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Gli incontri dimenticati: 1978, Panatta risorge contro Gerulaitis

Splende il sole nella primavera romana del 1978, mentre un’invisibile cappa di piombo soffoca l’intero paese. La guerra civile fra stato e brigate rosse vive il suo momento più drammatico quando il 16 marzo un commando sequestra in via Fani l’allora presidente della DC Aldo Moro crivellando di colpi la sua scorta. I cinquantacinque giorni che seguirono appartengono di diritto alla storia più buia della Repubblica. Il cadavere dello statista venne fatto ritrovare nel primo pomeriggio di martedì 9 maggio in via Caetani nel baule di una renault 4 rossa.

Quel momento vive ancora nello scatto di un giovane fotografo allora ventunenne che dalla finestra di un palazzo immortala per sempre la tragedia. Si chiamava Gianni Giansanti.
Per puro intuito segue un corteo di auto della polizia a sirene spiegate, si nasconde in un portone della via e poi in un appartamento. Ecco il suo racconto:
“Dalla strada mi vede un poliziotto che mi punta la pistola e mi ordina di scendere e consegnargli i rulli. Mi ritiro dalla finestra e seguo la scena dal riflesso sul vetro. Con me ho una sola macchina e tre obiettivi, un 35, un 50 e soprattutto un 200. Sono l’unico ad averlo. Ma a quel punto a cacciarmi è il padrone di casa, spaventato. Esco e salgo sul tetto del palazzo. Dall’alto vedo l’arrivo degli artificieri. Si teme che i brigatisti abbiamo minato la macchina. Mi sporgo, ma è troppo pericoloso. Scendo di corsa e nella confusione assoluta rientro nella casa di prima e il proprietario neanche se ne accorge. Metto il 200 ed è come essere a pochi centimetri dalla scena. Gli artificieri squarciano il portellone, scatto, lo aprono. Tolgo il rullo a colori e lo nascondo negli slip”
Forse è vero che lo stato non poteva trattare né piegarsi, forse no. Non lo sapremo mai.

In quei giorni tormentati si disputa un’edizione degli Internazionali d’Italia il cui andamento distoglie per un attimo gli animi degli italiani dalla tragedia che aveva colpito il cuore del paese. Un po’ quello che successe il 16 luglio 1948 quando il trionfo al Tour de France di Gino Bartali si disse evitò una guerra civile dopo l’attentato a Palmiro Togliatti avvenuto due giorni prima. Absit iniuria verbis…

Quando nell’ultima settimana di maggio inizia il torneo i freddi numeri raccontano una città militarizzata. Oltre seimila posti di blocco punteggiano le strade, persone, veicoli e case perquisite si contano a centinaia di migliaia. Tensione densa come colla.
È questo il clima quando l’allora ottavo re di Roma Adriano Panatta scende in campo per il suo primo turno contro la testa di serie numero due Vitas Gerulaitis.

“Broadway” Vitas è arrivato a Roma su una Rolls Royce bianca, l’anno prima ha vinto lo Slam australiano e sfiorato la finale di Wimbledon perdendo al quinto contro Borg una battaglia splendida e crudele. A Roma è campione uscente, si è preso il titolo spegnendo il sogno di un infortunato e irriducibile Tonino Zugarelli, l’uomo chiave della nostra unica Davis.
Il tutto fra party esclusivi e notti insonni allo studio 54 di New York in compagnia di David Bowie e Tina Turner.

Adriano invece è in uno dei suoi periodi di assenza mentale dal gioco. In quella stagione riuscirà nell’impresa di perdere contro sconosciuti impronunciabili come Borowiak (sull’amata terra parigina), Zirngibl o Krulevitz. Ma soprattutto contro il presunto cameriere magiaro Peter Szoke in Davis, con l’umiliazione di un 6-0 nel terzo set.
Il morale è sotto le suole delle sue superga mentre commenta il sorteggio con un romanissimo e filosofico “Meglio perdere contro Gerulaitis che contro una mezza calzetta in vena di far miracoli “.
Quando si gioca il primo punto del match Adriano veleggia intorno alla quarantesima posizione mondiale, Vitas è saldamente fra i primi quattro. Si sono già incontrati tre volte e lo statunitense è in vantaggio. L’anno prima lo ha battuto nei quarti di finale sulla via della vittoriae inoltre Gerulaitis è un’attaccante nato, leggero e velocissimo, il tipo di giocatore che Panatta ha sempre sofferto. I regolaristi, Borg compreso, li faceva impazzire ma maneggiare questi era per lui ben altro affare.

