20 anni di successi: il video tributo del mondo del tennis a Rafa Nadal
26 Set 2017 11:58 - Extra
Dopo la Laver Cup, è fantascienza immaginare una Navratilova Cup?
La Laver Cup, al netto delle presenze di Roger Federer e Rafael Nadal, ha dimostrato che si può ancora creare un evento importante. Cosa succederebbe immaginandone uno al femminile?
di Diego Barbiani
Chiamatela come vi pare. Chiamatela “esibizione”, “americanata”, “cagata pazzesca” (citando il maestro Fantozzi), ma quanto accaduto lo scorso weekend ha lasciato il segno. Un evento come la Laver Cup, e questo si sapeva fin da prima che prendesse il via, era impossibile potesse fallire almeno da un punto di vista mediatico: troppe le persone importanti dietro all’evento. Da Rod Laver a Roger Federer, passando per Bjorn Borg e John McEnroe concludendo con Rafael Nadal: in 5 hanno raccolto qualcosa come 64 titoli dello Slam in singolare. Leggende, nulla più. E non tocchiamo poi il numero totale di premi e riconoscimenti che Dio solo sa quanti possano realmente essere.
Il lume di scetticismo era tanto, chi vi scrive era tra quelli più contrari pur trattandosi di un evento presentato come un tributo al grande Rod. Soprattutto, l’intera prima edizione della Laver Cup sembrava pendente unicamente sulle spalle di due personaggi: Federer e Nadal, favoriti anche da un 2017 che li ha visti dominare negli Slam come nei Master 1000, la loro rivalità è stato lo spot migliore per l’evento. Alla Laver Cup si è assistito al primo doppio della storia con i due dallo stesso lato del campo. Sabato sera, prime time televisivo, e i network sportivi impazzivano. Poi la sconfitta di Nadal alla domenica, lo spirito e la cattiveria agonistica messa in campo dai vari giocatori alla in tutte le giornate e il gran finale con un Federer-Kyrgios appassionante, il trionfo dello svizzero, Nadal che gli corre incontro per primo, l’australiano in lacrime abbracciato da tutto il team e musi lunghi mentre al di là della rete c’era chi gioiva e cominciava una notte di festeggiamenti. Lo spot migliore che un evento neonato potesse chiedere per le successive edizioni: non tutte saranno così, ci saranno probabilmente delle migliorie da apportare, ma da quello che si è visto può avere un futuro solido.
È nato qualcosa, lo scorso fine settimana. Probabilmente prima nessuno di noi sentiva davvero il bisogno di un evento come questo: i big si lamentano del calendario troppo fitto ma quando si tratta di esibizioni chiudono spesso un occhio, e di fatti eccoli disponibili dietro cospicuo riconoscimento economico (cosa che comunque per loro vale anche in Coppa Davis e nei tornei minori, è bene ricordarlo); la Laver Cup è stata organizzata due settimane dopo lo US Open, periodo in cui nessuno dei big è in campo negli eventi ATP 250 che si sono visti ulteriormente danneggiati dalla competizione con questo colosso (alcuni come Berdych e Tiafoe hanno dato forfait a Shenzhen, Shapovalov al Challenger di Orleans); il concetto di team in uno sport singolarista non è mai facile da affrontare, soprattutto se gli schieramenti non sono per nazioni ma sono “Europa” e “Resto del Mondo”. Eppure, le prime reazioni nelle 24 ore successive all’ultimo punto sono state quasi interamente favorevoli. C’è chi ritiene che questo evento abbia messo in forte difficoltà una competizione storica come la Coppa Davis, ormai privata quasi interamente dei grandi giocatori e con un format che non è più attuabile per i nostri anni (gli stessi Federer e Nadal hanno ormai abbandonato l’idea di giocare per l’insalatiera, ma sono subito saltati in campo per la Laver Cup), c’è chi riconosce che abbia avuto l’impatto migliore di ogni altro evento speciale visto in questi anni, compreso il circo milionario dell’IPTL, che nonostante proclami di sconvolgere il tennis già dal primo anno ebbe qualche scricchiolio e dopo 3 anni quelli sono diventate crepe insanabili tra debiti, appeal prossimo allo zero, impossibilità di coinvolgere franchigie e grandi giocatori.
