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09 Apr 2017 23:17 - Commenti
La lunga rincorsa di Gianluigi Quinzi
Il debutto ATP di Gianluigi Quinzi a Marrakech è il frutto di una lunga rincorsa, più lunga di quanto ci aspettassimo: come siamo arrivati fin qui?
di Daniele Vallotto
Ora che non dovrai più affrontare il tuo nemico sul campo di battaglia, quale delle due sensazioni provi: sollievo o rimpianto?
Chissà a cosa avrà pensato Gianluigi Quinzi quando l’arbitro ha finalmente annunciato il punteggio finale, 6-2 6-3, nel secondo turno di qualificazioni al Grand Prix Hassan II di Marrakech. Il sollievo di non dover pensare più a quell’obiettivo che sembrava sempre così a portata di mano ma che immancabilmente si ritraeva quando tentava di afferarlo, o il rimpianto del tempo perso in quella rincorsa? Forse nessuna delle due sensazioni, perché i tennisti non danno poi la stessa importanza agli eventi come fanno quelli che passano il tempo a fissarli. Oppure entrambe, un cocktail indescrivibile perché amaro e dolce al tempo stesso. Qualunque sia la risposta, il 9 aprile del 2017 è una data importante nella carriera di Quinzi, che si è qualificato per la prima volta ad un torneo ATP. Un torneo ATP 250, e del resto con una classifica come quella di Quinzi non si può puntare a molto altro; ma è un grande passo, forse quello decisivo per una fase nuova. Il problema è che, con Quinzi, non si dovrebbe mai lasciarsi andare a facili entusiasmi.
Nel 2013, quattro anni fa, ormai Gianluigi Quinzi era un tennista di 17 anni su cui si erano già concentrate molte attenzioni, prima ancora dell’exploit di cui tutti si ricordano. Nel 2011 il tennista marchigiano aveva iniziato a conquistare punti nel circuito e l’anno successivo aveva vinto il Trofeo Bonfiglio, un prestigioso torneo junior che nel 2013 ha visto trionfare Alexander Zverev. Non ci mise molto, insomma, a diventare la next big thing del tennis italiano, un movimento tennistico che non produce top 10 tra gli uomini da una vita e che si deve accontentare di qualche sporadico quarto di finale nei tornei che contano. Ma fu ovviamente la vittoria a Wimbledon junior a far parlare davvero tutti quanti, anche chi non si occupava ogni giorno di tennis, di Gianluigi Quinzi. Nel tempio del tennis, contro i migliori tennisti della sua età, Quinzi vinse il torneo più prestigioso che c’è. Sull’erba, per giunta, una superficie che per gli italiani è sempre stata la più ostica. Allora alcuni ricordarono l’ultimo italiano a vincere Wimbledon junior, Diego Nargiso, e tutte le promesse mai mantenute dopo quell’estate del 1987. Ma tanti, tantissimi, tirarono in ballo i campioni di Wimbledon, quello vero, che avevano vinto il torneo junior prima di Quinzi: Björn Borg, Pat Cash, Stefan Edberg e ovviamente il più bravo di tutti, Roger Federer.
“Il mio sogno è vincere gli US Open e diventare un top 10.”
Non ci si mise molto a rendersi conto, però, che una vittoria in un torneo junior non apre automaticamente le porte del tennis dei professionisti. Nel circuito Challenger, la prova generale prima di giocare contro chi conta davvero, Quinzi rimediava più sconfitte che vittorie e la semifinale di Guayaquil, ottenuta a fine 2013, fu solo un falso allarme, niente più che un’eccezione in un calendario fitto di Futures e di qualificazioni fallite. Ben presto molti tra quelli che avevano già sprecato troppi aggettivi, cominciarono ad accorgersi che Quinzi non era forse così forte come avevano pensato. Il dritto era troppo macchinoso; il gioco era troppo conservativo; a rete aveva troppe incertezze, e via dicendo. Nel 2014 Quinzi comincia a giocare nelle qualificazioni dei tornei ATP, ma le cose non vanno benissimo: a Zagabria passa un turno, ma perde contro il serbo Pedja Krstin, a Kitzbühel perde sùbito contro il brasiliano Joao Souza. Nel frattempo i risultati nei tornei minori arrivano, ma nessuno se ne accorge perché tutti si aspettano di trovarlo tra i grandi. A maggio Quinzi vince tre Futures di fila e così a luglio arriva ad una posizione dal numero 300 del ranking: non è granché, ma è meglio di niente.
