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22 Giu 2017 10:57 - Extra
È tornata anche Sabine Lisicki, e non ha perso il sorriso
Tra tutti i rientri celebrati, manca ancora un nome: Sabine Lisicki. La finalista di Wimbledon 2013 ha cominciato la stagione questa settimana, a Maiorca, ed è già ai quarti di finale.
di Diego Barbiani
Maria Sharapova, Petra Kvitova, Victoria Azarenka. A livello femminile uno dei temi più importanti del 2017 era focalizzato su loro tre, vincitrici di 9 Slam in totale, due ex numero 1 del mondo (ed una fermatasi al numero 2). Le loro storie sono ben note, tra chi si è resa colpevole di una infrazione all’antidoping, chi ha scoperto le gioie della vita creando una famiglia, chi invece ha rischiato che il destino dal nulla le levasse la sua più grande passione. Tre storie diverse che viste una accanto all’altra rendono l’idea della sfortuna enorme che il tennis femminile abbia avuto, dovendo affrontare un buco lungo più di un anno. Son venute fuori volti nuovi, storie appassionanti, giovani terribili e vicende improbabili (Madison Brengle che batte una distratta Serena Williams e dice alla sua compagna di doppio: “Pensi che non si aspettasse fossi così scarsa?”).
Sharapova è rientrata a Stoccarda, tra tante polemiche e storie non dette (Caroline Wozniacki si è cancellata dal torneo tedesco prima che l’entry list fosse resa pubblica, non prese affatto bene la notizia della wild-card alla russa…). Kvitova ha sorpreso tutti decidendo di rientrare a Parigi, nello Slam meno adatto a lei, generando un moto di commozione e gioia che hanno fatto pensare al miracolo. Victoria Azarenka ha fatto il suo rientro questa settimana nella calda isola di Maiorca, investita dall’estate, con l’erba trattata come a Wimbledon, l’ideale dunque per ripartire in un torneo minore. Se si esclude Acapulco, dove nel 2016 si infortunò all’esordio, l’ultimo torneo International risaliva al 2012 quando vinse il torneo di Linz. L’isola delle Baleari è però teatro di un altro rientro, importante soprattutto perché sull’erba lei ha da sempre ottenuto risultati strepitosi: Sabine Lisicki.
La tedesca, che compirà 28 anni a settembre, è la meno chiacchierata delle quattro. Facendo il rientro nello stesso evento dove c’è anche la neo-mamma Azarenka lo spazio è proprio minimo. Eppure un cenno lo merita anche lei, nonostante la sua carriera abbia vissuto di montagne russe folli, travagliate, con picchi improvvisi e ricadute dolorose. Fu la prima tedesca a raggiungere una finale Slam dai tempi di Steffi Graf prima dello straordinario 2016 di Angelique Kerber. Proprio con la numero 1 del mondo Lisicki ha anche vissuto una frizione. Qualche anno fa Kerber si oppose ad una eventuale nomination di Lisicki nel team di Fed Cup perché non aveva mai cercato di costruire un legame forte con le altre connazionali, tutte risiedenti in Europa, mentre Lisicki trascorreva la maggior parte del tempo in Florida, a Bradenton. Nel 2014 però la squadra tedesca, Kerber in primis, mise da parte la vicenda per provare a vincere una Fed Cup che sarebbe stata storica. Non ci riuscirono, l’anno dopo persero una sfida rocambolesca in Russia (con Lisicki e Goerges in campo nella prima giornata, entrambe sconfitte e sostituite da Andrea Pektovic e Kerber nella seconda, prima della sconfitta nel doppio decisivo) e da lì le strade si divisero sempre più. Oggi Barbara Rittner sta cercando dei ricambi adeguati, ma ancora non sembra essere arrivata ad una conclusione.
Vincitrice di quattro titoli WTA fino ad oggi, Sabine è sempre stata un estremo. La chiamano “Bum Bum Bine” per il potente servizio: detiene ancora il record di velocità nel circuito WTA (211km/h a Stanford 2014) anche se Georgina Garcia Perez fece registrare i 220km/h a Bogotà lo scorso anno, record mai ufficializzato per il diverso sistema di raccolta dati. Ha colpi potenzialmente straordinari, ma purtroppo per lei i risultati finora non hanno rispecchiato a pieno le qualità. Avverte molto il momento delicato, si irrigidisce, col rischio di passare alla cronaca più per le partite buttate al vento che per quelle già vinte, come quando a Miami nel 2016 fu rimontata da 5-0 nel terzo set contro Irina Camelia Begu e perse al tie-break decisivo. Ci sono comunque anche grandi ricordi a riequilibrare il tutto, come il 5-1 recuperato a Barbora Strycova allo US Open 2015 o nei due dei successi più belli: contro Serena Williams e contro Agnieszka Radwanska, entrambi a Wimbledon 2013, entrambi da 0-3 sotto nel set decisivo. Lo stesso Slam, quello, dove raggiunse il picco più alto ed al tempo stesso il più delicato della carriera, quando scese in campo per la finale ma non riuscì a trattenere le lacrime per la delusione quando lo score segnava 6-1 5-1 per Marion Bartoli. Finì 6-1 6-4, Sabine riuscì comunque a mostrare un sorriso dei suoi durante la premiazione ed al ritorno in Germania fu accolta da tantissimi fan accorsi per salutarla. Sfortunatamente da lì in avanti è riuscita a raggiungere i quarti di finale in uno Slam solo in un’occasione, sempre a Wimbledon, un anno dopo.
