Kvitova e Pliskova, una regola sola: non si scherza con la Repubblica Ceca

Petra Kvitova e Karolina Pliskova non amano la terra battuta. I numeri però dicono di 9 vittorie di fila sul rosso per entrambe e una semifinale derby a Madrid. Tante cose stanno cambiando nei loro atteggiamenti...

A Roma potrebbero quasi usare un’espressione abbastanza comune del linguaggio romanesco: “Che je voi dì?”. A Petra Kvitova e Karolina Pliskova la terra non piace. È un fatto constato anche dai numeri. I numeri però dicono anche che di recente la prima ha vinto 11 delle ultime 12 partite sulla terra battuta, la seconda 10 delle ultime 11 con il dato che sale a 15 delle ultime 17 se consideriamo anche il Roland Garros dello scorso anno. E allora che vogliamo dire?

Questi risultati sono forse l’espressione massima di quanto sia incredibile il movimento tennistico femminile in Repubblica Ceca. Possiamo accettare il fatto che domino sulla loro superficie “naturale”, il cemento, e meglio ancora se indoor e non colla, come accade per esempio a Singapore (tra l’altro, ironia della sorte, chi fu a descrivere così il campo delle WTA Finals? Martina Navratilova, ceca), ma si si mettono a fare il diavolo a 4 anche su terra allora c’è solo da godere per il livello di gioco e la perfezione di queste prestazioni, o pregare che la tempesta passi al più presto se si è negli sfortunati panni dell’avversaria di turno.

Una, Pliskova, arrivava a Madrid dopo il titolo (e una discreta Porsche) a Stoccarda, scegliendo saggiamente di rinunciare a Praga. L’altra, Kvitova, ha scelto, altrettanto saggiamente, di non investire un capitale di energie di primo livello per Stoccarda perché l’obiettivo era vincere per la prima volta un titolo in Repubblica Ceca. Si sono allegramente divise i compiti, entrambe lasciando per strada un solo set. Eppure ricordiamolo: a loro la terra battuta non piace. Karolina aveva come unico successo WTA sulla terra il torneo di Praga vinto nel 2015, Petra, ironicamente, si era imposta per l’ultima volta su terra la settimana più tardi a Madrid. Fili diretti che si intrecciano, storie di amori mai nati, eppure tremende avversarie ora che sono entrambe in stati psicofisici da sogno.

Pliskova a inizio anno faceva più parlare per la vicenda del cambio di coach, l’arrivo di Thomas Krupa che altri non era che il coach della compagna Barbora Strycova. Quest ultima, non ha avuto mezze parole per condannare il gesto a mezzo stampa e si creò un vortice di commenti negativi con il filone narrativo dello “scippo” e dell’antipatia che andò avanti finché le due non si incontrarono al quarto turno in Australia. Lì la rivelazione di Karolina: “Abbiamo guardato avanti: lei è felice con il suo team, io sono felice con il mio. Ci voleva un po’ di tempo per stemperare la situazione, ma è normale”. Schietta, diretta, come sempre. Il concetto è stato poi ribadito alle tv ceche poco prima del primo turno di Fed Cup: la pace era tornata, grazie anche ai ricordi dei tanti momenti trascorsi assieme nel team più forte degli ultimi decenni.
Da lì in avanti Pliskova ha vissuto due mesi circa in fase di stallo, in difficoltà a far funzionare il servizio, a far male con un’idea di gioco che lei sente sue ma che non sembra sempre adattarsi alle proprie caratteristiche: colpisce forte, vero, ma vuole provare a scambiare il più possibile senza rischiare troppo, andando fuori giri per colpire tutto e subito. Probabilmente per riuscirci deve essere in un momento di forma massimo, come sembra stia avvenendo ora. Dopo Miami ha passato 3 settimane con il proprio team a fare tanto allenamento sulla terra, una preparazione che ora sta dando frutti tangibili: il servizio è tornato solidissimo, il dritto fa di nuovo male con grande costanza. I primi importanti segnali si erano avuti nella prima giornata della Fed Cup: 15 ace ad Angelique Kerber, che contro di lei aveva vinto 6 volte su 7 e quel giorno subì un 7-5 6-3. Il capolavoro vero però è successo ieri, quando ha disposto di Simona Halep giocando in assoluto controllo per quasi tutta la partita: chi avrà visto la loro sfida ai quarti di finale dell’Australian Open ricorderà una Pliskova in completa balia dell’avversaria, schiava delle trame di gioco della numero 1 del mondo. Ieri il copione era diametralmente l’opposto. Cosa fa la fiducia…

