Sul campo 4, mentre sul Centrale si sta giocando un match femminile che interessa a pochi e sul Pietrangeli c’è Halep che si fa portare al terzo da Pavlyuchenkova, comincia ad aggregarsi la gente. Ci sono cappellini di RF, ovviamente, ma molte persone hanno il logo con le due corna, quelle del toro. Chissà perché ma in rete non si legge più “toro maiorchino” o buffe metafore sulla corrida quando si parla di Nadal. Le due corna del logo, però, non sono tramontate e fanno ancora il loro onesto lavoro in termini di marketing. Quando Nadal scende ad allenarsi per una mezz’oretta prima del suo incontro con Jack Sock, uno che arrota la palla quasi quanto lui, pur essendo statunitense, il pubblico esulta. Magari non tutti lo potranno vedere sul Centrale, quella sera, ma già vederlo allenare è un’esperienza che vale la pena raccontare quando si tornerà a casa, da mogli disinteressate o compagni che non distinguono il rovescio dal dritto. «Ma hai visto come muove il braccio?», «Quella palla pesa come un melone», e via dicendo: il pubblico è ammirato dalla potenza esasperante di quel dritto tanto discusso, quello che va e torna a seconda della giornata. Perché Rafa, ogni tanto è bene ricordarlo, a breve farà 31 anni.
A Roma la domanda su cui tutti si arrovellano è: perderà mai Nadal da qui fino a Parigi? Roma, si sa, è una tappa verso la Decima, ma è ormai diventata una tappa imprescindibile. Nadal, semplicemente, non può più perdere. Murray ha perso sé stesso, Djokovic è nei quarti ma già con del Potro non è mica tanto sicuro di vincere, Wawrinka non ne parliamo, Thiem mancano ancora un paio di soldi per arrivare alla famosa lira, Raonic sta facendo il countdown per la stagione sull’erba. È ovvio che tutti si aspettano che Nadal vinca anche a Roma per fare quel pieno (3 Masters 1000, Barcellona e Roland Garros) che non gli è mai riuscito in carriera, nemmeno nel 2006, quando saltò Amburgò dopo l’infinita finale di Roma, nemmeno nel 2008, quando le vesciche lo costrinsero ad arrendersi al secondo turno degli Internazionali e nemmeno nel 2010, quando non andò a Barcellona.
La partecipazione a Roma è sembrata in bilico per un po’: dopo la finale di Madrid, Rafa disse che avrebbe dovuto valutare quello che sarebbe stato meglio per il suo fisico e che l’anno scorso fu un errore andare al Foro Italico. Alla fine però Nadal non ha potuto esimersi dal tornare a Roma, un torneo che non vince da ormai quattro anni ma che sembra già nelle sue mani. L’ottavo contro Jack Sock è stato di una semplicità disarmante e anche se il dritto non è più quello di una volta, il know-how sulla terra battuta basta e avanza per superare avversari come lo statunitense, che se con il dritto può anche pensare di poter competere, quando invece deve giocare col rovescio non ha alcuna chance di vincere il punto. È un know-how che dovrebbe bastare anche contro Dominic Thiem, che ieri ha dovuto lottare contro Sam Querrey, non esattamente Muster o Vilas.
Il Centrale, in ogni caso, è tutto dalla sua parte, e non potrebbero essere altrimenti. I pochissimi cori di incoraggiamento per Sock sembravano fatti apposta per non raggiungere l’unanimità e dare una parvenza di democraiza – un po’ come i dodicenni pariolini in camicia e occhiali da sole che tifavano per John Isner sul Pietrangeli – e oggi contro Thiem la storia non dovrebbe cambiare più di tanto. In assenza di Federer, non c’è una star che possa competere con Rafa, se non altro in termini di applausi.
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