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22 Giu 2017 05:06 - Extra
Le tre C per diventare vincenti in quarta categoria
La quarta categoria rappresenta il tennis underground, vere battaglie dove l’agonismo, quello innato che non si insegna, spesso ha la meglio sulla tecnica.
di Francesca Amidei
L’ approccio al tennis agonistico è sempre un momento delicato, forse imprevisto. Infatti spesso si inizia a giocare memori di un corso fatto da bambini, quando l’idolo era McEnroe e il legno la faceva da padrone, per poi ritrovarsi implicati tra corsi adulti, lezioni private e tornei per la gioia della partner di turno che come gli psicologi si deve arrendere alla oramai famosa dipendenza da terra rossa. Il tennis ha il potere di entrarci nel cervello, instillare in noi l’idea del bisogno, come quando siamo innamorati e troviamo sempre il pretesto per scriverle. Così ci mettiamo quotidianamente nelle condizioni di scendere in campo.
La bellezza della quarta categoria risiede nella sua natura multiforme spesso contraddittoria. Sgretola le teorie tecnico-tattiche scritte nei manuali per esaltare al contrario la diversità di stili, impugnature improbabili o colpi contro le leggi fisiche che ci sorprendono come il bello e il brutto della vita. Perché in fondo se riusciamo a mettere a segno un numero tale di vincenti da “prendere a pallate” chi sta dall’altra parte della rete, vuol dire che abbiamo raggiunto una concretezza che ci fa entrare di diritto nella categoria di mezzo, quella con il tre davanti. Lì si acquisisce la nomina di giocatori abbandonando l’amato e odiato nomignolo di appassionati.
Partite poco interessanti, aride di spunti tecnici, dove sembra che l’unico obiettivo sia tirare piano al centro come se ci fosse un cono immaginario da buttare giù. Eppure dovremmo sapere che l’apparenza inganna. In quel mondo di basse velocità, dove tirano piano quasi giocassero in slow motion, emerge tutta l’essenza primordiale del tennis, fondata sul tessere colpo dopo colpo la propria ragnatela con traiettorie ficcanti e angoli acuti, uniti a una sconfinata pazienza e voglia di stare lì.
Nel gergo tennistico concretezza, costanza, consapevolezza sono le tre C per diventare dei vincenti nella quarta categoria.
Concretezza significa efficacia dei colpi, il risultato finale prevale sull’esecuzione biomeccanica. E’ infatti fondamentale ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo per risparmiare energie e conservare un briciolo di lucidità in quei pochi punti che determinano le sorti del match quando il ragazzino dall’altra parte della rete non ha il fiatone o il battito cardiaco accelerato ma non riesce con il suo dritto, che rispecchia tutti i parametri tecnici noti agli addetti ai lavori, a disinnescare quel rovescio in back flottante a tre quarti campo con la pallina che viaggia apparentemente innocua.
Costanza sta per regolarità, che rispecchia l’amore per la fatica e la lotta. Ributtare dall’altra parte della rete una palla in più dell’avversario a discapito di qualsiasi forma di eleganza. Perché alla fine un recupero disperato in allungo vale quanto un fantastico dritto scagliato all’incrocio delle righe in uno sport che, non dimentichiamo, si fonda sui punti conquistati e non sul punteggio attribuito da una giuria esterna.
Consapevolezza meglio tradotta come coscienza del proprio gioco. Sapere che giocatori siamo è il primo passo per avere ben chiaro che strategia applicare durante una partita. Non ha senso fare a pallate con i bombardieri moderni che sono degli abili ribattitori di vent’anni più giovani, instancabili nel fisico ma vacillanti nella mente. Rompere i loro schemi, variare, mandarli fuori palla e fare affidamento nei momenti topici del match agli oliati schemi che ci hanno regalato tanti punti grazie alle palle corte artigianali ma mai banali o serve & volley improvvisi che lasciano di stucco, più che per la sontuosa volèe, per l’imprevedibilità.
Quando riusciamo a unire in un incontro questi tre aspetti spesso ne usciamo vincitori. Forse non del tutto soddisfatti perché convinti di poter esprimere un tennis di maggiore qualità ma di sicuro è meglio archiviare una partita vinta piuttosto che una sconfitta. In fondo c’è sempre tempo per migliorare il proprio gioco, come noto non si smette mai di imparare in campo e nella vita, ma ogni istante all’interno di un match è fugace e irripetibile. Ciò significa che possiamo giocare due o più dritti perfettamente uguali ma mai rivivere lo stesso punto al di fuori della nostra memoria che custodisce i ricordi.
Giovani adulti del tennis alla ricerca della consacrazione finale che si esplicita con la vittoria in un torneo di quarta o con due semplici numeri a fianco del nome nella sezione classifiche nazionali: 3.5.
Traguardo agognato per chi, dopo vent’anni di inesauribile passione, è riuscito ad alzare l’asticella e superarla.