli scambi provocando tanti errori. Quel giorno Sabalenka la disintegrò 6-1 6-2, colpendo vincenti con una facilità disarmante pur andando a velocità 1000 fin dai primi punti. Ha ridotto un potenziale esame di maturità in un compitino. Un anno dopo, con vari accorgimenti e nuove armi nel proprio bagaglio, sta crescendo partita dopo partita tenendo un ritmo che impone alle sue avversarie di dover essere in forma strepitosa per superarla.

Aryna è una ragazza che fisicamente fa impressione, come ci raccontava in Australia Marco Girardini allora coach di Dayana Yastremska: “Ero a San Pietroburgo con Dayana, un giorno ci stavamo allenando su un campo e accanto a noi c’era Sabalenka. Fa paura, vederla da così vicino è poi ancora più impressionante. Se mi chiedono il nome qualcuna che potrebbe dominare in futuro io direi lei”. Vent’anni e una mentalità che sembra molto più matura. Potremmo confrontarla con chi, un anno più grande, ha già fatto risultati importanti e scoprire come sia molto diversa. Jelena Ostapenko: ragazza dall’ego alle volte sconfinato, difficile da gestire in alcuni momenti (o con alcune persone, come il nuovo allenatore Glen Schaap) mentre in altri sembra la persona più socievole che ci sia e in campo, nonostante un servizio che rischia di tenerla un gradino più sotto rispetto alle altre, quando sta bene fisicamente e mentalmente non ha paura di nulla e vuole essere lei a “spaccare” la situazione nell’unico modo che conosce. Quando ci riesce e combatte il fuoco col fuoco, è un piacere da ammirare. Naomi Osaka: ragazza molto più introversa ma altrettanto affascinante da scoprire nella sua personalità, ultima della classe d’oro 1997 ad arrivare in top-20 ma a conti fatti quella che sembra poter essere destinata a restare più a lungo nei piani altissimi del ranking. Il coraggio di scegliere Sascha Bajin a fine 2017 è stato ripagato e questa alchimia tra i due potrebbe darle un grande vantaggio in futuro perché la giapponese è migliorata sotto tanti aspetti e sa che nei momenti più difficili vissuti tra aprile e agosto lui era con lei e assieme hanno costruito il capolavoro Slam. Sabalenka, che oggi a Wuhan ha vinto il titolo più importante della carriera, è una ragazza con un atteggiamento abbastanza composto, e in conferenza stampa è una che ha una visuale molto ampia su quanto le accade. Quando la intervistammo a Indian Wells lei parlò del doppio con Azarenka dicendo di quanto fosse emozionante, ma senza scomporsi più di tanto. Non le piace essere paragonata a qualcuna, le è successo una volta quando era più piccola che un amico di famiglia le disse: “Sei la nuova Sharapova?”. Lei, un po’ piccata: “Io sono Aryna Sabalenka”. Quando lei e Osaka si affrontarono allo US Open ci fu un’atmosfera molto particolare. Due ventenni (Naomi ne farà 21 a metà ottobre) a sfidarsi per un quarto di finale, due ragazze che promettono così tanto, non poteva non finire sotto la lente d’ingrandimento. Il terzo set fu vissuto al cardiopalma, con al rimonta della giapponese e la bielorussa che non voleva saperne di cedere il passo, con il pubblico sempre più convolto e dalla sala stampa qualcuno aveva già iniziato il coro “10 more years” (“altri 10 anni”).

SASHURIN, DUBROU E IBRAHIMOV: 3 FIGURE DECISIVE DEGLI ANNI PIÙ IMPORTANTI

Sabalenka è qui, ora, grazie a un percorso di crescita dove ha saputo circondarsi di persone su cui ha riposto grande fiducia. Se oggi in campo la vediamo così determinata, energica, e con quel modo di essere che potrebbe indurre qualcuno a pensare sia arrogante, è tutto merito del preparatore atletico che l’ha avuta in mano per 5 anni. Lui è Vladimir Sashurin, un sergente di ferro con un passato da biatleta bielorusso e vincitore di 3 medaglie d’oro ai mondiali tra competizioni a squadre e inseguimento. La sua attività fu stoppata a inizio anni 2000 da una vicenda doping, fu trovato positivo al nandrolone e venne squalificato in tutto per 24 mesi, squalifica che fu allungata a causa del suo mancato impegno nella campagna anti-doping della federazione internazionale.
Da lì la sua carriera non fu più la stessa e dopo il ritiro ha cambiato modo di porsi verso il problema. Ben presto cominciò a lavorare con gli atleti più famosi della Bielorussia non cambiando mai i suoi metodi di allenamento ritenuti molto duri. Un articolo sul sito by.tribuna.com riporta alcune sue dichiarazioni: “Non ho paura a usare i miei metodi per preparare al meglio gli atleti. Non mi piacciono i fannulloni. Ad Aryna non è mai importato quanto duri fossero gli esercizi, non ha mai saltato un solo allenamento negli anni che ha lavorato con me. Lavorava seguendo diversi esercizi di vari sport, come lo sci: per me più un allenamento è vario, più alta è la probabilità che l’atleta raggiunga un alto livello di prestazioni”. Sabalenka ha detto di lui: “Mi ha aiutato tantissimo. Mi ha sempre preparato al meglio e il nostro modo di interagire era utile non solo per preparare al meglio il corpo e prevenire gli infortuni, ma anche a sviluppare una mentalità da campione. Se lo ascolti, ti sembra quasi di intravedere i tuoi successi e la fiducia aumenta da matti, è come se diventassi un campione prima ancora con la testa”.

