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26 Gen 2018 15:02 - Commenti
Trinità Federer e bimbo Chung (non nominare il nome di Djokovic invano)
Federer ha dato una lezione a Chung, come quelle di Terence Hill in "Continuavano a chiamarlo Trinità". E il coreano ha fatto la figura di quello che si porta via il pallone a casa perchè non sa perdere. E i paragoni con Djokovic francamente...
di Luigi Ansaloni
Federer – Chung mi ha fatto venire in mente molte cose, ma una più di tutte, parlando in chat con degli amici, che mi chiedevano cosa mai stesse accadendo, con il dubbio di aver il livescore rotto o altro. La partita tra lo svizzero e il coreano mi ha ricordato una scena di quel meraviglioso film che è “Continuavano a chiamarlo Trinità”, con l’immortale coppia Bud Spencer e Terence hill. Ad un certo punto, durante una partita di poker, diciamo così, sopra le righe, Hill prende letteralmente a schiaffi uno dei tipi che si era messo in testa chissà che cosa e alla fine gli dice: “Non c’hai capito niente eh? Te lo faccio rivedere se vuoi…”.
Ecco, Federer sembrava un poco avesse questo simpatico e benevolo atteggiamento con Chung, come un maestro altezzoso che deve dare per forza di cose una lezione all’allievo che aveva osato sfidarlo, mettendosi in testa (come il tipo contro Terence Hill) chissà che cosa.
Inutile stare qui a parlare della partita, una semifinale slam che di fatto non c’è stata, così come è inutile sottolineare ancora una volta l’enormità di quello che sta facendo Federer: trenta finali di slam è un numero incredibile, così come se arrivasse il ventesimo titolo. Sarebbe francamente una cosa fuori dal mondo. E lo sono anche quelli di Nadal, con le sue 23 finali e con i suoi 16 titoli. Primo e secondo in quasi ogni cosa, Roger e Rafa, giusto per sottolineare la grandezza di questi due giocatori che hanno (e stanno continuando) rivoluzionando la storia del tennis. Mettendo da parte i mostri sacri, un’altra cosa che mi ha fatto venire in mente questa partita è la partita di calcetto giocata alle elementari con gli amici, di pomeriggio, magari con un paio di porte raffazzonate qua e là, spesso fatte con due pietre, uno zaino, cose così.
Spesso capitava che qualche tuo amico, quello che portava il pallone, un supersantos o un tango andavano benissimo, ad un certo punto, clamorosamente sotto col punteggio, prendeva la suddetta palla e se ne andasse a casa, incapace letteralmente di perdere. Ecco, Chung onestamente mi ha fatto questa impressione. Non credo che si aspettasse una tale differenza, tra lui e Federer. Per giorni gli hanno fatto credere che lui era Djokovic, anzi più forte di Djokovic, dicendogli che era lui l’erede del serbo. Non questa versione di Nole, ma di quella RoboNole, quella con cui era quasi impossibile per tutti giocarci contro, Federer compreso. Pensavo fosse amore, invece era un calesse, diceva Massimo Troisi. Pensavo fosse Djokovic, invece era un Ferrer (magari, aggiungo io).
Era palese che Chung non avesse proprio le armi, per dare fastidio a Federer. E nemmeno si è sforzato troppo, il numero due del mondo. E’ stata una lezione, ma non tipo di quelle quasi sadiche inflitte sempre qui nel 2007 a Roddick, sempre in semifinale, o a Del potro, nei quarti del 2009. Lì Federer fornì prestazione imbarazzanti (per gli avversari), qui si è limitato. Bastava alzare l’asticella di poco, pochissimo, e il coreano non ci capiva più nulla. Chung dopotutto ha un gioco che si incastra alla perfezione, con le caratteristiche dell’elvetico.
Come tipologia è vero, somiglia a un Djokovic (ma certo non ha l’elasticità del serbo) e a Nadal (ma gli mancano dei colpi, tipo il passante), ma somigliare è una cosa, arrivare a quel livello è un’altra. E, almeno per il momento, parliamo non di pianeti, ma proprio di galassie diverse. Detto questo, ha abbastanza scandalizzato il fatto che il ventunenne coreano abbia alzato bandiera bianca nemmeno alla fine del secondo set.
Si, va bene, aveva le vesciche, ma dei nostri colleghi in ascensore, furiosi, hanno sottolineato (giustamente, a mio avviso) che nei tornei ITF giovanissimi giocano con le mani e con i piedi spaccati in due dalle ferite senza arrendersi e soffrendo. Insomma, non ci ha fatto una gran bella figura. Poteva tranquillamente rimanere in campo, prendersi tutta la lezione, venire bastonato nel punteggio e arrivederci alla prossima. Ha scelto diversamente, ed è stato un peccato. Anche perché un’oretta privata a scuola da Federer non deve costare mica poco, eh.