Insomma, il destino dell’Italiano sembra segnato e l’avvio dell’incontro fatto apposta per confermare previsioni nero pece. Si inizia alle 16.25 di lunedì 22 maggio. Dopo un quarto d’ora Adriano ha vinto quattro punti sparsi, Vitas cinque giochi consecutivi.
I diecimila che riempiono gli spalti “come un uovo con due tuorli” fischiano e sibilano velenosamente già dal 3-0 con ragione comprensibile. Il servizio, l’arma con la quale Panatta prendeva fiducia per i giochi in risposta, non funziona. Gli attacchi escono cortissimi esponendolo a voléè impossibili da controllare e gli errori si affastellano l’uno sull’altro.
Di là Gerulaitis sembra Flash, i suoi colpi piatti e lineari spazzolano le righe, non c’è sudore sui boccoli biondi da putto che gli incorniciano il viso.
Poi succede.

Sullo 0-5 Panatta difende per la prima volta la battuta con una gran veronica e un passante lungolinea di rovescio che cambia tutto. Nella sua testa e in campo.
“Consideravo perso il set e allora ho provato ad allungare i colpi, a rischiare qualcosa e cosi come d’incanto ho preso a giocare come devo. Poi ho messo dentro quel lungolinea di rovescio. E quando va a segno il passante di rovescio, specie quello lungolinea è segno che gioco bene. È Il mio termometro”.

Tanto basta, i mormorii ostili si trasformano in boati mentre Adriano rimonta furiosamente fino al cinque pari. Vitas è uno scafato newyorkese abituato al circuito WTT, sorta di torneo fra città statunitensi che si gioca in un clima da circo equestre, ma la malìa del Centrale romano è troppo anche per lui. In un undicesimo game frastornato ha bisogno di classe e coraggio per annullare l’ennesima palla break con un ace di seconda. Poco dopo è sei pari.
Il nostro è il re del tie break, l’alea e il brivido che caratterizzano il suo gioco sono armi micidiali nella gara a chi arriva primo a sette. Adesso forse il favorito è lui.
In quei dieci minuti scarsi il servizio funziona alla grande. Adriano conquista il 2-1 sbucciandosi la mano con una volée di rovescio in tuffo e quando la palla muore un dito oltre il nastro il boato che scuote il foro italico dalle fondamenta è una sentenza. Il punto cardine del set giunge poco dopo. Gerulaitis serve e piazza una botta vincente ma l’arbitro chiama un net molto dubbio, considerando che inspiegabilmente il giudice preposto al nastro non c’era. Si ripete e il punto del 3-2 se lo aggiudica Panatta.
Poi quattro prime pesanti completano la miracolata rimonta.

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,

così l’animo mio ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva. (Inf, 22-27)

Dante aveva già descritto da secoli in queste note terzine il senso di sollievo ed euforia che pervade il naufrago sfuggito al mare. Tale dovette sentirsi Adriano al termine di quel tempestoso primo set.

Il secondo corre su un equilibrio fragile come cristallo di Baccarat.
Panatta continua a litigare con la prima di servizio, è così dall’inizio, mentre gli altri colpi entrano a meraviglia. Dall’altra parte Gerulaitis ha perso abbrivio, ora deve lottare duramente per incassare punti che meno di un’ora prima piovevano dal cielo come manna.
Il set si apre con due break consecutivi che non fanno male ma nel settimo gioco il servizio di Adriano fa le bizze e lui non riesce a difendersi. Lo statunitense consolida per il 5-3 ma l’altro non molla ancora e nel decimo gioco pareggia, approfittando di un marchiano errore di Vitas che mette fuori di centimetri una volée elementare per il 30-0.
Panatta sa bene che non può reggere al terzo e dopo aver tenuto la battuta del 6-5 quasi non si siede al cambio campo. Forse Vitas gli legge negli occhi quella letale determinazione, sta di fatto che gioca un game timido lasciandosi aggredire. Il suo canto del cigno è il primo match point annullato con un ace ma Adriano gli è ancora addosso. Si piazza a destra, incoccia una perfetta risposta vincente di rovescio e percorre sordo al frastuono i dieci metri che lo portano dal lato opposto. Il momento è questo e lui se lo prende a rete, al volo, dove ha sempre preferito decidere i suoi destini tennistici.

Perché così ci si spiccia prima.

22/05/1978
Internazionali d’Italia, Roma – Primo turno

A. Panatta b. V. Gerulaitis 7-6(4) 7-5

Raffaello Esposito

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Raffaello Esposito

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