A 15 anni Aryna veniva seguita in campo da Eduard Dubrou, capitano della nazionale di Fed Cup fino a quest anno. Lui ha dichiarato: “Quando ho portato il team a competere nella European Cup le dissi, prima di un match decisivo: ‘Non perderti in nervosismi inutili, stai in silenzio, vedi cosa succede’. Vinse, e le chiesi che cosa avesse avvertito. Mi rispose: Ho capito che così ho modo per pensare”.’ A quel punto le ho detto: ‘Ecco, così hai tempo per recuperare la concentrazione e pensare a un piano per il punto successivo'”.
Nell’agosto del 2016 è subentrato Khalil Ibrahimov, che rispetto a Dubrou ha cercato di non spegnere l’energia di Sabalenka ma di incanalarla nella giusta direzione: “Una giocatrice come lei deve restare in silenzio per tutta la partita? Per me così tutta la sua energia si sarebbe potuta spegnere. È forse la via più facile, ma una decisione così non è una cura a tutti i mali, o almeno: lo è se ti chiami Roger Federer. Eppure tutti noi sappiamo che all’inizio della sua carriera era solito lamentarsi con gli arbitri e spaccare racchette. Ora quando vince tornei piange. Credo sia necessario dare un’identità ad Aryna, ma è stato fondamentale per me instaurare un dialogo e cercare di dare un indirizzo alle emozioni”.

Per raccontare quanto le prime figure siano state importanti, Sabalenka ha dichiarato scherzando: “Sashurin mi ha reso una macchina da guerra e Ibrahimov ha versato il carburante. Khalil è duro, severo, e chiede tanto dall’atleta. Se lui fa qualcosa di sbagliato, la farà e non sarà tenero. Dubrou mi ha indicato invece una nuova via e ha avuto tantissima fiducia in me fin da subito, tanto da portarmi poi a giocare la Fed Cup già a 17 anni, mentre a 19 mi sceglieva per i match di singolare del World Group”. Nella sfida in finale contro Sloane Stephens, Sabalenka si alzò per andare in bagno alla fine del secondo set. I giornalisti quel giorno chiesero di chi fu l’idea. “L’ho pensato io” disse Sabalenka, “poi ho guardato il mio capitano e lui mi ha detto: ‘vai via da qui’. Dovevo staccare la mente da quello che stava accadendo perché il secondo set è stato un fallimento, dovevo necessariamente lasciare il campo e recuperare le giuste energie”. Dubrou rivelò che anche alla fine del match contro Michaella Krajcek, nel primo turno contro l’Olanda, avvenne una discussione simile tra i due: “Aryna, immagina non solo di lasciare il campo, ma tutto lo stadio. Vai nello spogliatoio, rilassati, balla la lambada, poi torna qui”. Quando è rientrata, disse Duboru “ha giocato in maniera eccezionale”.