Il processo di maturazione di un tennista è una serie di variabili la cui somma è davvero difficile da calcolare. E così il 2015 di Quinzi sembra quasi inspiegabile: sì, vince un paio di Futures, ma nei Challenger il saldo è negativo (5 vittorie e 10 sconfitte) e visto che la classifica precipita c’è tempo solo per qualche torneo di qualificazione ATP, a Buenos Aires, nel quale Quinzi perde contro Thiago Monteiro, e a Miami, addirittura un Masters 1000: l’IGM gli riserva una wild-card per le qualificazioni e forse Quinzi è fin troppo bravo a vincere un set contro Thiem de Bakker. A Roma la wild-card per il tabellone principale non arriva perché Quinzi non riesce a vincere le pre-qualificazioni; nelle qualificazioni, però, non va troppo bene, ma del resto non gli si può certo chiedere di battere Benoit Paire. Si arriva così al 2016, Quinzi ha già vent’anni e nel frattempo i suoi coetanei giocano gli Slam e i Masters 1000. Lui invece si deve accontentare del primo top 100 battuto (Lukas Lacko, a Raanana), della seconda semifinale in un Challenger (a Cordenons), e del nuovo best ranking, al numero 289 del mondo. Di qualificazioni ATP, neanche l’ombra, e qualcuno suggerisce che Quinzi sia ormai una scommessa persa.
Il 2017 sembra un anno come gli altri: Gianluigi annuncia l’ennesimo cambio di coach – inutile anche provare a fare un riassunto, non ci si capirebbe nulla – e decide di non iscriversi a nessun Futures. Nei Challenger non fa faville, ma almeno ha la classifica per iscriversi di nuovo alle qualificazioni degli ATP. E così, dopo i tentativi falliti del 2014 (Zagabria e Kitzbühel) e del 2015 (Buenos Aires, Miami e Roma), Quinzi si presenta a Marrakech, un torneo su terra battuta considerato di seconda fascia anche nella sua categoria, ma che quest’anno può contare su Grigor Dimitrov come prima testa di serie. Da numero 305 del mondo Quinzi sorprende tutti, ma non per le sconfitte: al primo turno batte Donskoy, cioè l’unico tennista capace di battere Federer quest’anno, mentre al turno decisivo lascia cinque game a Duckhee Lee, più giovane di due anni ma già tra i primi 150 del mondo e capace di arrivare al terzo turno delle qualificazioni agli Australian Open 2017. È il primo tabellone ATP della sua giovane carriera, arrivata dopo un avvio di stagione poco promettente e che non sembrava poi troppo diverso dagli altri.
Per dire se il 2017 sarà davvero diverso dagli altri anni occorrerà aspettare un po’ di tempo, quello che non si è mai avuto la pazienza di avere con questo tennista che probabilmente non vincerà una decina di Slam, ma che non dovrebbe nemmeno essere costretto a giocare solo i Challenger. Il suo debutto sarà contro Paul Henri Mathieu, il sorteggio migliore che si potesse avere visto che le alternative erano Klizan, Robredo e Struff. Il francese, oggi 35enne, ha avuto una buona carriera: è stato numero 12 del mondo, ha vinto quattro tornei tra cui anche Casablanca (il Grand Prix Hassan II si è spostato a Marrakech l’anno scorso) e in carriera ha giocato sei volte negli ottavi di finale di uno Slam. Ah: nel 2000, a 18 anni, vinse il Roland Garros junior battendo Tommy Robredo in finale. Chissà che non abbia qualche consiglio per Gianluigi.