Lo sport ha la responsabilità di combattere la violenza di genere. Con i suoi valori paritari e la sua risonanza mediatica, lo sport ha una voce per fare la differenza. Ha una voce per iniziare il cambiamento. Oggi ce la fanno sentire uomini e donne, schierati insieme contro ogni forma di durezza e diversità. Oggi che, […]
06 Lug 2017 02:18 - Extra
Gli incontri dimenticati: 1969, la maratona Gonzales-Pasarell
Un mito. È stato per oltre quarant'anni l'incontro con il maggior numero di games giocati, centododici. Dopo quello il tie break e la fine di un'epoca
di Raffaello Esposito
Sì certo, quel record è stato battuto nel 2010 con tanto di targa commemorativa ma, Isner e Mahut capiranno, quel che successe a Wimbledon fra il 24 e il 25 giugno 1969 è ben altro da loro. Sorry John, pardon Nicolas
Siamo nell’anno uno del vero tennis, dopo un duro ostracismo i famigerati pro hanno finalmente libero accesso ai tornei tradizionali. In quel 1969 Rod Laver completa il suo secondo Grande Slam, quello vero, ma al termine della stagione non è suo l’incontro di cui tutti parlano.
Martedì 24 giugno intorno all’ora del té due tennisti entrano sul sacro Centre Court per il loro primo incontro del torneo. Il più giovane ha 25 anni e sarà il fondatore molto dopo del torneo di Indian Wells Si chiama Charlie Pasarell, statunitense nato a Porto Rico con una carriera alle soglie della top ten. Solido combattente dal gran servizio, nel 1967 sconfisse all’esordio, primo nella storia a Wimbledon, il campione in carica Manolo Santana. Nell’edizione seguente costrinse al quinto il mito Rosewall, nessuno lo incontrava volentieri al primo turno.
Ma il suo avversario è una leggenda, anche se per venti lunghi anni era stato un fantasma.
Ricardo Alonso “Pancho” Gonzales nacque il 9 maggio 1928 a Los Angeles da una famiglia di immigrati messicani che avevano attraversato il deserto di Chiuahua per costruirsi una vita stabile e dignitosa nel Norte.
“We had few luxuries at our house. Food wasn’t abundant but it was simple and filling, and we never went hungry. Our clothes were just clothes – inexpensive but clean.” ricorda Pancho.
Nonostante questo Gonzales patisce in gioventù la cruda discriminazione riservata ai messicani. Lui avrà la fortuna di poter sfogare tutta la rabbia accumulata allora usando una clava con le corde. È la madre che gli compra per 50 centesimi la prima racchetta quando ha 12 anni. Pancho impara a giocare da solo facendo la coda ai campi comunali di LA, il suo talento fisico fa il resto. Alto quasi un metro e novanta ma snello e agile, sviluppa una potenza devastante al servizio, uno dei tre migliori di sempre, uniti a tocco e controllo assoluti nei colpi di rimbalzo. A rete poi era una sentenza, le sue volée spinte ed estremamente angolate ricordano molto quelle di tale John McEnroe. È un vincitore, otto anni dopo aver impugnato una racchetta trionfa a Forest Hills 1948. Bissa il titolo dodici mesi dopo sconfiggendo l’aristocratico Ted Schroeder in una battaglia che sa tanto di lotta di classe. Poi il buio.
I soldi sono importanti e Gonzales sceglie di passare subito fra i dannati pro allettato dai guadagni che quel circuito garantiva. Ma è acerbo, di là lo aspetta Jack Kramer al suo meglio che lo batte 96 volte su 123 incontri del loro tour. Il colpo è forte, Pancho non è ancora un rivale credibile e viene messo all’angolo. Rischia di smettere, passa il tempo giocando a carte e correndo in macchina ma è lo stesso Kramer a richiamarlo quando comincia a gestire in prima persona i professionisti. Diventa il miglior tennista del mondo con piste di vantaggio.
In campo è minaccioso con gli arbitri e spietato con gli avversari, tutti provano il filo della sua lama, da Sedgman a Rosewall e Laver, che odiavano incontrarlo – “He gets meaner every time you play him”.
Beve e tira tardi la notte fra sigarette e avventure galanti. Si sposa sei volte, due con la stessa donna e l’ultima con la sorella di André Agassi.
Ecco il ricordo di Power Jack quando il grande rivale morì di cancro nel 1995. “Pancho gets 50 points on his serve and 50 points on terror. His passing will give the modern-day tennis player a chance to look at how wonderful he was. He had no Wimbledons, and a couple of U.S. championships, but from 1954 to 1962, he was the best player that walked on the court.”