Da un estremo all’altro. Da un risultato eccezionale ad un periodo molto complicato nel giro di breve. Nel 2015, ad Indian Wells, vinse la prima partita in carriera nel deserto californiano battendo Roberta Vinci in un match di quasi tre ore. Da lì in poi solo soddisfazioni: battute Sara Errani, Caroline Garcia, Ana Ivanovic. Nei quarti di finale un altro thriller contro un’azzurra, Flavia Pennetta. Partita bellissima, emozionante, che la tedesca concluse 6-4 6-7 7-6 in suo favore. Era in semifinale in un torneo di altissimo livello per la prima volta proprio da quel torneo di Wimbledon. Un mese più tardi, dopo la trasferta in Russia con la nazionale, la pesantissima sconfitta in casa contro Zarina Diyas: 6-0 6-0 sul centrale di Stoccarda. Ci vuole sempre cura quando si parla di Lisicki, ragazza tanto potente quanto spesso fragile, vittima anche di alcuni infortuni veramente pesanti. L’ultimo, quello alla spalla destra, l’ha tenuta fuori dal circuito per sei mesi facendola precipitare al numero 144 del mondo, il picco più basso dal periodo tra il 2010 ed il 2011, quando la sua carriera subì il primo stop importante e si ritrovò oltre la duecentesima posizione mondiale. I presupporti, purtroppo, si erano avuti allo US Open 2009 quando, sul match point per Anastasia Rodionova, impuntò il piede e la caviglia si girò in maniera anomala. L’australiana vinse, ringraziò il pubblico e fece l’intervista tv, lei nel frattempo era a terra a piangere dal dolore. Fu portata via in sedia a rotelle, ma le lastre successive che escludevano danni gravi. Danni che invece sono sopraggiunti pochi mesi dopo, a marzo, quando fu di nuovo la caviglia a cedere e stavolta furono dolori veri, tanto da costringerla a dover imparare a camminare nuovamente. Sei settimane di stampelle e sedia a rotelle, con il medico che continuava a dirle di quanto fosse grave la situazione, e lei che a neppure 21 anni si ritrovava ad affrontare un problema, soprattutto a livello psicologico, potenzialmente devastante. Sei mesi più tardi, quando rientrò allo US Open, disse: “Ci ho sempre creduto, sempre. Il dottore mi diceva che avrei dovuto tenere le stampelle per sei settimane ed io in quel periodo ne ho approfittato per diventare una persona più forte. Tutto è possibile una volta che hai imparato di nuovo a camminare”.
Rientrò in forma nel 2011 nella sua parte di stagione preferita vincendo il titolo a Birmingham e facendo semifinale a Wimbledon con in dote una wild-card. Un anno dopo arrivò il best ranking, al numero 12, poi la finale Slam, poi la semifinale in un Mandatory. Non c’era continuità, anche per via dei ricorrenti infortuni (seppur di livello minore) ma i picchi di risultato erano sempre di altissimo livello. In Germania hanno cercato di spingerla il più possibile, perché era l’elemento più di spicco di una nuova generazione di tedesche di alto potenziale. Assieme ad Andrea Petkovic è forse quella dal carattere più socievole: anche la prima però ha vissuto anni terribili tra fine 2011 e 2013, dunque con una Kerber molto riservata gli occhi erano spesso rivolti verso l’altra giocatrice di origini polacche.
Di Lisicki si è parlato tanto anche per la vita privata. I problemi al ginocchio dello US Open 2015 le avevano impedito di completare la stagione ed avevano pesantemente condizionato la preparazione al 2016, dove nei primi mesi è arrivata anche a concludere la storia d’amore importante con Oliver Pocher, conduttore televisivo tedesco. Sabine confessava in alcune interviste prima della rottura di volere una famiglia con Oliver, ma qualcosa si ruppe tra i due. Quello che seguì fu altrettanto grave e pesante, con la separazione improvvisa da Christopher Kas, ex giocatore tedesco ed ora allenatore che sta facendo la fortuna di Mona Barthel. Fu lei ad annunciare la rottura, aggiungendo una serie di hashtag e la parola “crescere”. Pocher volle replicare con un tweet poi cancellato per la gravità delle frasi e la diffusione del messaggio: “#Psicopatica #Fisio #Fisioterapista #LaColpaNonÈSempreDegliAltri #IGenitoriNonSonoSempreLaSoluzione (in riferimento al fatto che ad allenarla per qualche settimana fu il padre, nda) #MenoHashtagPiùAllenamenti”. La stagione non decollò mai ed a ottobre c’era il serio rischio di finire l’anno fuori dalle 100. Riuscì a salvarsi, ma la spalla a fine anno chiese il conto e fu salatissimo.
Adesso Lisicki è di nuovo in campo ed al primo torneo su erba ha subito raggiunto i quarti di finale dove la attende un derby sorprendente contro Goerges, che non vinceva una partita su erba dalle Olimpiadi del 2012 e, a livello WTA, dal 2009. Ci vuole riprovare, ancora una volta, dopo tutte le sberle che il destino le ha rifilato in questi anni, dal tennis alla vita privata. Intanto il suo tipico sorriso è già tornato a farsi vedere, forse il segnale più bello.