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10 Mag 2017 10:51 - Commenti
Immaginando Roma. Da Connors a Mac, un torneo non per tutti
Gli internazionali di Roma hanno visto trionfare i più grandi fuoriclasse di ogni epoca. Ma non tutti, ad alcuni resterà sempre il rimpianto di non aver vinto il quinto slam.
di Roberto Salerno
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Il quinto slam. E come gli altri quattro per molti è stato una chimera. La rincorsa di Borg allo US Open è stata persino commovente e la carriera dello svedese si è infranta sull’ultimo tentativo frustrato da quel Superbrat che in un assolato pomeriggio newyorchese concesse un set e nove game allo svedese. Borg ci aveva provato dall’inizio della sua carriera e dopo che vinse il suo primo Wimbledon fece quattro finali e una semifinale ma Connors e McEnroe furono implacabili almeno quanto lui lo era a Church Road. Stufo anche di quei tentativi Borg piantò tutti in asso dopo l’ultimo tentativo e si dedicò ad altro, vagando tra vari mestieri.
L’ossessione di Borg fu ben poca cosa rispetto a quella di Ivan Lendl, che sacrificò un paio di slam sull’altare del dio Wimbledon. Il ceco le provò tutte e non fu neanche troppo fortunato a beccare persino il momento migliore di Pat Cash in una delle due volte in cui arrivò in finale. Struggente l’ultimo tentativo, quello del 1990, con il Roland Garros saltato, un torneo impeccabile fino alla semifinali ed un Edberg spietato che gli concede appena un tiebreak.
Connors invece ha sempre avuto l’aria troppo egocentrata per notare di non aver mai vinto il Roland Garros. Jimbo gioca all’inizio della sua carriera poi salta varie edizioni proprio nel suo periodo migliore. Ci torna a fine anni ’70 e riesce due volte ad arrivare in semifinale. Ci riuscirà altre due volte ma subirà delle dure lezioni prima da McEnroe e poi da Lendl. Fatte le dovute proporzioni è un po’ quello che succederà vent’anni dopo a Pete Sampras, che l’unica volta che riuscì ad avvicinarsi alle semi, subì una dura lezione da Kafelnikov. Ma il Roland Garros è stato una chimera per tanti, da Edberg a Becker, e solo l’iper professionalizzazione degli ultimi anni ha permesso a Federer e Djokovic di liberarsi dall’ossessione parigina. A differenza di Sampras, che a Roma vincerà, Connors gioca appena sei partite al Foro Italico. Tre nei primi anni ’70 (in due edizioni, una sconfitta a primo turno e l’anno successivo al secondo) e altre tre, tutte insieme stavolta, sedici anni dopo, quando arriva al terzo turno per raccogliere due game contro Bruguera.
Ma per quanto neanche Binaghi pretenderebbe tanto, Roma non è stata un tabù per il solo Connors. Inutile ricordare le quattro finali di Federer, l’unico dei fab4 che non ha mai vinto al Foro Italico, ma anche Becker non ha mai fatto una gran figura da queste parti. Il tedesco arrivò in semifinale quando non era neanche maggiorenne e prima di vincere Wimbledon ma racimolò appena sei game contro Yannick Noah. L’anno successivo si fermò ai quarti contro Emilio Sanchez e per un po’ prese Roma poco sul serio, saltando varie edizioni nei primi anni ’90. Classico canto del cigno nel 1994, quando aiutato da un po’ di fortuna finisce col trovarsi in finale. Peccato che dall’altra parte ci sia uno dei pochi Pete Sampras decenti su terra, e persino con un po’ di fretta. È una mattanza, Boris vince cinque game in tre set e quando torna, nel 1997, è praticamente già un ex.
Molto diversa la storia dell’altro dioscuro di quei tempi, Stefan Edberg, che a Roma proprio non aveva voglia di venire. Chissà, forse per colpa di tal Marcel Freeman che nel 1984 gli concede appena 4 game. Fatto è che lo svedese ci mette 11 anni per tornare e nel 1995 arriva fino ai quarti di finale. Ferreira però lo tratta persino peggio di Freeman e gli concede appena due game. Edberg torna per la tournée di addio dell’anno dopo e ancora arriva fino ai quarti. Dopo aver battuto Pioline e il solito Ivanisevic stavolta è Krajicek che lo supera in due set.
Ma se Federer almeno si è fatto vedere varie volte dalle nostre parti la stessa cosa non si può certo dire di SuperMac, the Genius. McEnroe non ha mai mostrato particolare interesse né per Roma né per l’Italia. Il meraviglioso mancino statunitense fece una sola apparizione, nel 1987, quando ormai il meglio era passato e forse voleva solo farsi una vaanza con Tatum O’ Neal. Non per questo non mostrò le solite meraviglie arrivando addirittura in semifinale. Ma Mats Wilander non è mai stato un tipo da farsi irretire dalle belle favole e gli concesse solo 4 game e un epitaffio: “Fa l’ aggressivo, ma non lo è più. Gli manca la sicurezza”.
Insomma, Roma come sempre è stata generosa di sé concedendosi a tanti. Ma esattamente come gli slam per alcuni è stata irraggiungibile.