Lo avete letto l’articolo sullo scacchista Bobby Fisher?
Bellissima storia di uno sport che parrebbe avere poco a che fare col tennis ma, in realtà, come sottolinea l’autore, scacchi e racchette hanno due punti comuni molto evidenti: due giochi che si sviluppano sull’infinita possibilità delle rette che attraversano un piano, trionfo degli assiomi di appartenenza della geometria euclidea, e la sfida cerebrale a due.
L’agone tra i due antagonisti, ancor prima che sul fisico, anche nel tennis si sviluppa tra i due cervelli, le due personalità, mettendo a dura prova la capacità di sopportare lo stress che tutto questo comporta.
Da John McEnroe a Paolo Canè, Marat Safin, Mikhail Youhzny (capace di ferirsi colpendosi la fronte con la racchetta), Nick Kyrgios ma anche Boris Becker (famoso un suo soliloquio sul telone del centrale durante Wimbledon 1991, in cui accusava la sua racchetta di non essere adatta: “sono il numero uno del mondo e la mia racchetta non va”; peccato che in quel momento fosse il numero quattro), Bernard Tomic, Novak Djokovic (feritosi a una gamba sempre col suo attrezzo), sono molteplici gli esempi di come lo stress di una partita di tennis possa portare alla completa perdita del controllo, della razionalità.
Nel club di “chi perde le staffe” da un po’ di tempo a questa parte ha sicuramente una posizione di prim’ordine il nostro Fabio Fognini, andato molto sopra le righe ormai molteplici volte, sia a parole sia a gesti. L’ultimo episiodio è proprio di questa settimana durante il torneo di Rio de Janeiro tra discussione con l’arbitro, pallina lanciata fuori dallo stadio e, ovviamente, racchetta scagliata contro i teloni.
Com’era lecito immaginarsi, anche questa volta, l’indignazione nei confronti del comportamento del ligure ci ha messo meno di un attimo a venir fuori: il pubblico per primo lo ha ricoperto di fischi, subito si sono accodati giornalisti e addetti ai lavori e, infine, i commenti dei tifosi e degli appassionati sui social. Nessuno ha perdonato l’ennesimo gesto irrazionale di Fognini.
Giusto, in fondo, per uno sport che fa del bon ton uno dei suoi elementi costitutivi, solo che la situazione sembra ormai ripetersi per abitudine. Tutti si aspettano che il ligure perda il controllo e tutti sono prontissimi ad accusarlo o criticarlo.
In fondo può sorgere anche il dubbio che Fognini abbia deciso di non sottrarsi alla parte che gli è stata assegnata, che sappia che è un modo per parlare di sé. Ma ammesso e non concesso che sia così, non lo si vuol credere, forse sarebbe ora che giornalisti e tifosi rinunciassero a questa morbosa attenzione al comportamento del giocatore. Forse sarebbe un primo modo per aiutarlo e, forse, questa scelta dovrebbe passare per un interrogativo che nei confronti di Fognini non si è visto fare, così come per tutti i giocatori sopra citati.
Si è detto del profondo stress che il tennis, o in generale una competizione sportiva, può arrecare; difficile pensare davvero che l’italiano voglia essere sempre al centro di queste polemiche, per cui perché quasi nessuno si è posto questa domanda, cercando anche una risposta: cosa accade nella mente di un atleta per arrivare a tale perdita della ragione?
Come detto, Fognini non è l’unico, anche se l’attenzione nei suoi confronti è decisamente più alta che per altri giocatori.
La dottoressa Francesca Latella, psicologa dello sport dell’ordine di Torino, interpellata sul tema ci ha detto qualcosa di interessante.
“A volte capita che l’atleta, durante una competizione sportiva, perda il controllo emotivo, tanto da aggredire il proprio avversario, rompere l’attrezzo sportivo e fallire nella gara.
Spesso mi viene chiesto perché questo accada.
Per poter dare una risposta realmente esaustiva, sarebbe bene indagare le ragioni del fenomeno con l’atleta in questione, ma è comunque possibile fare delle ipotesi.
Se facciamo riferimento al modello S.F.E.R.A.® e consideriamo che tutti gli elementi che lo costituiscono, Sincronia, Punti di forza, Energia, Ritmo e Attivazione, sono collegati tra di loro e funzionano grazie al connubio di elementi fisici, psico-emotivi e cognitivi, si può ipotizzare che il soggetto, che perde il controllo emotivo, si trovi in una condizione di “stress emotivo” (ansia da prestazione, paura del fallimento, cattiva gestione della rabbia, etc..) tale da portare uno degli elementi o più di uno, come la Sincronia (la capacità di mantenere un livello di concentrazione tale per cui mente e corpo diventano un tutt’uno) e/o la modulazione dell’Energia a “un’interruzione” momentanea.
A volte le forti emozioni e l’incapacità di saperle gestire, grazie ed una funzione psichica importante come l’introspezione, portano il soggetto ad una perdita di concentrazione tanto da perdere il controllo del proprio vissuto emotivo, del proprio corpo nel contesto, arrivando alla perdita di controllo della parola o delle azioni.
Altre volte, se consideriamo il livello di energia troppo elevato, il connubio tra emozioni molto forti ed energia veicolata in maniera inadeguata, può portare il soggetto ad una reazione incontrollata, con la necessità di sfogare tale carica contro un oggetto.
Queste sono solo alcune ipotesi sulle quali si può riflettere, certamente, sarebbe interessante analizzare singoli casi, con l’ausilio di strumentazioni testistiche, per la valutazione dei livelli degli elementi sopracitati coinvolti nel processo psico-fisico.”
Ecco dunque che la scienza può spazzare via le cosiddette chiacchiere da copertina e bar, essendo essa elemento oggettivo, perlomeno fino al suo progresso successivo, come Popper insegna.
Possiamo quindi ipotizzare che nella testa di Fognini e dei suoi compagni di rabbia accadano processi simili, realmente difficili da controllare e che l’attenzione di media e tifosi non possano che acuire il fenomeno.
In fondo, poi, non si vede neanche più dove stia la notizia quando il ligure perde le staffe e se la critica dei giornalisti deve avere un valore costruttivo, come dovrebbe essere per ogni critica in quanto tale, forse il più grande aiuto per Fabio potrebbe essere proprio il silenzio. Lasciatelo giocare, sbraitare o inveire quando capita. L’ATP ha il suo regolamento per questi casi e lo applicherà. Nel frattempo, lui, magari anche leggendo queste righe e con almeno un elemento di pressione in meno, avrà più possibilità di imparare come gestire il fenomeno, da solo o con l’aiuto di qualche professionista. Questa sarà una sua scelta.
Il talento, dal punto di vista del gioco, non difetta, ha dimostrato di poter far partita anche coi più forti, chissà che non possa trovare una forma ancor più efficace d’espressione.
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