La Laver Cup ha tirato una riga rispetto a quegli eventi e dimostrato che qualcosa di buono si possa ancora fare. Non siamo tifosi dell’evento, né vogliamo farvi brillare gli occhi leggendo queste righe, ma riconosciamo che: i giocatori hanno vinto (anche gli sconfitti), gli organizzatori hanno vinto (oltre 80000 persone in 3 giorni), Praga ha vinto (promossa su tutta la linea, fin dalla parata iniziale), i fan hanno vinto (semplicemente entusiasti e dopo uno show lontano dalle normali esibizioni dove l’agonismo latita). Per questo, alla fine, pensiamo che possa avere un futuro, costruendosi una traduzione tutta sua, come accaduto per la Ryder Cup di golf, evento che da 90 anni mette di fronte i maggiori talenti dell’Europa e degli USA. Lì si è arrivati ad un vero e proprio appuntamento da vivere col fiato sospeso e tra 2010 e 2012 si sono vissute 2 delle edizioni più belle di sempre, con l’Europa che prima rimontava nell’ultima giornata da 10-6 e poi di nuovo rimontava da un divario mai visto prima come 10-4. Concentriamoci però sul 2010 per mostrare quello che vuol dire per un golfista mettere a segno un putt decisivo di fronte a decine di migliaia di fan (il video parte da 4:58, il momento dura una ventina di secondi)
Come dice il narratore si era alla buca 16 ed era uno degli ultimi incontri rimasti da concludere, quello che avrebbe deciso l’intera competizione. Graeme McDowell, imbucando quel colpo, avrebbe vinto la buca e portato l’Europa su “2up”: 2 buche di vantaggio a 2 dalla fine. L’imbucata ha fatto esplodere il pubblico assiepatosi tutt’intorno. Solo il pareggio a quel avrebbe consentito al suo sfidante di mantenere la Ryder Cup negli USA, che messo alle strette ha però sbagliato l’approccio nella buca successiva e si è arreso.
Questo format, nella Laver Cup, viene strutturato dando 1 punto a chi vince al venerdì, 2 al sabato, 3 alla domenica. Chiaro sintomo di voler tenere lo spettacolo aperto il più possibile nonostante le prime 2 giornate si fossero concluse con 3 vittorie dell’Europa e 1 del Resto del Mondo. E ha funzionato. Vogliamo così sollevare un interrogativo: se ci rivolgiamo alla controparte femminile, cosa verrebbe fuori? Una Martina Navratilova Cup, risposta quasi banale (il primo pensiero era per la Billie Jean King Cup, ma il nome è già in uso nel World Team Tennis). Ci provarono già nel 2002, con la Collins Cup: fu un’esibizione disputatasi a inizio dicembre di cui siamo riusciti a ritrovare l’ordine di gioco e le componenti delle due squadre, Europa e USA.
5 dicembre
Lindsay Davenport vs Barbara Schett
Monica Seles vs Anna Kournikova
6 dicembre
Monica Seles/Lindsay Davenport v Barbara Schett/Iva Majoli
Venus Williams/Serena Williams v Daniela Hantuchova/Jelena Dokic
7 dicembre
Serena Williams v Iva Majoli
Venus Williams v Jelena Dokic
Jennifer Capriati v Daniela Hantuchova
Come capitani oggi sceglieremmo Steffi Graf e Chris Evert. Per l’Europa ci sarebbero le prime 4 del ranking: Garbine Muguruza, Simona Halep, Elina Svitolina, Karolina Pliskova e oltre a loro pensiamo all’altra campionessa Slam del 2017 Jelena Ostapenko più Maria Sharapova (o Petra Kvitova, o Victoria Azarenka, o Angelique Kerber… l’imbarazzo della scelta, insomma). Per il Resto del Mondo invece ci sarà un team quasi solo USA: Madison Keys, Venus Williams, Sloane Stephens, Serena Williams, più Daria Gavrilova (Tennis Australia vorrà avere almeno una partecipante) e Shuai Peng (ma si potrebbe cambiare anche qui con altre escluse). Anche qui sarebbe un crescendo di qualità, immaginando che per alcune il campo si vedrà solo il primo giorno. L’ostacolo più grande sarebbe forse il creare due team diversi che si sono realmente uniti tra loro quando sappiamo (e la vicenda Sharapova ce lo ha più volte ricordato) che i dissapori rischiano di essere veramente tanti, eppure vorremmo che un tentativo fosse fatto. Servirebbe un impegno enorme da parte di sponsor per dare un certo appeal, anche se pur essendo quasi impossibile toccare le cifre della Laver Cup l’interesse (in proporzione) potrebbe essere di gran lunga positivo. Diverse giocatrici hanno apprezzato l’evento e potrebbero rendersi disponibili ad un’edizione di prova. Tutto dipenderà probabilmente dalle big, che dovranno coinvolgere le leggende del passato come ha fatto Roger Federer, supportato al 100% dal suo agente Tony Godsick: già solo con questo duo, era quasi impossibile pensare ad un buco nell’acqua.