TURSUNOV, LA RAGIONE A COMANDO DI UN PROGETTO DAL POTENZIALE ENORME

Nell’angolo della bielorussa adesso siede Dmitry Tursunov, ex top-20 e che ha avuto un impatto determinante. Poco dopo le loro prime settimane assieme, Sabalenka raggiunse la finale a Eastbourne. Per lei, quel risultato fu soltanto merito del coach grazie anche ad alcune parole che le ha detto sul cambio campo sull’1-4 nel terzo set contro Karolina Pliskova, nel primo dei 7 successi ottenuti negli ultimi mesi contro giocatrici in top-10. Aryna stravede per lui: “È incredibile, non potevo immaginare quanto fosse bravo”. Dimitri si è messo completamente a sua disposizione, colpito dal carattere, dalla personalità e dal modo di interpretare il tennis di Sabalenka, e lo ha espresso in una lunga intervista a WTA insider uscita in 2 parti (primo e secondo): “Per me lei può essere una in grado di cambiare il modo di giocare il tennis allo stesso modo con cui ci sono riuscite Serena Williams, Steffi Graf e Monica Seles”. Per lui il fattore chiave è la condizione atletica e una capacità enorme di voler recepire e imparare, pensare continuamente a migliorarsi, qualcosa che lui vede come un pregio: “Tutti hanno i mezzi a disposizione per farlo, ma nessuno vuole mai spingersi veramente in là per provare qualcosa di diverso, con lei è completamente l’opposto. Lei permette agli altri di costruire il proprio gioco attorno ai propri punti di forza. Per me è un gran dono il fatto che voglia lavorare sempre negli aspetti per lei più difficili. Molti tendono a concentrarsi su fattori esterni, pensano che cambiando racchetta o corde pensando che così non debbano concentrarsi su loro stessi. Lei invece è completamente disponibile a modificare se stessa, a fare cose diverse, a cambiare il modo di pensare. È stato incredibile vedere quanto sia cambiata solo perché si è resa disponibile a qualcosa di nuovo”.

Per Tursunov, lei non è mai stata una “sparapalle” in campo perché così evitava di pensare, ma perché era così che le era stato detto di fare: “In questo lavoro devi essere in grado di capire cosa la persona possa fare. Per esempio, Aryna forse è brava a giocare le smorzate. Non saranno bellissime, ma sono efficaci. Ed è questo che conta. Ora non voglio toccare nulla riguardo alla tecnica, o non voglio spiegarle troppe cose. Ora voglio soprattutto che lei capisca che io sono una persona che sa quello che dice. Lei ancora ha migliaia di cose da apprendere e vorrei che il successo non le desse troppo alla testa, oggi giorno è facilissimo passare dall’esaltazione al fuori controllo, ma penso che la stretta cerchia di persone attorno a lei stia facendo di tutto consapevole di questo. Noi siamo quelli che la devono tenere a terra, un ruolo forse pericoloso perché il clamore sta crescendo. Era così anche con me, ora tocca a lei affrontare questa situazione”. Sembra una situazione dove oltre ad allenare Tursunov voglia capire quando usare il bastone e la carota: “Non voglio essere quello che le impone di fare questo o quello, alle volte forse è meglio che lei sperimenti qualcosa per capire che non va bene e alla fine diventa più facile parlarne. Forse c’è un po’ troppa interazione coi social media, ma lei è intelligente a sufficienza per capire cosa sta succedendo e che da un nulla si può passare da un grande successo a una caduta fragorosa. Il problema, alle volte, è ricordarsi che parliamo pur sempre di una ventenne e ogni tanto è necessario darle modo di vivere la propria vita da ventenne, e da ventenne che adora tutte queste attenzioni”.

In questa ascesa, pochi ricordano che a fine luglio fu battuta da Maria Sanchez, allora numero 258 WTA, nel primo turno delle qualificazioni di San José. Per Tursunov, quella fu una sconfitta dolorosa ma molto importante per farle capire come li limite tra vincente e perdente sia sottilissimo. Normalmente, invece, non sono molte le giocatrici che possono competere con lei: “Molto spesso è già padrona del suo destino. Se è in grado di giocare ad alto livello sono poche quelle che possono batterla, e devono giocare in maniera perfetta. Per me è incredibile questa sua capacità di entrare in una “beast mode” nei momenti critici, soprattutto per uno sport individuale. E lei ha un desiderio di vittoria enorme, superiore al 90% delle altre giocatici. Sono forse 4 o 5 le giocatrici disposte a fare un percorso come il suo”. Parlando poi del tennis femminile attuale: “La sensazione è che un cambiamento potrà esserci, per esempio nel tornare a giocare bene le voleè, quando scopriranno che non potranno più farne a meno per vincere e rimanere al top. Per questo penso che Aryna possa cambiare il modo di giocare come ci sono riuscite Serena Williams, Monica Seles o anche Steffi Graf. Lei sta portando molta più fisicità, molta più potenza ma anche molto più controllo. Tutte possono colpire forte ma tendenzialmente non si muovono bene o sono mono-dimensionali”.

Così è nato e si sta sviluppando il “progetto-Sabalenka”, un tema che è soltanto all’inizio di un lungo percorso, un fattore che vuole crescere grazie alla grande mentalità di un’atleta di appena 20 anni, ma con le idee chiarissime: “Lei vuole fare il Grande Slam, non vincere un titolo Slam. Cinque anni fa non poteva neppure capire quanto fosse vicina o lontana, adesso che si sta confrontando con le migliori ha in testa soltanto cosa poter fare per provarci fino alla fine”.

Diego Barbiani

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