Repubblica Ceca. Uno stato piccolo, ma che ha da sempre prodotto fior fiore di ottime giocatrici. Pliskova e Kvitova in top-10, ma anche e soprattutto in top-5 nella Race del prossimo lunedì. Le eliminazioni precoci di Simona Halep e Caroline Wozniacki fanno sì che le due possano addirittura guadagnare qualcosa sulle prime davanti a loro: assurdo, soprattutto se pensiamo alla differenza che dovrebbe normalmente esserci sulla terra tra la rumena e loro due.

Petra non partiva così bene da anni. L’ultima volta che in stagione aveva vinto 3 titoli nei primi mesi era il 2011, anno in cui poi concluse al numero 2 del mondo vincendo uno Slam (Wmbledon) e le WTA Finals. Per lei, c’è la grande preparazione fatta in inverno che l’ha tirata a lucido, ma vogliamo pensare anche alla grandissima determinazione che si porta dentro dopo aver subito l’agguanto in casa a fine 2016: impensabile tutto quello che sta facendo, impensabile immaginarsi questo rendimento un anno fa quando si cercava di guardare positivo e sperare che la mano non avesse subito danni permanenti. C’è poi un dettaglio che sembra emergere sia adesso, a Madrid, che a febbraio durante la settimana di Doha: il carattere e la voglia di Kvitova di spingersi ben oltre l’ostacolo rappresentato dalla fatica e dalla distrazione.
In Qatar le cose potevano naufragare già al secondo turno contro Agnieszka Radwanska vista la settimana di San Pietroburgo e il trionfale weekend in Fed Cup che l’ha costretta ad arrivare molto tardi, e molto stanca, nell’Emirato. Eppure la ceca ha vinto il titolo facendo qualcosa che non le era riuscito neppure da junior: vincere 3 partite da un set di ritardo nello stesso evento. Era stanca già dalla semifinale contro Caroline Wozniacki, diceva in quei giorni che giocare in serale la costringeva ad andare a letto tardi e alla mattina non riusciva mai a riposare quanto voleva, eppure ha stretto i denti giocando 6 set in 24 ore tra semifinale e finale, rientrando in entrambi i casi e collezionando uno dei titoli più belli. Le gambe giravano sempre meno, il livello fisico e talvolta il gioco ne risentiva, ma tutto veniva sostituito da una volontà tremenda e da energie extra in un serbatoio che sembra in riserva ma riesce in qualche modo a rigenerarsi (oltre a essere aiutata dal grande talento di cui è stata donata). Qui in Spagna uguale: già nel match di secondo turno contro Monica Puig si stava notando un sensibile calo nell’efficacia del servizio, una partita senza veri acuti se non per la fine del primo set. Poca esplosività ma il compito era fatto. Poi molte più difficoltà agli ottavi, quando Anett Kontaveit l’ha portata a battagliare per quasi due ore e mezza e ieri sera, contro Daria Kasatkina, per la prima volta la coscia destra è apparsa fasciata. Contro la russa la situazione tattica era facile: colpire per evitare lo scambio, fare quanti più vincenti possibili (26, poco meno della metà dei punti ottenuti: obiettivo raggiunto).

Così, Madrid avrà come semifinale più nobile la sfida tra le ceche più forti in questo momento. Quelle che stanno portando avanti il mito di una nazione che ha prodotto alcuni dei tennisti e tenniste più forti e indimenticabili di questo sport, quelle che in Fed Cup sembrano imbattibili. E se dovessero continuare a far bene anche su terra, allora si salvi chi può. Intanto, comunque, usciranno da queste due settimane super con un ottimo bottino di punti che potrà venire comodo nella seconda metà dell’anno per provare a monopolizzare anche il ranking.

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