[6] J. M. del Potro b. [5] K. Anderson 6-4 6-4
È davvero tornato Juan Martin del Potro? L’argentino aveva vinto il torneo di Stoccolma lo scorso ottobre, sconfiggendo Dimitrov in finale, ma non vinceva un “500” da Basilea 2013, contro il problematico Federer di allora. Se si considera che, a parte lo slam del 2009, Palito non ha mai fatto meglio di così la risposta non può che essere positiva. Se poi si considera lo stato comatoso del tennis contemporaneo – con Djokovic che forse torna, con Murray che no, con Nadal che ha salutato fino a Montecarlo – e il fatto che ad Acapulco ha battuto uno dietro l’altro Thiem e Zverev, beh, ci si avvicina alla certezza. Il fatto è che se il rivale più accreditato di Federer diventa quest’argentino indomito, che continua ad avere come vero e proprio punto di forza una convinzione infinita nelle proprie possibilità ma che gioca con un colpo e mezzo e ha un back di rovescio che avrebbe fatto andare a nozze chiunque dei Fab, lo svizzero di Slam può vincerne trenta e rimanere fino alle olimpiadi del 2024 in testa al ranking. Del Potro ha vinto il torneo soffrendo contro Ferrer, ringraziando per i regali di Thiem, sfruttando l’incredibile incapacità di Zverev di sapere cosa fare con uno slice che atterra poco oltre la linea del servizio. Tutta roba che in altri tempi, appunto, non avrebbe mai permesso all’argentino una vittoria tutto sommato così agevole. Ma nella terra dei ciechi l’occhio solo di Juan Martin basta e avanza per lanciare la sfida alla top5.
Anche la finale, come la semi, è stata scontata. Era abbastanza logico che Kevin Anderson, bravissimo a sfruttare i momenti importanti e qualche tremore degli avversari, non avrebbe goduto di nessuno di questi vantaggi contro uno che non trema mai e che anzi è come se fosse acquattato in attesa del tuo passaggio a vuoto o del tuo momento di debolezza. Del Potro ha avuto tre palle palle break in tutto il match: due nel primo set e una sola nel secondo. Sono state più che sufficienti per chiudere il discorso. Quella del settimo game del primo set è arrivata dopo che Anderson si è trovato 40-15 ed è riuscito a perdere una schermaglia a rete in modo incomprensibile. Il momento di frustrazione, evidenziato da un rovescio semplice che è finito talmente largo da non prendere neanche il corridoio, sulla palla break è chiaramente costato il primo set, perché Palito ha sofferto nei turni di servizio successivi ma al momento giusto piazzava pure l’ace, come quello che ha chiuso il primo set.
Il secondo set è filato via persino più liscio, perché nel terzo game un dritto terrificante dava il vantaggio a del Potro e stavolta l’argentino cedeva solo tre puni nei restanti quattro turni di servizio, chiudendo il match con una serie di 10 punti consecutivi alla battuta.
Insomma uno come Anderson per del Potro è avversario troppo tenero, e del resto i precedenti – adesso siamo 7-0 – parlavano chiaro: il sudafricano non solo ha vinto appena un paio di set dei sedici giocati ma solo due volte è riuscito ad arrivare al tiebreak e a malapena ha avuto una palla break negli ultimi quattro anni. Davvero poca roba, soprattutto se si pensa che stiamo pur sempre parlando di un top 10.
Appuntamento ad Indian Wells quindi, con del Potro che festeggia la posizione numero 8, la più alta dal 2014 e con Goffin, che in California non ci sarà, ad un tiro di schioppo. Ma se questi sono gli avversari di Federer non rimane che sperare che il tempo passi in fretta per i varia Chung, Tiafoe, Shapovalov, Tsitsipas e compagnia. O che magari Kyrgios guarisca.
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