“Vero è ben, Pindemonte” a dirla con Foscolo, ma l’uomo che entra in campo quel giorno è già nonno e dall’anno precedente è stato accolto ancor giocante nella Hall of Fame di Newport. I capelli sono ormai striati di grigio, le rughe del volto non fanno altro che evidenziare la lunga cicatrice sulla guancia sinistra – ricordo di un incidente da ragazzo – ma lo spirito e il carisma del capobranco sono ancora intatti.
Pancho ha 41 anni quando inizia il match e al termine del primo set saranno cento, tutti passati ad inseguire il giovane Pasarell che serve per primo. Per un’ora e tre quarti e quarantacinque giochi nessuno perde il servizio. il vecchio campione però annaspa, deve salvarsi ben undici volte. Alla dodicesima un perfetto lob di Pasarell accarezza la riga quel tanto che basta.
Gonzales è furibondo e prova a scuotersi prendendo di forza il centro del palcoscenico. La giornata è plumbea, forse la luce comincia a calare e lui cerca di ottenere l’interruzione del gioco. “Nessuna luce è mai buona abbastanza per lui” è la stilettata di Rod Laver. Mentre il responsabile Mike Gibson resiste eroicamente ai rabbiosi lamenti di Pancho – “I couldn’t see the ball”, oppure “Should we have to play in the dark?” – Pasarell zitto zitto imbrocca tutto e incassa anche il secondo set con un comodo 6-1. Solo ora il gioco viene interrotto e Gonzales abbandona il campo sommerso dai fischi del pubblico agitando la sua Slazenger Smasher in metallo contro il giudice arbitro. “These people don’t bother me” dichiara in serata. Poi fuma un pacchetto di sigarette giocando a backgammon fino alle due di notte.
Il giorno seguente splende il sole e i delicati equilibri che presiedono all’esito di un match di tennis sono cambiati. Forse Pasarell sente di aver mancato il colpo di grazia, gli sarebbe bastata una mezz’ora di luce in più per chiudere il giorno prima. Gonzales, come tutti gli uomini con le spalle al muro, adesso è pericoloso. Si riprende e il terzo set è di una bellezza selvaggia. Nulla è cambiato ma è cambiato tutto. Charlie sembra esitare con le ultime banderillas e l’incertezza gli è fatale.
Ancora una volta il punteggio rimane in equilibrio irreale, ora però Pancho serve per primo e le sue bombe cominciano a entrare. Le opportunità fioccano per entrambi, Pasarell manca due facili dritti per il break nel sedicesimo e ventesimo gioco e annulla con una feroce prima palla in pancia la prima delle nove occasioni che il suo grande avversario costruisce. Poi crolla commettendo due doppi falli sul 14-15, il secondo proprio sul set point.
Si ripete in simmetria quanto successo il giorno prima. Nel quarto set infatti Charlie dà retta più ai cattivi pensieri che al campo e concede ancora con un doppio errore il break cruciale per il facile 6-3 che rimette in pari i piatti della bilancia.
“It was the kind of match that took your breath away, and moved you to tears at the same time” è stato scritto di quest’incontro e il quinto set ne fu degno epilogo.
Pasarell serve per primo, sempre un vantaggio, Gonzales sputa sangue e si appoggia esausto alla racchetta fra uno scambio e l’altro. Però si è già trovato qualche migliaio di volte in situazioni simili e sa bene cosa fare. Finché non perde la battuta è salvo e allora si concentra su quello, poi si vedrà. L’azzardato piano rischia di fallire già sul 4-5, quando Pancho precipita 0-40. È finita, è finita per forza. Invece due lob di Pasarell escono di nulla prima che un ace centrale rimetta tutto in forse. Pochi minuti e siamo daccapo, 6-5 Pasarell, servizio Gonzales, 0-40. Stavolta il campione fa tutto da solo e annulla con uno smash e una dolce volée angolata seguita da una prima potente. Le firme del suo gioco.
Fanno sei palle match, e non uno qualunque. Ce ne sarà una settima nel corso del sedicesimo game ma ancora una volta il lob di Charlie esce di poco, forse spinto dal mormorio del pubblico e dagli ansiti di Pancho che rincorre. Pasarell perde nel preciso momento in cui quella pallina rimbalza. Conserva ancora la forza, o forse la dignità, di issarsi sul 9-8 in suo favore, poi la luce si spegne.
Il killer instinct di Gonzales avverte il momento e dal 15 pari del gioco seguente infila undici punti consecutivi che lo portano alla stretta di mano. Quando stringe quella dell’incredulo Pasarell oltre la rete i suoi occhi son tornati quelli di un ragazzino.
24-25/06/1969
Wimbledon, Londra – Primo turno
R. Gonzales b. C. Pasarell 22-24 1-6 16-14 6-3 11-9