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31 Gen 2017 19:50 - Commenti
Federer e Australian Open: miglior attore protagonista e miglior film
Campioni che cadono lungo il percorso. Altri che ritrovano la giovinezza. Vittorie, sorprese, lacrime. Di film “sportivi” ne abbiamo visti tanti, ma questo li batte tutti.
di Jason D'Alessandro
Più incredibile di ogni racconto sportivo. Più in là della finzione. La realtà australiana supera ogni sceneggiatura. Soggetto e fotografia da ricordare. Cast da brivido. E il pubblico ringrazia per questo inaspettato, improvviso capolavoro. Ci inventiamo cineasti e vi presentiamo la scheda tecnica del nuovo film uscito nelle sale il 29 gennaio.
Partiamo dalla locandina. I profili di Federer e Nadal, a destra e sinistra, nel mezzo, sullo sfondo, un campo da tennis confuso con una bozza, leggermente sfuocata, dell’Oceania – bello chiamarla così, uno dei continenti più difendibili di Risiko, anche se oggetto di due miseri carrarmatini a turno – territorio di conquista, di battaglie. In alto la scritta con la firma di un noto giornale “Capolavoro, il film più avvincente dell’anno: imperdibile” seguita dalle classiche cinque stelle che si conferiscono ai Film con F maiuscola.
Poi il trailer. Immagini della storia dei due protagonisti che si alternano a ritmo di musica, coppe alzate al cielo, lacrime nascoste dietro un piatto d’argento, punti vincenti e perdenti; poi sempre loro che tentano di organizzare un’esibizione rendendosi conto si essere troppo acciaccati per farlo, “magari un’altra volta”, si dicono “sì, magari un’altra volta”. Poi l’arrivo a Melbourne con fidanzate e famiglie al seguito, come in una gita di piacere. Le (forse) inattese vittorie su Mayer, Melzer, Baghdatis, Rubin, Zverev junior e senior, Nishikori, Monfils, Raonic, Wawrinka e Dimitrov. Le parole in conferenza stampa e quelle sudate in campo, i silenzi della vigilia e l’entrata in una Rod Laver Arena gremita e calda come mai prima. A gennaio, nei cinema.
Recensione. A volte la realtà supera l’immaginazione. Ci chiediamo: ma chi è il regista? Perché un film del genere non è mica roba da tutti i giorni. Ricordate “Tin Cup”? Kevin Costner, giocatore di golf in pensione che torna in un Open e mette l’ultimo impossibile colpo? E “Basta vincere”? Con un grande Nick Nolte nei panni di un machiavellico allenatore di basket del college americano? Ricordate “Stoffa da campioni”? Il giovane Emilio Estevez – fratello e figlio rispettivamente di Charlie e Martin Sheen – coach di una squadra giovanile di Hockey? E “Jerry Maguire” con un Tom Cruise manager dall’animo nobile? Film diversi con storie diverse, non necessariamente delle vittorie ma storie di sport che alterano leggermente la realtà per renderla piacevole, fruibile. Beh, forse quella realtà per niente alterata di “Ancora più su, ancora di più. Le storie di un torneo incredibile” (titolo e sottotitolo liberamente ispirati alle parole del nostro Luigi Ansaloni e a quelle del regista Tim Burton) superi di gran lunga ogni altro film sportivo.
Curiosità. Fino a due settimane fa – due settimane, non due mesi – ci si chiedeva se avremmo visto Federer in campo e dove fosse finito il fratello, quello forte, di Nadal. Per la cronaca, a inizio torneo, i bookmakers quotavano la vittoria di Federer tra i 15 e i 20, quella di Nadal tra i 13 e i 15, quella di Djokovic o Murray tra i 2 e 2,5. C’è qualcosa che non torna. Tutto questo è reale? Davvero quei due di sono giocati la finale? Quei due che, piccolo particolare, sono i protagonisti di una delle più belle rivalità che lo sport ricordi?
E poi c’è il film. Sì, perché questa è una scheda tecnica alla rovescia. Sa dà spazio a locandina, trailer, recensione, curiosità, perché il film… il film l’hanno visto tutti. E del film, in effetti, è stato anche detto tutto. Diciotto è il bellissimo numero che mette un punto alla carriera di Federer, ma Roger non smetterà, perlomeno non adesso. È più che altro una messa in ordine delle cose, dei ruoli, la chiusura di alcuni conti in sospeso. Diciotto è un numero paro, tondo. Si diventa maggiorenni a diciott’anni; ed è una maggiore età che arriva dopo tanta fatica, quando sembrava ormai svanita. Diciotto è proprio un bel numero per chiudere.
Un bel dilemma nascerebbe qualora Federer giungesse a diciannove. A quel punto vedremo un altro film e ne aspetteremo un altro ancora perché ci diremo – come Forrest Gump – ora che siamo arrivati fino a qui, perché non proseguire? Perché non arrivare a venti? E pensare che c’è Wimbledon in mezzo. Forse è il caso di non buttare i pop corn: lì Federer è sempre l’uomo da battere, è pur sempre il padrone di casa.