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21 Gen 2018 14:30 - Commenti
Nick Kyrgios, Italia-Marocco e “Tre uomini e una gamba”
Kyrgios gioca un tennis meraviglioso ma troppo spesso manca qualcosa. Non è detto che quel qualcosa non sia un compromesso per imbrigliare un talento smisurato. E come in Italia-Marocco del film, tutto molto bello, ma alla fine si perde.
di Luigi Ansaloni
Seduto sulla sediola con tavolino incorporato sulla Rod Laver Arena, penso a “Tre uomini e una gamba”, il film di Aldo Giovanni e Giacomo. Sono dentro uno degli stadi più belli del mondo per guardare il tennis, con Nick Kyrgios e Grigor Dimitrov che stanno giocando una delle più entusiasmanti partite non solo di questo torneo (raccontata nella cronaca di Roberto Salerno), non solo di questo 2018, ma degli ultimi anni, almeno come qualità pura del gioco, e mi viene in mente quell’indimenticabile partita Italia – Marocco, quella di “Jair e il ritorno della grande Inter”, del rigore parato da Marina Massironi e del gol a “volo d’angelo” di Aldo con uno spettacolare colpo di testa.
E mi viene in mente soprattutto quello spezzone quando alla fine del match sono tutti seduti sulla sabbia, che ripercorrono quello che è stata, la partita, una lotta per una gamba, e Aldo, Giovanni, Giacomo e Marina si vantano dei colpi e delle giocate fatte. Hai visto il colpo di testa? E la parata sul calcio di rigore? Sì, sì, tutto molto bello, dice Aldo, che conclude “ma allora come abbiamo fatto a perdere 10-3?”.
Improvvisamente capisco il perchè mi stiano venendo flash di quel film, anche da questa parte del mondo, anche se il pubblico impazzito tende a distrarmi (a chi non piace il silenzio di Wimbledon, questo è il posto che fa per voi, magari un poco fuori mano, mi rendo conto). Nick Kyrgios mi ricorda l’Italia-Marocco di Tre uomini e una gamba, mi ricorda anzi l’Italia, di Tre uomini e una gamba. Tutto molto bello, ma alla fine si perde.
Non amare l’australiano è una roba che non è semplicemente possibile, questo lo dico forte e chiaro. Ha un modo di fare qualsiasi cosa su un campo da tennis che è talmente unico, talmente fuori dagli schemi, che sei ipnotizzato. Kyrgios riesce a compiere delle cose con una naturalezza tale, dettata da un talento smisurato, che non le puoi capire. Risultano incomprensibili. Lui non subisce la palla, le va incontro con delle frazioni infinitesimali di attimi, di tempo, che agli altri umani sfuggono. Sa fare troppe cose e quasi tutte con un istinto che non appartiene a questa terra.
Ed è proprio per questi motivi che fa delle cavolate incredibili, e non può non farle, perchè il cervello umano non è tarato per bloccare certi colpi, certi movimenti, certe cose, perchè non li riconosce, e non riconoscendole non può far nulla. E’ un animale nella giungla, Kyrgios, quando gioca a tennis, che nessuno dovrebbe ingabbiare.
Eppure, e qui riutilizziamo ancora una volta ciò che dice Panatta, disputare una partita dello sport più bello del mondo con una racchetta in mano e vincerlo, sono due cose differenzi, sono proprio due discipline distinte e separate. Kyrgios è un panda, e i panda non vanno tenuti negli zoo, è un peccato. Questo ragazzone ha 22 anni, è entrato nei 23, ha tutto il tempo del mondo per vincere quello che vuole, ma se vuole farlo, deve trovare, scusate la brutalità, qualcuno che lo addestri senza però umanizzarlo, senza scalfire quel sovrumano talento che madre natura gli ha dato.
Basterebbe semplicemente fargli capire che non può giocare il primo punto sul 2-2 del primo set come un break point o un set point, e che le scelte sono scelte perchè sono utili, perchè servono. Ma anche lì: è come chiedere ad un Ghepardo di non correre in mezzo alla foresta dell’Africa. Vaglielo a spiegare, vai.